LA ELETTRICITÀ ANIMALE

CONFERENZA

DEL

Prof. GIULIO FANO.

[77]

Signore e Signori,

Il periodo di vita italiana dal 1831 al 1846, preso in esame dalle conferenze di quest'anno, è caratterizzato soprattutto dalle idee di rivendicazione politica e sociale che fermentavano allora nelle menti di molti fra i migliori, distogliendoli, in parte almeno, dalle ricerche sui fenomeni naturali. Si capisce che le lotte intestine, le congiure, i moti e le vicende tormentose della patria possano conciliarsi coll'inspirazione artistica, anzi spesso eccitarne lo sviluppo in alte e nobilissime forme che valgano ad esaltare i meno animosi ed a raccogliere i più sotto la stessa bandiera. Ma per le scienze esatte, per le ricerche pazienti di laboratorio, per l'esame accurato della natura si richiedono tempi sereni e tranquilli. Qualche manifestazione geniale si presenta, è vero, nella storia della scienza anche nei momenti più torbidi, ma sono forme accidentali [78] di un carattere che si potrebbe dire vulcanico, e non già il risultato di quelle forze costanti che agiscono lentamente sulla coscienza collettiva degli studiosi.

Ciò nonostante, anche in quei tristi, incerti, ma pure gloriosi periodi della nostra vita nazionale, possiamo con orgoglio ricordare parecchi notevoli contributi allo sviluppo delle scienze fisiche e naturali. Fra gli argomenti di carattere biologico allora trattati, uno fra i preferiti da molti scienziati italiani è l'elettricità animale, e ne fanno fede i nomi del Nobili, del Marianini, del Santi-Linari, del Grimelli, del Matteucci, del Savi, del Pacini, alcuni dei quali, e fra i più illustri, furono onore dell'Ateneo fiorentino. Si direbbe che i germi lasciati dal Galvani e per lunga serie di anni rimasti assopiti in una specie di stato latente, portati in questa terra toscana che ebbe sempre e giustamente il vanto di proteggere i buoni studi, riprendessero nuova vita dando ricchi e rigogliosi germogli. Sicchè l'elettricità animale, che nacque come argomento di ricerca in Italia, e qui ebbe le maggiori e più importanti cure, che ne assicurarono lo sviluppo, può dirsi a ragione cosa nostra, senza che per questo si diminuisca il carattere cosmopolita che fa della scienza l'unico vincolo che ancora raccolga la sminuzzata umanità di questa tristissima fine di secolo. Quanto [79] vi ho detto, spero sia sufficiente per giustificare la mia scelta. Debbo però avvertirvi che non posso restringere il mio dire a ciò solo che in proposito si è osservato nei tre lustri fissati dal programma, e neppure mi è lecito limitarmi ai soli risultati dovuti a ricercatori italiani. Voi non mi perdonereste certamente di sacrificare ad un sentimento nazionale, che in tal caso sarebbe malinteso, un argomento scientifico che, nato in Italia, divenne poi per sua natura universale.

Il capitolo della elettricità animale comprende quelle manifestazioni elettriche date da un animale o da una parte di esso durante la vita, e che si sviluppano dagli organi come una naturale e necessaria conseguenza delle loro attività funzionali. Sicchè i fatti elettrici che si possono ottenere in certi casi, per esempio passando con forza la mano sul dorso di un gatto vivo come su quello di un morto o semplicemente su una pelliccia di gatto, appartengono tanto poco alla elettricità animale quanto ciò che si manifesta collo strofinare un bastone di resina o di zolfo. Nello stesso modo nessun rapporto hanno col nostro soggetto le scintille che alcune persone ottengono passandosi le mani nei capelli o stropicciandosi altre parti del corpo. Si tratta in questi casi semplicemente di elettricità per strofinamento [80] e si capisce come condizioni particolari della pelle, dei peli e dell'ambiente possano dare a questo fenomeno proporzioni veramente stupefacenti.

