I.

L’arma di Scaramouche era lo spirito di Marat. Soquanti dicon che era una sbarra di ferro, qualchedun altro ricorda che era un femore d’uomo, un femore placcato d’argento. Qualcheduno lo ha pure visto nella bottega di un trovarobe.

– Chi, Scaramouche?

Sei scemo? Il femore. Dice che il cugino di qualcheduno faceva il facchino, si smazzava mobili e cazzi vari. Ancertopunto vede l’osso in una bacheca e chiede al titolare: cos’è quel robo li? E il gecco gli fa: oh, quella è roba che vale, non si tocca! È l’arma di Scaramouche, l’Ammazzaincredibili.

– Figurarsi se quello aveva lo spirito di Marat sottovetro! Sarà stato un osso rubato a un cane, coperto con del ferro e un velo d’argento, per venderlo al primo gonzo che...

Per la verità uno Scaramouche s’era già visto nel '93, a Sant’Antonio, aveva sbregato il culo a due o tre accaparratori, poi s’era infognato chissadove. Dicevano che fosse un saltimbanco italiano.

– Mi ricordo. Infatti anche il saltimbanco era svanito dal foborgo.

– Pure perché, diciamocelo, quando Madama Ghigliottina macinava che macinava, c’era ben poca bisogna di un eroe mascherato.

– Però poi è tornato fuori.

Ma mica lo sai se era sempre l’italiano, concesso e non ammesso che la prima volta fosse lui. Che poi chi era ’sto italiano? È esistito davvero o l’ha inventato qualcuno?

Insomma, le strade erano zeppe dei pierculi armati che ti dicevo, quelli che Fréron... Te lo ricordi Fréron?

– Girava voce che fosse evirato, ma che in compenso aveva tre balle...

– Seee, le aveva in testa, le tre balle...

Fréron aveva assoldato quei gianfotti a guisa di cagnaccia, ma eran peggio della cagnaccia... Si, loro, quelli che non dicevano la erre, che giravano coi calzari tipo Giulio Cesare con il zagno che faceva quell’inverno, e avevano diciassette bottoni sulle palandrane in onore di Luigi XVII, che poi sarebbe il delfino...

– E la sciarpazza fino alle labbra per dire: a me non m’avete decollato!

– E la coppa rasata e scoperta per dire: tie’, questa è ancora qui!

– E avevano ragione, dovevamo accopparli tutti.

C’erano pure quelli peggio ancora, che potevi dargli una zoccolata sui maroni e manco una piega, nemmeno abbassavano lo sguardo. Quelli che poi hanno fatto quel gran buridone.

– Chiamalo buridone!

– Però quelli son venuti fuori dopo.

Insomma, noi all’epoca s’era ben mesti. S’era mesti fin da termidoro. Nelle nostre stamberghe si gelava. La panza era vuota. Il governo faceva cacare. I merdegliosi pistavano e mazzavano i nostri compagni, un giorno si e l’altro perché no? Eravamo perseguitati e quelli, mentre ce le davano, ci ghignavano pure in faccia. Era proprio una brutta roba prenderle da simili facce di piercazzo, agghindati e sbrillucchi e olezzanti d’essenze.

– Certuni erano delle donne.

– E certuni finocchi.

– Giravano mezze nude a febbraio, con abiti di garza che si vedevano le tette...

– Soquante son morte di freddo, infatti.

– Se è vero ben gli sta, saloppe maledette.

Insomma, dicevo, noi s’era ben mesti, e s’è continuato a esserlo, madancertopunto qualche soddisfazione, qualche buona notizia ci ha fatto almeno sorridere, perché è saltato fuori Scaramouche, e chissenefotte se era quello di prima o un altro ancora o addirittura più di uno. Scaramouche portava una maschera di cuoio con un naso aguzzo e lunghissimo, un becco come un pugnale. Lo ficcava negli occhi dei pierculi.

Scaramouche era una macchina ammazzacattivi. Il primo che ha beccato era un certo Grisaille, che lo chiamavano «il Mago». Uno di quelli che bazzicavano Palazzo Thellusson.

– No, mica era il primo, ne aveva già stesi soquanti...

