8.

Non un fiato mentre la mano di Sanson smolla la fune e... Tump. Un bel suono secco, da far rinculare la testa nelle spalle, come si fosse tartarughi. È stato un attimo, poi un boato e un zullo di cappelli in aria, e soquanti l’han perso nella calca, ma chissene, quello era il giorno! Un miliziano della guardia nazionale ha tirato su la zucca di Luigi e ce l’ha fatta vedere che spioveva. Qualcheduno delle prime file si è slerciato, e capace che si è tenuto le petacche e le terrà finché campa, ci va in giro come fossero medaglie. Sanson ha gettato nella calca il regale paltò e subito l’han fatto a stracci, sbrandellato, ché tutti si voleva una reliquia, un cicinino di stoffa dell’ultimo re di Francia. Mica era rimpianto per la monarchia, tutto rincontrano; era la fotta di dire: «C’ero anch’io. C’ero, quando per una volta, una buona volta, una sacrosanta smerdissima volta, la mannara era in mano al popolo e il re stava sotto!»

Volavano dei coriandoli, coriandoli di storia, per noialtri era quello il carnevale, e soquanti si son messi a cantare, anzi, soquante: un crocchio di femmine, con delle voci strille che subito si son tirate dietro tutti, tutti noi che non si avrà mai bastante parole per contare a chi non c’era la bellezza di quel momento, eppure te lo si sta già contando, son queste le parole che abbiamo.

Figurala come riesci: tutta una piazza, piena sgionfa fino a schioppare, che sgola La Marsigliese! C’è chi piange e chi è preso dalla ridarola, e infino i muti cantano, cioè muovono la bocca senza che si sente un cazzo, e anche i ciechi zullano in aria i cappelli, e sbrisga che dopo li ritrovano, roba da andarsene a crapa ignuda, ma chissene, questo è il giorno. Il giorno di noialtri. Oggi viene al mondo la Repubblica, ma davvero.

E dopo?

Adesso te lo si conta, com’è che andò dopo. Non come son buoni tutti, ma come si è buoni noi.

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