A queste osservazioni però, tanto semplici per sè stesse, si aggiunsero, come troppo spesso accade, i prodotti più o meno sinceri dell'immaginazione, sicchè si venne ad affermare che alcune persone erano dotate di vere proprietà elettriche a somiglianza di alcuni pesci dei quali avremo fra poco occasione di parlare. Numerose sono le osservazioni citate in proposito. Mi limiterò a ricordare quella della Signora elettrica di Oxford negli Stati Uniti, perchè è forse il caso documentato meno peggio. Essa si accorse il 25 gennaio 1837, mentre in numerosa compagnia osservava un'aurora boreale, che le dita delle sue mani emettevano scintille elettriche ogniqualvolta essa accarezzava il volto di un suo fratello. Tutta la società, benchè in sul principio fosse molto dubbiosa, dovette poi convincersi della realtà di quello strano fenomeno, ed il dottor Williard Osford, una specie di san Tommaso, fu condotto alla fede da una scintilla lunga circa venti millimetri, che quella interessante persona gli scaricò sulla punta del naso, dai polpastrelli delle dita, facendolo indietreggiare spaventato. Il marito di quella signora era lontano, in viaggio, al momento [81] dello sviluppo di quella strana proprietà. Allorchè in aprile ritornò, la moglie gli andò incontro alla porta di casa, e presentandogli scherzosamente le mani alla faccia lo sbalordì con una scarica elettrica. Come vedete, quando un marito torna a casa dopo una lunga assenza deve essere preparato a qualunque sorpresa!

A me fu raccontato da un medico di Firenze di un caso simile da lui osservato in queste ultime settimane. Una signora straniera, che abita la nostra città, si presenta, soprattutto quando domina la tramontana, come circondata da una nube luminosa, tante sono le scintille che crepitando scoccano dalla superficie del suo corpo. E le parti più intime del suo abbigliamento, e le lenzuola del suo letto sono così cariche di elettricità, che il solo sfregamento di esse dà luogo ad imponenti manifestazioni elettriche. Anche qui si tratta, è evidente, di semplici fatti dovuti ad elettricità sviluppata per sfregamento.

Ad ogni nostro movimento noi produciamo calore, fra le molte altre ragioni, per l'attrito dei piedi contro il suolo o degli indumenti sulla persona, e nello stesso tempo diamo luogo, per le stesse cause ad una elettrizzazione della superficie del nostro corpo e degli oggetti che con essa vengono in contatto. Si capisce come condizioni particolari di poca [82] conducibilità degli appoggi e delle parti superficiali dell'organismo debbano provocare i fenomeni sopra descritti, i quali, benchè possano sembrare meravigliosi, sono molto più semplici di un battito del nostro cuore o di un movimento delle nostre labbra. Certamente le condizioni nutritive e nervose di quegl'individui contribuiscono a dare alla loro cute quelle proprietà particolari che determinano una elettrizzazione tanto notevole, ma non per questo possiamo dire che quei fatti appartengono alla elettricità animale propriamente detta.

Fa parte integrale di essa invece la causa che determina le scosse risentite toccando un così detto pesce elettrico. È questo anzi il primo fatto di elettricità animale che sia stato conosciuto, e se ne parla sin dai tempi più remoti, senza darne però, e si comprende, una retta interpretazione. I più anticamente noti fra i pesci elettrici, per quanto ne possiamo sapere noi, sono le torpedini, perchè abitanti il Mediterraneo. Esse fissarono l'attenzione del volgo prima e dei naturalisti poi. Come rappresentarci lo stupore e lo spavento di quegli ingenui pescatori che tirando a terra la rete colma di pesci vengono colpiti da una scossa che li irrigidì e li paralizzò ad un tempo? Vi è solo da meravigliarsi che essi, così immaginosi e ricchi di forme simboliche, [83] non abbiano messo fra le mani poderose di Nettuno una torpedine invece del tridente o del delfino. Debbo però notare a questo proposito come in un vaso proto-etrusco del museo archeologico di Firenze si osservi la figura in rilievo di una torpedine associata ad una sfinge maschio, e contrapposta ad un felino con criniera irradiata. Quel pesce, secondo il Milani, rappresenterebbe probabilmente la forza occulta del mare notturno contrapposta alle forze palesi della natura.

