10.

Lontano dalla piazza, l’uomo in nero e il barone udirono il grido belluino della plebe e seppero che l’irreparabile era compiuto. Rintanati in una soffitta, immersi nel buio tagliato solo dalla luce grigiastra che filtrava da una finestrella, si fecero il segno della croce.

– Preghiamo per l’anima di sua maestà, – disse il barone.

Si inginocchiarono e abbassarono il capo sulle mani giunte, mormorando un requiem. Quando ebbero finito, Nero si affacciò dalla finestrella e sbirciò i tetti di Parigi. In lontananza risuonava sconcia La Marsigliese.

Fino a quel momento la loro fuga era stata fortunata, ma non potevano trattenersi a lungo.

– Mio signore, dovete lasciare la città al più presto. Se il piano è stato scoperto sospetteranno di voi.

– Non hanno alcun indizio, – rispose l’altro.

– Non potete rischiare, – insistette Nero. – Dovete andarvene.

Il barone socchiuse le palpebre.

– Non avete dunque intenzione di seguirmi. Perché?

Nero rispose senza esitazione.

– Perché uno deve rimanere. Ho ancora dei contatti in città. Posso raccogliere informazioni e spiare quello che accade.

L’altro annuí.

– Vi cercheranno. Non vi daranno quartiere.

– Troverò un luogo dove nascondermi. Da li attenderò il momento opportuno per agire.

Dalla finestra provenivano flebili le ultime strofe della canzone.

– Dopo quest’oggi potrebbe volerci molto tempo, – disse il barone.

Nero lo sapeva. Sapeva a cosa andava incontro e l’idea di affrontare quella prova disperata lo esaltava invece di spaventarlo. Ma era ben consapevole di non potersi crogiolare in quello stato d’animo. Avrebbe avuto bisogno di tutta la freddezza e la lucidità possibili.

– La fretta ci è nemica. Dobbiamo sapere aspettare –. Fece un mezzo inchino. – Se non dovessimo rivederci... È stato un onore, mio signore.

I due si strinsero la mano.

– L’onore è stato mio. Dio vi protegga, cavaliere.

Non aggiunsero altro. Il barone guadagnò l’uscita e l’altro senti i passi cigolare giù per le scale. Poi silenzio. Niente rumori, niente canti. Ma la canaglia là fuori, e lontano nella piazza, avrebbe festeggiato con ferina sguaiatezza, ne era certo. Per tutto il giorno e la notte seguente avrebbero trincato, biascicato cibo e canzonacce, copulato e concepito figli. E certo avrebbero riempito le strade di Parigi coi loro nasi mostruosi e deformi.

Attese ancora qualche minuto, per dare al barone il tempo di allontanarsi. Quindi scese per le stesse scale e si mescolò alla gente. Colse brandelli di una conversazione tra bifolchi in berretto frigio:

– L’avete sentito, il Capeto? Ci ha maledetti tutti quanti.

– Sbrisga. Ci ha perdonati come Gesucristincroce.

– Io ero sotto il palco, varda qua gli schizzi! Ha detto che finiremo tutti scannati!

Nero pensò che Luigi avrebbe dovuto pensarci quando era ancora vivo. Un sovrano privo di nerbo è la rovina dello stato.

Dovevano cambiare molte cose, perché il passato avesse un futuro.

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