Lontano dalla piazza, l’uomo in nero e il barone udirono il grido belluino della plebe e seppero che l’irreparabile era compiuto. Rintanati in una soffitta, immersi nel buio tagliato solo dalla luce grigiastra che filtrava da una finestrella, si fecero il segno della croce.
– Preghiamo per l’anima di sua maestà, – disse il barone.
Si inginocchiarono e abbassarono il capo sulle mani giunte, mormorando un requiem. Quando ebbero finito, Nero si affacciò dalla finestrella e sbirciò i tetti di Parigi. In lontananza risuonava sconcia La Marsigliese.
Fino a quel momento la loro fuga era stata fortunata, ma non potevano trattenersi a lungo.
– Mio signore, dovete lasciare la città al più presto. Se il piano è stato scoperto sospetteranno di voi.
– Non hanno alcun indizio, – rispose l’altro.
– Non potete rischiare, – insistette Nero. – Dovete andarvene.
Il barone socchiuse le palpebre.
– Non avete dunque intenzione di seguirmi. Perché?
Nero rispose senza esitazione.
– Perché uno deve rimanere. Ho ancora dei contatti in città. Posso raccogliere informazioni e spiare quello che accade.
L’altro annuí.
– Vi cercheranno. Non vi daranno quartiere.
– Troverò un luogo dove nascondermi. Da li attenderò il momento opportuno per agire.
Dalla finestra provenivano flebili le ultime strofe della canzone.
– Dopo quest’oggi potrebbe volerci molto tempo, – disse il barone.
Nero lo sapeva. Sapeva a cosa andava incontro e l’idea di affrontare quella prova disperata lo esaltava invece di spaventarlo. Ma era ben consapevole di non potersi crogiolare in quello stato d’animo. Avrebbe avuto bisogno di tutta la freddezza e la lucidità possibili.
– La fretta ci è nemica. Dobbiamo sapere aspettare –. Fece un mezzo inchino. – Se non dovessimo rivederci... È stato un onore, mio signore.
I due si strinsero la mano.
– L’onore è stato mio. Dio vi protegga, cavaliere.
Non aggiunsero altro. Il barone guadagnò l’uscita e l’altro senti i passi cigolare giù per le scale. Poi silenzio. Niente rumori, niente canti. Ma la canaglia là fuori, e lontano nella piazza, avrebbe festeggiato con ferina sguaiatezza, ne era certo. Per tutto il giorno e la notte seguente avrebbero trincato, biascicato cibo e canzonacce, copulato e concepito figli. E certo avrebbero riempito le strade di Parigi coi loro nasi mostruosi e deformi.
Attese ancora qualche minuto, per dare al barone il tempo di allontanarsi. Quindi scese per le stesse scale e si mescolò alla gente. Colse brandelli di una conversazione tra bifolchi in berretto frigio:
– L’avete sentito, il Capeto? Ci ha maledetti tutti quanti.
– Sbrisga. Ci ha perdonati come Gesucristincroce.
– Io ero sotto il palco, varda qua gli schizzi! Ha detto che finiremo tutti scannati!
Nero pensò che Luigi avrebbe dovuto pensarci quando era ancora vivo. Un sovrano privo di nerbo è la rovina dello stato.
Dovevano cambiare molte cose, perché il passato avesse un futuro.