Ai tempi di Aristotile la torpedine si chiamava Narkè, che vuol dire torpore, ed a questo proposito Platone fa dire a Menone in uno dei suoi dialoghi: «O Socrate, già prima di conoscerti avevo sentito dire che tu nelle discussioni non fai altro se non porre te stesso nell'imbarazzo e metterci gli altri, e anche ora mi pare che tu con ogni sorta di incantesimi mi abbia ridotto a non trovar via d'uscita; anzi, se è lecito scherzare, mi sembri affatto simile nell'aspetto e nel resto alla Narkè marina piatta. Essa infatti fa intorpidire chi le si accosta e la tocca; ed anche tu hai fatto lo stesso a me. Perchè, in verità, mi si è paralizzata l'anima e la bocca e non so che risponderti.»

I commentatori, per far comprendere il senso nascosto delle parole messe in bocca a Menone, rammentano [84] come Socrate avesse il viso piatto che poteva essere paragonato alla forma schiacciata della torpedine. Per conto mio trovo che è uno scherzo di assai cattivo genere e tale da far venire i brividi a qualunque conferenziere che abbia il profilo un poco camuso.

Molti altri scrittori dell'antichità hanno parlato dei notevoli fenomeni prodotti dai pesci elettrici, particolarmente Oppiano, poeta greco dei tempi di Settimio Severo. Galeno poi credette di poter spiegare la sensazione provata al contatto di quegli animali attribuendola ad un principio frigorifero, e per motivare la sua opinione portò i buoni effetti prodotti dalla applicazione delle torpedini alla medicina, soprattutto contro il mal di capo e la gotta. Come vedete, non vi è nulla di nuovo sotto il sole, e i Romani facevano anch'essi della Elettroterapia; ma soltanto la facevano senza saperlo.

Saltando a piè pari molti secoli arriviamo a Francesco Redi, il geniale accademico del Cimento, primo medico della casa granducale di Toscana, l'inspirato poeta del vino, il fine, attento, perspicace osservatore di fatti naturali. Ecco come egli ci intrattiene sulle torpedini, in quel suo musicale e purissimo stile: «È cosa notissima che quel pesce marino chiamato tremola, torpedine, ovvero torpiglia, [85] se sia toccato renda intormentita e stupida la mano ed il braccio di colui che lo tocca; ed io ne ho fatta la prova più di una volta, per certificarmi di tal verità e per poterne favellare con certezza di scienza. E voglio raccontarvi che alcuni pescatori, essendo a mia requisizione andati alla pesca di questo pesce ne pigliarono uno e portatomelo vivo poco dopo che l'ebbero preso, appena che lo toccai e lo strinsi colla mano, che mi cominciò a informicolare e la mano e il braccio e tutta la spalla con un tremore così fastidioso e con un dolore così afflittivo ed acuto nella punta del gomito, che fui necessitato a ritirar subito la mano: e lo stesso mi avveniva ogniqualvolta io voleva ostinatamente continuar lungo tempo a toccarlo. Egli è ben vero che quanto più la torpedine si avvicinava alla morte, tanto meno io sentiva il dolore e il tremore, anzi molte volte io non lo sentiva; e quando ella fu quasi finita di morire, che pur campò ancora tre ore, io poteva maneggiarla con ogni sicurezza e senza fastidio veruno: che perciò non è maraviglia se alcuni stiano in dubbio della verità di questo effetto, e lo tengano per una favola, avendone essi per avventura fatta l'esperienza non con le torpedini vive, ma con le morte o vicine a morire.»

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Il Redi ed il suo discepolo Lorenzini, che, all'epoca del Rinascimento delle scienze naturali, furono i primi a studiare la torpedine, supponevano che questo pesce inviasse da lontano una quantità di piccoli corpuscoli che s'insinuerebbero nelle parti delle quali essi determinano l'intorpidimento, e che sarebbero proiettati dalla contrazione di due organi riputati muscolari, e chiamati, in ragione della loro forma, muscoli falcati.

