4.

Te lo si conta noi, com’è che andò. Noi che s’era in Piazza Rivoluzione. Qualchedun altro te lo conterebbe – e magari te l’ha già contato – come son buon tutti, cioè a dire col salinzucca di poi, dopo aver occhiato le stampe sui libri, varda, c’è Madama Ghigliottina, c’è il ritratto di Robespierre, volti la pagina e c’è la mappa delle battaglie, e dal capo alla coda si snocciano gli anni così, come fossero olive: 1789, 1793, 1794. Uno sa già com’è andata a finire – tanto, dice, per quelli come noi come deve finire? – e allora la conta dal difuori della mischia, tutto compunto, come da invetta a una torre.

Quelgiorno pure noialtri si immaginò di alzare una torre. Una torre di legno, per salirci sopra, più in alto dei tetti dei palazzi più alti. In piazza si stava tutti pigiati, fitti come le setole di un pennello, ché perlomeno il freddo porco lo si tiene a bada, o magari è solo un’impressione, ché spartire il male è già mezza goduria. Però a quelmodo, uno finisce che non vede niente, dal gran che c’erano schiene e bertocche, per non dire dei vecchi che ti si grappavano ai panni per non cadere! Figura la scena: un fantolino monta in groppa al babbo, ma dadietro sgolano che lo deve metter giù, quel figlio d’un cane, e un garzo bisunto dice che mica son spettacoli da puttini, questi.

Fu così che soquanti ci si fissò con l’idea di tirar su un ponteggio, ma siccome il legno e le corde sbrisga che si trovavano, s’è deciso di montarlo a furia di ciance, un fracco di ciance, e dal gran che si parlava il ponteggio è diventato una torre, più alta di Nostra Dama e di quella di Babele.

– Ché torre e torre! – percula uno. – Bastano dei trampoli. Cosa stai ad andare tanto in alto per vedere cogliere una zucca?

E gli aspiranti carpentieri: – Eh, no! Bisogna lasciar li di pensare a quella zucca come al centro della Francia! Incomincia un mondonuovo, e il posto dei veri repubblicani è invetta alla torre, a risguardare la protagonista di oggi, ovvero la calca pulciosa con tanto di pezze al culo, il popolo famelico e smerdo eppure in piedi, assetato di sangue, enormissimo drago di fremenda bellezza!

Qualcheduno applaude, ché il discorso non gli par punto una brutta tirata, e già un altro salta su a dire che la torre, a costruirla, servirebbe anzi a guardare lontano.

– Mentre qui si fa la festa a Luigino, in Belgio le nostre armate si battono contro il nemico, difendono la rivoluzione, srandellano i cagnacci di altri re, principi e nobilardi, gente che si stirpa i capelli perché in un paese vicino si hanno dei sudditi che non sono più dei sudditi, e dei re che non sono più dei re, anzi, che non sono più e basta.

Soquanti gli si fa notare che il Belgio è bello in là, per poterlo vedere da invetta a una torre in Piazza Rivoluzione, ma quello non sente ragioni, oramai s’è inspirtato.

– Ad averci la torre, – grida, – la si poteva adoperare come attracco per dei palloni erostatici e inviare laggiù degli osservatori volanti, dove i nostri soldati combattono e crepano, così la si dava anche a loro la buona notizia che...

– Vàrdalo, ecco il boia! – sgola qualcheduno, e richiama le menti a terra, vicino al selciato..

– Macché, è il sindaco, quello là.

Colli si slungano come polli o giraffi per sbirciare oltre le spalle e le bertocche fitte, piedi si alzano sulle punte come un esercito di ballerine sdozze, e commenti e bestemmie si intrecciano in delle stuoie, che poi ogni tanto spunta una parola, una frase...

– A morte!

– Compermesso...

– Compermesso una sega, stiamo mica entrando a messa.

– Ahi!

– Cosi t’impari a spingere. Chi credi d’essere, il gran mostardiere?

– Ma Luigi quand’è che arriva? Ho le dita gonfie dal freddo mastino.

– Ehi, guardate la mano di lui li! Pare una poppa di vacca!

– Mica è il freddo. Quella è cancrena.

– Non è vero, varda, muovo le dita!

– Sì, sì, muovi, finché non ti avanzano in tasca...

Ancertopunto sale tutto un brubru, è arrivata in piazza una novità nuova, vola nelle fiate e tutti se la passano, tipo malocchio o raffreddore.

– Si, si, te lo dico io, li han brancati e frollati finché non han tirato gli ultimi.

– Ma quanti erano?

– Boh, dieciventi. Gridavano: «Viva il re!»

– Chi è il figlio d’un cane che ha urlato «Viva il re»?!

– Io, io, ma stavo solo riferendo!

– Io li ho visti, avevano certi spiedi! Se li son magnati vivi con stivali e cappelli. E se qualcuno è ancora in piedi, lo mandano a chiedere l’ora al vasistas diritto filato dopo Luigi, vedrai.

E risate ed evviva, gravi accenti e ghigni, lagrime di rabbia e di gioia. Quel che capitava in Belgio, ai confini con l’impero e sui mari, dipendeva da quel che capitava liggiú, di fronte agli occhi di tutti, sul palco di Madama Ghigliottina.

Poi succede una cosa strana.

Quando spunta la carrozza, si fa un cimitero.

Non un fiato da sopra né da sotto, come ci avessero infilato un tappo in bocca e l’altro in culo. Infino gli ambulanti stanno zitti, e smettono di vendere lupini e ceci al forno.

Da non crederci che tutta ’sta gente qua riesce a fare tanto silenzio. Si sente addirittura il cigolare dello sportello che si apre.

Eccolo li. Il Capeto. Un omarino grassoccio, con le gambette e un grosso naso. Non meno grosso dei nostri, eh, ma è come lo porta, si capisce, ché a noi la canna ci sta d’ingombro, mentre lui la punta avanti come la prua d’una nave. Allora, manco avessero dato il segnale, la cagnara riprende, e giù insulti, e gridi e starnazzi:

– A morte il re!

– Traditore succhiasangue!

– Baciachiappe degli Austriachi!

– Etciù!

– Salute.

– Grazie, colpa di ’sto freddo bastardo, ci manca solo che per vedere crepare Luigino mi ammalo e ci vado pure io, al camposanto.

Luigi s’era tolto la giacca e solo con la camiciola doveva sentire un bel giazzo, perché era tutto sgrullato dai brividi, che poi chilosà se era il freddo cagnaccio di cui sopra o invece lo scacazzo di morire. Come che fosse, gli han fatto salire le scale, e in cima lo spettava il boia Sanson, che gli ha cavato la cravatta, poi con un paio di forbici gli ha tagliato il codino. Un po’ sarto e un po’ barbiere, il nostro Sansone, che ti preparava per il ballo con Madamigella Mortazza.

Soquanti là sotto si davan dei pizzicotti:

– È tutto vero?

– Sì, compare, stavolta si. Alla faccia di chi non c’è e si perderà lo spettacolo.

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