5.

L’uomo dal costume grigio aprí gli occhi d’improvviso, come se un pensiero fosse giunto dal mondo dei vegli a scuoterlo forte nelle nebbie del sonno e del vino. Si guardò la punta dei piedi, poi risali tutto il corpo: indossava ancora il costume di Scaramouche. Mosse la testa di lato e vide un ammasso di stoffe e sottane. Colombina dormiva sodo al suo fianco. Le accarezzò i capelli, ricordando la baldoria della notte trascorsa, ma il pensiero che era venuto a prenderlo a calci produsse nella sua mente un’immediata contezza.

– Vacca boia! Il re!

Colombina si svegliò e in un attimo drizzò la schiena.

– Il re? Dove?

Scaramouche sgranò gli occhi insieme a un rosario di bestemmie.

– In piazza!

Colombina lanciò un urlo, balzò fuori dalle coperte e corse alla seggiola dove aveva abbandonato gli abiti normali.

– Via, via! Non abbiamo il tempo, – le gridò Scaramouche afferrandola per un braccio.

– In costume di scena?! – opinò l’attrice, ma intanto infilava una manica del pastrano che le veniva offerto.

Coperti e intabarrati a dovere, i due attraversarono le quinte e la platea vuota, a rotta di collo fino all’uscita del teatro. Sulla strada li congelò per un istante la brezza del mattino e, non appena ripartirono, Colombina rischiò di scivolare su una pozzanghera ghiacciata. L’uomo in grigio scomodò altri santi, prese per mano la ragazza e si mise a correre, allontanando i passanti con il bastone di scena e gridando di fare largo. I due vennero inseguiti dagli insulti fino allo sbarramento di guardie che chiudeva la piazza. Scaramouche rimbalzò su una barriera di moschetti e si ritrovò col culo per terra. Si rialzò, spazzando il fango dal pastrano.

– Dobbiamo entrare in Piazza Rivoluzione, cittadino!

Il miliziano si succhiò i denti.

– Non ci sta più manco uno spillo. Se faccio passare te, schiaccio le balle a qualcheduno sotto il palco.

– Ma noi vogliamo assistere.

– Piacerebbe anche a me, cittadino. Invece mi tocca star qua a impedire che la piazza scoppia.

Azidänt al diével! – imprecò Scaramouche nel suo idioma d’origine.

Trascinò via Colombina e cercarono un accesso sguarnito, attraverso le viuzze laterali. Non c’era niente da fare. I soldati bloccavano ogni pertugio, a Parigi non s’era mai visto un dispiegamento di forze tanto imponente.

Colombina tremava.

– Ho freddo, Léo, – disse, perché era quello il vero nome dell’attore. E pure lei, Colombina, ne aveva uno: senza trucco e costume era per tutti Colette. In verità, indossava anche altri nomignoli, vezzeggiativi più intimi e non proprio convenienti, per lo più improntati alla sineddoche, una parte del corpo per intenderlo tutto, ovvero la di lei intera persona, corpo e anima. Tuttavia le si doveva volere un gran bene per poterli adoperare. Come gliene voleva Léo, che adesso rabbrividiva accanto a lei, nella bruma di gennaio. Sotto i cappotti, i costumi di scena erano troppo leggeri, tutto cotone sottile per non sudare durante la recita.

– Léo, sto morendo di freddo, – si lagnò ancora Colette corrucciando il visino.

Non aveva bisogno di sentirselo dire, pure lui aveva le chiappe gelate. Cercarono un androne dove ripararsi dal gelo e li si abbracciarono stretti, massaggiandosi a vicenda le spalle e le braccia per far muovere il sangue.

Mentre massaggiava, Léo pensava che tutta la maledetta Parigi era li ad assistere al grande spettacolo, di cui si sarebbe parlato per secoli, e lui non aveva un posto nemmeno in loggione.

Strane reazioni provocano negli esseri umani certe inattese circostanze, come quella che colse Léo e Colette in quel riparo fortuito. Il gelo, la rabbia e tutto quel soffregare si combinarono in una miscela esplosiva e di li a poco le mani, riscaldate dall’attrito, cominciarono ad aprirsi un varco sotto i vestiti, non troppo largo da lasciar passare il freddo, né troppo stretto da concedere accesso soltanto a un dito. Il resto lo fecero l’impulso naturale e la spinta dei fianchi.

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