Il Borelli, un altro insigne accademico del Cimento, riguarda quella emissione di corpuscoli stupefacenti come immaginaria, e pensa che la torpedine, colpita essa stessa da tremiti violentissimi, comunichi queste vibrazioni all'essere che la tocca e determini così in esso un intorpidimento.

Non sorridiamo a questi tentativi di rappresentazione di un processo funzionale, perchè a ben altre forme dottrinarie ci hanno abituati certuni ai giorni nostri, i quali, essendo tanto più dogmatici quanto meno vogliono parerlo, pretendono di dar ragione dei fenomeni presentati non solo da un individuo ma da una intera società umana, adoperando alcune formule semplicissime, che non sono neppure di loro invenzione, per mezzo delle quali tutto può essere classificato e spiegato; tanto meno scusabili inquantochè ogni giorno più si mette in chiaro l'immensa [87] complessità dei fatti biologici, di quelli anche che potrebbero a prima vista sembrare di una semplicità primordiale.

Si capisce, del resto, che ai tempi del Redi, del Lorenzini e del Bellini non si potesse avere un'idea esatta intorno alla natura della scossa ricevuta dalla torpedine, perchè non si conosceva ancora la bottiglia di Leida, che sembra datare dal 1745. Dopo ciò si comprese che l'agente sviluppato da quel pesce è di natura elettrica, e le osservazioni in proposito, alle quali contribuirono il Volta e il Galvani, eccitarono entrambi questi illustri nella loro lotta per la verità. Infatti il Galvani considera la sua preparazione, fatta di muscoli e di nervi, come un organo elettrico ridotto, e il Volta si inspira a quell'apparecchio nella costruzione della sua pila, che egli chiama «organo elettrico artificiale» «per essere (come scrive al Brugnatelli) fondato sopra i medesimi principi e simile anche nella forma, secondo la sua prima costruzione, all'organo naturale della torpedine.»

La scoperta della pila mise nell'ombra le mirabili osservazioni del Galvani, e le sue affermazioni intorno alla elettricità animale, e ciò benchè fosse ormai indiscutibile che la torpedine si comporta come una macchina elettrica, e come una pila insieme, [88] e che lo sviluppo dell'elettricità è in quegli animali dipendente dalle loro condizioni vitali. La morte infatti porta con se, come del resto aveva già osservato il Redi, la cessazione di ogni fenomeno elettrico, e tutte le osservazioni dimostrano anche che la potenza intorpidente dei pesci elettrici si indebolisce a misura che diminuiscono le attività funzionali dell'animale, che essa si esaurisce per ogni emissione eccessiva, e che, nello stato normale dell'organismo, essa può ristabilirsi col riposo. Questi esseri singolari sono capaci, è vero, di dare parecchie scariche successive, ma queste vanno gradatamente indebolendosi, sino a che quei pesci possono essere impunemente toccati. Poi, col tempo, soprattutto se bene alimentati, essi riprendono le loro capacità elettriche, così come si osserva nelle manifestazioni dell'energia muscolare e nel decorso della fatica. Vi è insomma, sotto molti aspetti, una completa identità fra la scossa elettrica della torpedine ed un movimento volontario. Le torpedini e gli altri pesci elettrici, come il gimnoto ed il siluro, danno una scossa elettrica come un cavallo darebbe un calcio, un cinghiale un colpo di zanna, una tigre un morso, un'aquila un colpo d'ala o d'artiglio. Il meccanismo nervoso volontario pel quale si esplica l'atto della [89] difesa e dell'offesa è lo stesso in questi casi, non solo, ma anche gli effetti esteriori che ne risultano hanno molte analogie fra loro. Ogni giorno di più, infatti, si mettono in chiaro le somiglianze strutturali fra muscoli ed organi elettrici, non solo, ma pure quelle funzionali fra scossa elettrica e contrazione muscolare. Questi due atti si lumeggiano vicendevolmente, inquantochè obbediscono alle stesse leggi generali; sicchè possiamo dire, per adoperare un linguaggio tecnico, almeno una volta, che entrambi dipendono probabilmente, per quanto riguarda l'effetto esterno, da cangiamenti di tensione superficiale.

