3.

– Salviamo il re!

A quel grido, il funzionario della sicurezza generale Armand Chauvelin si volse di scatto.

– Di là! – fece segno ai suoi e si lanciò nella corsa.

Cinque sagome erano al centro del viale, armi sguainate.

Non più di un centinaio di passi, calcolò Chauvelin mentre si sforzava di accelerare, più forte dell’emicrania che lo tormentava dal primo mattino.

Cento passi e avrebbe catturato i capi della congiura.

Dai muri di folla a destra e a sinistra giungevano incitamenti e risate.

– Guardate quei matti!

– Prendeteli!

– Fatene ragù!

– Se volevano crepare, facevano prima a darsi fuoco!

– Si, almeno ci scaldavamo anche noi!

I tamburi non avevano cessato di battere, la carrozza e la scorta non si erano fermate.

Appena fu abbastanza vicino da non sbagliare, Chauvelin puntò la pistola e sparò su un tizio col pastrano giallo, il più visibile di tutti.

L’uomo si accasciò, gli altri fuggirono. Con uno scarto improvviso e a colpi di spada, si aprirono un varco in mezzo alle guardie che bordeggiavano il viale, in corrispondenza di una smagliatura fra i corpi, dovuta all’imbocco di una strada laterale.

Due di essi, alla disperata, cercarono di entrare in una casa, ma la porta era chiusa e mancò il tempo di forzarla. Uno venne abbrancato dalla folla, preso a calci e pugni, massacrato. L’altro riuscì a divincolarsi e fuggire, prima che i suoi assalitori gli strappassero dal viso la sciarpa che l’aveva coperto lasciando liberi soltanto gli occhi. Gli ultimi due si tuffarono di nuovo nella ressa e la risalirono, come nuotatori esperti, proprio nella direzione dalla quale sopraggiungeva il convoglio.

Fu quello a bloccare la corsa di Armand Chauvelin, costringendolo a farsi da parte, per cedere il passo alla scorta, poi alla carrozza.

Lo sguardo del poliziotto si insinuò nell’abitacolo e colse il profilo del passeggero. La sagoma dell’uomo che era stato, e che adesso era l’ombra tremula di un essere invertebrato, una chiocciola che si ritrae nel guscio, spaventata.

Quando il convoglio fu transitato, Chauvelin si ritrovò a fissare impotente la selva di corpi che aveva inghiottito i fuggitivi.

Uno dei suoi lo affiancò.

– Ne abbiamo persi tre.

– Uno era il capo, sono pronto a scommetterci. – disse Chauvelin abbassando la pistola. – Gli altri?

Il sottoposto indicò i due cadaveri che giacevano sul lastrico, circondati dalla folla.

– Non potranno dirci niente.

Armand Chauvelin fece una smorfia di disappunto. La notte precedente aveva chiuso la rete tesa per sventare il complotto monarchico. Prima dell’alba gli agenti del comitato avevano arrestato i congiurati nelle loro case, uno dopo l’altro. Duecento uomini, che avrebbero dovuto trovarsi lungo il percorso del corteo per sobillare il popolo e liberare Luigi Capeto. Purtroppo, non c’era stato il tempo di torchiarli a dovere, e sul luogo preciso dell’appuntamento aveva raccolto versioni discordanti. Pochi passi di differenza e quella giornata si sarebbe conclusa con una vittoria piena. Invece era certo di aver mancato il capo e nessuno degli interrogati sembrava conoscerlo. Un uomo abbastanza saggio da non mostrarsi mai ai suoi scherani.

L’agente Chauvelin diede l’ordine di portare via i corpi, mentre l’emicrania, dal covo dietro l’occhio destro dove stava annidata, iniziava a diffondersi in tutta la testa.

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