– Grisaille andava in giro con una coda di leone, una vera coda di leone, penzolante dalla culotta. Portava sulla zucca un cappello giallo con la tesa larga larga e alto mezzo braccio, allacciato sotto il mento da una corda di raso che finiva con dei campanellini a forma di teschio. Dentro il cappello, appeso al soffitto, ci teneva il randello, il «pote’e esecutivo». Quando attaccava a slacciarsi sotto il mento, voleva dire che stava per menare. Scaramouche lo ha beccato una sera sul boulevard degli Italiani, anzi no, si chiamava già boulevard Cerutti. C’erano altri muschiatini, ma nessuno ha fatto in tempo a dir beo. Scaramouche sbuca all’improvviso, gli si para innanzi e fa:

«GRadevole seRata, nevveRo, pezzo di meRda?»

Il Mago resta a bocca aperta e perlappunto sbam!, si prende lo spirito di Marat sulle labbra, una svirgolata sinist–dest che gli fa saltare il cappello e schizzare via soquanti denti da sotto la sciarpa. Aquelpunto, Scaramouche gli spara un discorsetto.

«Voilà, Razza di Ripugnante iRRedimibile stRonzo! Non dovRai più compieRe alcuno sfoRzo, oRa, peR evitaRe di diRe la eRRe. AppRezzi o non appRezzi il soccoRso dello spiRito di MaRat?»

Astopunto il Mago è annebbiato...

Solo annebbiato? Merda, io sarei stato già dall’altra parte...

Il Mago non ha nemmeno urlato, però è confuso forte, vede ghignare la morte, rognaccia! In un battito di ciglia gli han cambiato mezza faccia, sente il sangue che scende e già cola nella mutanda... Aquelpunto, gesto futile come tutta la sua vita miseranda, prova a prendere il cappello per pigliare il manganello, ma Scaramouche gli sferra un calcio sull’uccello, proprio in segno di dispregio, e il tipo strilla, come uscito da un sortilegio, e sputa sangue e ancora qualche dente, poi si accascia, perdente, tutto storto, già quasi morto. Scaramouche si guarda intorno: i compari del Mago son delle caccole, becchi mosci di mezze taccole, e com’è ovvio sono in preda allo scago. Provano a pigolare qualcosa, ma Scaramouche gli mostra la mazza spaventosa, lo spirito di Marat slercio di sangue, che di notte è ancor più una brutta roba, perché è nero. In più, l’uomo col rostro ringhia vapore, sembra un animale, e ci ha una musta da matto, infino col buio si vedono gli occhi rossi nei buchi della maschera e il sorrisetto da ti–strappo–i–visceri–e–ci–faccio–una–fionda. Tutti si azzittano. Scaramouche afferra il Mago per la coda di leone e lo strascina via, con la faccia che gratta per terra. Mentre si dilegua col bottino di guerra, dice a chi resta:

«Mi Raccomando, anzi, ve lo oRdino: RifeRite ai vostRi compaRi, ai vostRi padRoni e alle vostRe baldRacche meRdegliose che a RiduRRe così il vostRo amico è stato ScaRamouche, l’AmmazzaincRedibili! ScaRamouche è toRnato, e peR voi bastaRdi saRanno cazzi amaRi!»

Questo a mo’ di saluto, poi svanisce, il tutto è durato meno di un minuto. I muschiatini non saprebbero manco dire com’era vestito. Ricordano solo la maschera, il rostro... e lo spirito di Marat. Soquanti dicono che Scaramouche era un mostro, grosso come un armadio. Altri dicono no, anzi, era un piccoletto, tarchiato e muscoloso. Grisaille lo han trovato poco distante la mattina dopo, stoccafisso, appeso a un albero a zucca in giù. Scaramouche gli ha mozzato entrambe le recchie.

Qualche sera dopo, Scaramouche branca un muschiatino, nei pressi di Palazzo Egualità. Quando lo ritrovano, lo riconoscono dai vestiti, perché la cartola non ce l’ha più. Anche a questo ha mozzato le recchie, e c’è un cartello:

TREMATE, SGHERRI DI TERMIDORO

LO SPIRITO DI MARAT VI COLPIRÀ A UNO A UNO

Scaramouche incantona un muschiatino, ancora nei pressi di Palazzo Egualità. Quando lo ritrovano, non possono riconoscerlo dai vestiti, perché è ignudo come una larva. Come al solito, niente recchie, e c’è un nuovo cartello:

TREMA ANCHE TU, FRÉRON

IO VENGO A RESTITUIRTI UN PO’ DEL TUO TERRORE

Una foresta di erre, per percularli di brutto. Anche se a quel punto, a soquanti muschiatini gliene fotte poco di pronunciare o non pronunciare la erre, sono troppo indaffarati a chiedersi: chi cazzo è ’sto Scaramouche?

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