L'affinità fra un movimento volontario ed una scossa elettrica mi richiama alla mente una descrizione dell'Humboldt, che amo ripetervi in parte, benchè la ritenga universalmente conosciuta. Si tratta della pesca dei gimnoti, o anguille elettriche, che vivono nelle acque dell'America meridionale, e che danno, quando siano irritate, scosse potentissime, molto più energiche di quelle della torpedine. Non bisogna però credere che il racconto dell'Humboldt si riferisca ad un modo usuale di pesca; esso piuttosto va considerato come la narrazione di una accidentale avventura di viaggio. Ecco le parole del celebre viaggiatore e scienziato tedesco:

[90]

«L'anguilla elettrica, benchè tardissima nei movimenti, si prende difficilmente con reti, perchè simile al serpe si affonda nel fango. Si potevano in tal caso adoperare le radici di alcune piante che hanno la proprietà, gettate in uno stagno, di inebriare o stordire gli animali che vi si trovano. Non volevamo però ricorrere a questo metodo, perchè le anguille ne sarebbero state indebolite. Allora gli indiani dichiararono che volevano pescar con cavalli. Corsero nelle steppe ove sono numerosi i cavalli e i muli selvatici, ne presero una trentina e li spinsero nell'acqua.

L'inaspettato rumore dello scalpitìo dei cavalli spinge i pesci fuori della melma e li invita all'attacco. Le grandi anguille gialle nere, simili ed enormi piante acquatiche, nuotano qua e là presso alla superficie e guizzano sotto il ventre dei cavalli e dei muli. La lotta fra animali così differenti forma il quadro più pittoresco.

Gli indiani muniti di giavellotti e di lunghe e sottili canne si appostano in fitta colonna intorno allo stagno. Alcuni salgono sugli alberi i cui rami si stendono orizzontalmente sull'acqua. Colle selvagge loro strida e colle lunghe canne [91] fanno indietreggiare i cavalli che vogliono risalire le rive.

Le anguille, assordate dal rumore, si difendono con ripetute scariche delle loro batterie. Per qualche tempo pare che debbano riuscire vittoriose. Parecchi cavalli soccombono ai colpi invisibili che minacciano gli organi i più essenziali. Storditi dalle incessanti e violenti scosse cadono al fondo. Altri sbuffanti, irta la criniera, gli occhi dilatati per lo spavento, fuggono disperatamente cercando di sottrarsi alla bufera, ma sono respinti dagli indiani. Alcuni però, ingannando la vigilanza dei pescatori, giungono alla sponda, vacillano ad ogni passo, e spossati a morte si gettano sulla sabbia colle membra irrigidite....

Credevamo che tutti gli animali impegnati in quella lotta dovessero soccombere l'uno dopo l'altro. Ma a poco a poco il furore scema, e le anguille affaticate si sparpagliano. Hanno ora bisogno di un lungo riposo e di un abbondante cibo per riacquistare le forze galvaniche disperse nel combattimento: esse vengono ora paurose presso la spiaggia e sono prese mediante piccoli giavellotti raccordati a lunghe funi.

Un uomo non si esporrebbe senza pericolo al [92] primo colpo di una grossa anguilla elettrica irritata. Se si riceve la scossa prima che il pesce sia ferito o stanco da una lunga persecuzione, il dolore e lo stordimento sono tali che non si può dar conto della sensazione. Non mi ricordo (dice l'Humboldt), di aver provato, dalla scarica di una gran bottiglia di Leida, uno scrollo terribile al pari di quello che soffersi quando misi incautamente i due piedi sopra un'anguilla elettrica che era stata poc'anzi tratta fuori dell'acqua. Per tutto quel giorno ebbi violenti dolori nelle ginocchia e in tutte le articolazioni.»

