2.

Era stato un inverno durissimo, e non accennava a mollare la presa. Poco da mangiare, poco guadagno, e la scena tenuta saldamente dalla primattrice, Nostra Dama Ghigliottina.

Léo continuava a sentirsi meno di una comparsa. E sentirsi così nel mezzo di una rivoluzione era il modo peggiore di sentirsi. Certo, almeno aveva una sorta di giaciglio, sul retro del ristorante, e quindi anche un tetto sulla testa. Aveva persino una paga, ancorché scarsa, ma sufficiente a non morire di fame. A volte, nella solitudine della sua branda, mentre fuori il gelo notturno faceva scricchiolare il legno, ripensava alla sarta Marie. Il loro amplesso era uno dei ricordi che conservava con maggiore premura. Anche perché non aveva più avuto un’altra donna dopo quel giorno, a casa sua. A ripensarci, era stato bello essere l’eroe del foborgo di Sant’Antonio, per un po’ di tempo.

«Un uomo importante si riconosce dallo strascico di fighe che si porta dietro». Le parole del maestro Goldoni. La solitudine di Léo ne decretava dunque la mediocrità? Forse. Forse doveva arrendersi a quell’evidenza. Non era più un attore, ma uno sguattero. Ed era povero. Ma Léo non si piangeva addosso: non ci voleva molto ad accorgersi che c’era chi stava peggio. Come Andria, il vecchio cameriere corso, preso di mira dai lazzi e dai dispetti dei muschiatini. Poiché Léo non aveva reagito alle provocazioni, alla lunga quei finti damerini senza erre, lezzosi di muschio, che frequentavano la taverna, avevano deciso di lasciarlo perdere, per ripiegare su Andria. Erano dei marronari come gli altri, ma si atteggiavano a chi sta meglio e la sa più lunga. E poi parlavano in quella maniera ridicola, consapevoli di irritare il prossimo. Uno dei loro passatempi era andare al mercato del pesce a sobillare le donne. Senza farsi vedere dalla cagnaccia, inteso. Quelli le odiavano le donne, era chiaro, volevano soltanto vederle combattere come cagne nell’arena e scommettere sulle une o le altre.

«Mio ca’o, p’op’io ie’i abbiamo assistito a un conf’onto ine’edibile... ine’edibile. Una lavandaia della ’ivagoscia cont’o una pescia’ola dei Me’cati. Da sganasciaci dal ’ide’e».

Andria si divertivano a sfotterlo. Gli attaccavano pezzi di cibo ai vestiti, gli facevano lo sgambetto quando passava tra i tavoli, oppure lo chiamavano in continuazione per il gusto di vederlo correre di qua e di là.

Léo non capiva. Non capiva perché, con tante teste che rotolavano sulla pubblica piazza, quei ceffi dovessero mantenere indisturbati la propria. Forse, si rispondeva, perché il boia aveva ben altri ceffi a cui pensare, più pericolosi per la patria di quella ghenga di sfaticati. O forse perché erano molto bravi a non farsi notare, trascorrevano quasi tutto il tempo a Palazzo Egualità, e le imprese al mercato erano marachelle.

Dedicavano una risata a ogni inezia, pensavano soltanto a come divertirsi alle spalle di qualche disgraziato, mai una parola critica su come andavano le cose. Alcuni di loro portavano la coccarda. Anzi ne portavano anche tre o quattro sul bavero, ostentandole come se fossero oggetti ridicoli. Presenziavano a tutte le decapitazioni e scommettevano su chi sarebbe stato il prossimo a infilare la testa nel buco. Cosa avessero da confabulare con il tetro custode di Palazzo Egualità, l’uomo senza naso, Léo non avrebbe saputo dirlo. La faccia di teschio e i ridenti muschiati.

Finché, alla fine del merdoso inverno, in una di quelle notti insonni in cui non riusciva a placare i pensieri e cincischiava con una mano tra le gambe, indeciso se inseguire il ricordo della sartina o i ricordi di gioventù a Villa Albergati, un’intuizione si fece strada nella sua mente e lo lasciò di sasso.

