L’ordine di rilascio giunse soltanto l’indomani. Gli altri attori erano usciti subito, poiché non responsabili di nulla: nessuno aveva preso la parola, e la gita notturna sino alle finestre di Goldoni non costituiva reato.
Léo si chiese con chi l’avessero sostituito per la rappresentazione della sera prima: chiunque fosse, il detentore naturale del ruolo stava per tornare. L’aria era fredda, pungente, ma il sole brillava alto e l’umore era buono. Il flusso di persone in attesa di interrogatorio era durato incessante, ora dopo ora, e la casa d’arresto era ormai affollatissima. Anche adesso che lo accompagnavano fuori, una lunga teoria di uomini e donne, di svariate condizioni, faceva la fila per mostrare carta civica o passaporto prima di essere rinchiusa.
Mentre camminava verso il teatro pensò che occorreva allestire al più presto un lavoro del maestro: quello sarebbe stato l’omaggio vero. L’omaggio più giusto. Occorreva solo convincere Francis Barbier, detto La Résistance, il capocomico, uomo esperto ma non brillante. Léo, ancorché a digiuno, camminò di buona lena ripromettendosi una maggiore attenzione, un maggior controllo sulle proprie reazioni, domandandosi quale commedia potesse adattarsi alle caratteristiche degli attori. Dunque, Colette non sosteneva bene se non ruoli molto leggeri, Saint-Jacques poteva essere un buon Pantalone, un po’ corpacciuto per la verità, e gli altri, qualcosa si sarebbe trovato da fargli fare. Erano buoni mestieranti, in fondo.
Giunse di gran carriera in via della Mosca, dove si apriva l’uscita del retropalco, pronto a esporre le ultime considerazioni ai colleghi – doveva recuperare, lo sapeva, in fondo avevano passato un brutto momento per colpa sua. Ma tutto si era risolto bene, in fondo.
Dopo qualche passo, Léo sgranò gli occhi e mise a fuoco.
La Résistance sembrava montare la guardia a un mucchio di masserizie.
Le masserizie erano il suo baule, la sua sacca, una valigia con dentro altri costumi di scena, tutti suoi.
Giunto di fronte all’uomo, Léo chiese:
– Che ci fa la mia roba in strada, Barbier?
– Ti precede, Modonnet. Non fai più parte della compagnia.
Gli altri attori uscirono per strada. Colette, notò Léo, era seminascosta dalla mole di Saint-Jacques, e non potè coglierne l’espressione.
– Il motivo? Anche se lo immagino, per la verità.
– Visto che lo immagini, risparmierò le parole.
Léo si rivolse agli altri in tono freddo, deglutendo la rabbia.
– Anche voi, amici, siete della stessa opinione?
– Quel che opinano conta poco, – rispose il capocomico.
– Il proprietario del teatro ha detto o te o noi. Io avrei fatto lo stesso. Incasso perso, due spettatori in ospedale, un bel po’ di sedie rotte. Tutto a causa tua.
Léo vide la scena con gli occhi della mente: lui che si portava davanti agli altri attori, uno dopo l’altro, a chieder conto del loro tradimento con voce tra Tirato e il supplicante. Brutta scena, pensò. Un cliché da lasciar perdere. Si limitò a una domanda retorica.
– Siete tutti d’accordo, dunque?
Tacquero.
Gli occhi di Colette incontrarono i suoi. Riprovazione, una lontana tristezza, una fondamentale indifferenza. Ecco quel che vi lesse Léo.
– Codardi. Non meritate la mia arte.
Ora il problema era trasportare tutta la roba. Il primo problema, in verità, di una lunga serie.
«JOURNAL DE LA REPUBLIQUE FRANÇAISE»
di Marat, l’Amico del Popolo
deputato alla Convenzione nazionale
ut redeat miseris, abeat fortuna superbis
Dal n. 133 del lunedi, 25 febbraio 1793
È incontestabile che i capitalisti, gli aggiotatori, i monopolisti, i commercianti di lusso, i nobilastri, gli oppositori, sono tutti, chi più chi meno, servitori dell’antico regime, che rimpiangono gli abusi dei quali profittavano per arricchirsi sulla pelle della nazione. Come potranno contribuire, dunque, alla fondazione del regno dell’uguaglianza e della libertà? Nell’impossibilità di cambiare il loro cuore, visto che i mezzi impiegati finora per richiamarli al dovere sono risultati vani, e disperando di vedere il legislatore prendere grandi misure per forzarli, non vedo che la distruzione totale di questa genia maledetta, che possa dare tranquillità allo stato, perché costoro non cesseranno di tramare finché saranno in piedi. Oggi, essi raddoppiano gli sforzi per straziare il popolo con la crescita esorbitante dei prezzi dei generi di prima necessità e il timore della carestia.
In attesa che la nazione, stanca di questi disordini rivoltanti, prenda la decisione di purgare la terra della libertà da questa razza criminale, che i suoi rappresentanti vigliacchi incoraggiano al crimine con l’impunità, non ci si deve stupire se il popolo, spinto alla disperazione, si fa giustizia da sé. In tutti i paesi dove i diritti del popolo non sono titoli vani, stabiliti con toni fastosi da una semplice dichiarazione, il saccheggio di alcuni magazzini, alle porte dei quali si appenderebbero gli accaparratori, metterebbe presto fine alle malversazioni che riducono alla disperazione cinque milioni di persone e ne fanno morire migliaia di miseria. I deputati del popolo non sapranno far altro che cianciare su questi mali, senza mai presentarne il rimedio?
Lasciamo perdere le misure repressive della legge; è fin troppo evidente che queste sono sempre state e sempre saranno senza effetto. Le sole efficaci sono le misure rivoluzionarie. Ora io non ne conosco altra, che possa adattarsi alle nostre deboli concezioni, se non quella di investire il comitato di sicurezza generale del potere di ricercare i principali accaparratori e di sottoporli a un tribunale dello stato, formato da cinque membri, scelti tra gli uomini più integri e sinceri, per giudicarli come traditori della patria.