I.

Peggio del freddo cagnardo c’è soltanto la fame ladra e schifa, che ti fa azzannare le gambe dei tavoli per non mordere quelle dei commensali.

Avevamo avuto il maximum, ma i frodaioli spuntarono come funghi. Chi ti vendeva il vino finto, che era sidro colorato di rosso, chi il pane finto, impastato con la polvere di gesso. Per il vino si nominarono dei commissari «degustatori», come se non bastasse il nostro gusto a distinguere il piscio dal succo d’uva. Per il pane, si costrinsero i fornai a cuocere il pane dell’egualità e sbrisga, con tanto di timbro di garanzia. L’esercito lo mandarono di scorta ai carri dalla campagna, e già che c’erano spedirono a travagliare nei campi le reclute e il canagliume delle galere.

Quel trappolalo di Danton se ne uscí con la trovata di seccare gli stagni e coltivare pure quelli, per farci brucare le bestie da ciccia. «Dobbiamo appoggiare la congiura contro le carpe e sostenere il regno dei montoni», disse. Cosi si parlava allora alla Convenzione, coi denti grossi. E chissene che i regni non li voleva più nessuno: quei nobilardi a quattro zampe dovevano riempirci la panza. E in effetti la pensata di andare a prendersi quegli altri, quelli bipedi, dalle prigioni, per sgranocchiarseli, qualcuno la fece anche, ma ci è mancato lo stomaco, che quindi è rimasto vuoto.

Il comitato di salute pubblica ordinò di piantare patate in ogni striscia di terra: nelle aiuole delle Tegolerie, nei giardini del Lussemburgo, nei cortili, così che gli ignorantoni smerdi come noialtri smettessero di darle ai porci e si rassegnassero a mangiarsele, ché rimpinzavano bene e soprattutto, al contrario degli zamponi, quelle ricrescevano. E allora dove che il giorno prima c’era un giardino, il giorno dopo era spuntato un orto di patate. Se c’era una zolla libera, certo come la mortazza che ci piantavano patate, quindi guai a vuotarci pitali o le budella. Ci uscivano dalle orecchie, le patate. Insieme alle aringhe secche, pure quelle, al posto della carne che ormai te la sognavi di notte e di giorno e ti saresti tagliato una fetta di culo, giusto un assaggino, tanto per gradire, se non ti fosse servito per sederti.

Insomma, quell’inverno si correva da un cantone all’altro della città in cerca di briciole, come formiche. Tutto era razionato: zucchero, sapone, olio, e soprattutto il sale in zucca, ché di quello ce n’era davvero poco. Perché quando che hai fame, e questo chissà se tu lo puoi capire da là dove stai, la testa non funziona più come prima, s’incaglia, ché non ti consola nemmeno avercela ancora sul collo, se non te ne fai più niente.

Share on Twitter Share on Facebook