I muschiatini non parlavano davvero di nulla. Andavano a omaggiare l’operato di Madama Ghigliottina solo per i pettegolezzi e le scommesse. Léo non li sentiva mai commentare gli avvenimenti se non per scherzarci sopra. Ecco, quegli uomini non esistevano. Non li, almeno. Era come se si trovassero altrove, come se nulla li riguardasse. Semplicemente, non vivevano la rivoluzione. Ogni loro gesto era frutto di una studiata retorica, atta a ignorare il mondo circostante. Come attori che recitassero senza un pubblico.

La mano di Léo si era allontanata dalle pudenda e lui si era ritrovato seduto sulla branda, in preda a un’idea schiacciante: i muschiatini odiavano la rivoluzione. E odiavano la Repubblica. Le odiavano a tal punto da... – Léo ebbe un sussulto – da cancellarne l’iniziale dal vocabolario!

Trascorse il resto della notte in un inutile dormiveglia e al mattino scattò in piedi rapido, pronto a mettere in atto il suo piano.

Dovette arrivare mezzogiorno, il momento in cui gli sfaccendati olezzosi si radunavano all’osteria in almeno sei o sette, a pasteggiare con una mezza forma di cacio e un fiasco di vino. C’era anche il più odioso della banda, un gecco che portava un monocolo e si chiamava Jean-Dominic, per tutti Jean-Do. Léo lo aveva individuato come il capoccia dei bellimbusti. Attese che si mettessero di buona lena a provocare Andria.

Quando Jean-Do fece lo sgambetto al vecchio cameriere e quello cadde per terra in un rovinare di piatti e in uno scrosciare di risate, Léo fece ciò che doveva.

Sali in piedi su un tavolo.

Quel semplice gesto attirò su di lui l’attenzione di tutti. Lo sghignazzo cessò e persino le chiacchiere. Il padrone non fece in tempo a girare intorno al banco per andare a maledirlo, che Léo aveva già attaccato a parlare.

– ORsù, cuoR-di-lepRe che vi tRastullate l’aRnese sotto lo scRanno mentRe ve la pRendete con i poveRi e angaRiate gli sventuRati per sentiRvi foRti e gagliaRdi! ORsù, cRicca pRiva di veRgogna, che invece di difendeRe la FRancia tRascoRRe i gioRni in osteRia, gRattandosi le cRoste dal cRanio e Ridendo delle disgRazie altRui! ORsù, gRumi di steRco Rinsecchito, che cRedete di copRiRe l’odoRe di meRda e putRefazione con il pRofumo di fioRi moRti! ORsù, voi che paRlate come stRanieRi in patRia e tRovate incRedibile ogni stRonzata come io tRovo assuRdo il vostRo non esseRe ancoRa cRepati, tRafoRati dagli stRali della RRRivoluzione! ORsu, pRendete lo scRoscio che vi peRtiene!

Ciò detto, Léo sbottonò le brache, estrasse il membro e diresse il getto di piscio sui muschiatini, che si ritrassero disgustati, ancora esterrefatti e senza parole. E tali rimasero per alcuni momenti, quando Léo sgrullò le ultime gocce.

Anche l’oste era ammutolito, e così gli altri clienti.

Il primo a fare un passo avanti, spazzandosi la giacca bagnata, fu Jean-Do. Capelli biondi e denti fessi, monocolo, faccia da putto mal cresciuto.

Jean-Do si produsse in un lento applauso, greve e tetro.

– E bravo l’italiano. Non è da tutti firmare così la propria rovina –. Improvvisamente ogni leziosità, ogni posa, era sparita. – Alla barriera dei combattimenti. Dopodomani, di primo mattino. Se hai il coraggio di farti vedere.

Detto questo lasciò l’osteria a passi corti e posati, come stesse passeggiando lungo un viale, seguito dalla ghenga che lanciava occhiate all’intorno.

Quando furono usciti, Léo smontò dal tavolo e si ritrovò faccia a faccia con il padrone.

– Vattene. Prendi i tuoi stracci e sparisci.

Léo non obiettò, non disse nulla. Sapeva che sarebbe stato uno spettacolo senza repliche.

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