E un giovane tisiologo tedesco, morto da poco, il Sachs, racconta che, avendo lasciato cadere un gimnoto sul suo piede, fu gettato a terra e provò tale un dolore, che non potè trattenersi dal gridare.

Ma io non posso indugiarmi sui pesci elettrici, perchè di un altro argomento voglio parlarvi succintamente prima di lasciarvi. Mi limiterò per questo a riassumere in poche parole lo stato attuale delle nostre cognizioni in proposito, ricordando che ad esso hanno contribuito parecchi italiani, fra i quali amo citare in particolar modo, limitandomi al periodo storico che ora consideriamo, i nomi del Nobili, del Matteucci, del Pacini.

Alcuni pesci, appartenenti a tre gruppi molto [93] diversi fra loro, le torpedini, i gimnoti ed i siluri, hanno la proprietà di dare forti scariche elettriche, subordinate all'attività del loro cervello. Questa funzione elettrica è esercitata per mezzo di un apparecchio speciale, composto di un gran numero di elementi. In ciascuno di questi ultimi penetra una terminazione nervosa, presso a poco nello stesso modo col quale un nervo motore si dirama in un muscolo volontario. È indiscutibile che la forza emanata dall'organo in questione è una forma di elettricità. Lasciando da parte l'influenza che la energia sviluppata dai siluri, dai gimnoti, dalle torpedini esercita sopra gli organismi viventi, ricorderemo come questi pesci abbiano dato scintille a guisa di una bottiglia di Leida. Inoltre, con quella forma di energia si ottennero effetti calorifici e di decomposizione chimica, si fece deviare l'ago magnetico, si provocarono fatti di induzione in un rocchetto e si accese una lampadina elettrica. Si tratta dunque di vera elettricità ed in questo caso sembrerebbe proprio che l'organismo ci desse un esempio, qual meglio non si potrebbe sperare, di una funzione ridotta ad un semplice fenomeno fisico.

Eppure neanche in questo caso la fisica può da sola servirci, per ora almeno, a comprendere completamente [94] la scossa di cui è questione, perchè l'elettricità emessa dai pesci elettrici si trova in condizioni speciali quali non si ottennero peranco con gli apparecchi raccolti nelle ricchissime collezioni dei fisici. Infatti essa presenta le proprietà insieme dell'elettricità statica, della dinamica e della indotta.

Che dire poi della enorme differenza che esiste fra i nostri mezzi di sviluppare l'elettricità e quelli adoperati da un pesce elettrico? Perchè certo nessuno vorrà dare maggior valore di quello che si conceda ad una figura rettorica al confronto fatto fra gli elementi di una pila voltaica a colonna e le lamine dei prismi che costituiscono l'organo elettrico di una torpedine. E come spiegare l'immunità che quei pesci dimostrano per l'agente potentissimo che essi stessi sviluppano?

Voi vedete dunque come, benchè si tratti in questo caso di un fenomeno puramente fisico quale è quello di una scarica elettrica, pure la fisica non può aiutarci completamente a comprendere i mezzi impiegati dall'organismo per elaborare e sviluppare quella singolare forma di energia.

Badate inoltre che la scarica di un pesce elettrico implica quasi sempre un atto volontario che ci conduca a studiare il problema della coscienza, di quella [95] proprietà per la quale un essere vivo avverte se stesso e l'ambiente che lo circonda. La fisiologia ha affrontato questa questione che tocca la intimità stessa della nostra personalità senziente e pensante, e certo tutte le ricerche anatomiche fisiologiche e quelle particolari di psicologia hanno gettato un po' di luce sugli elementi strutturali dai quali quei fatti emanano e sui processi fisici, chimici e funzionali che li accompagnano e con ogni probabilità li determinano. Ma io, che pure con speciale amore mi occupo di quegli studi sono fra quelli, e siamo legione nel campo della fisiologia sperimentale, che accordano tutto il possibile al meccanicismo, e si servono di esso per simboleggiare quanto si manifesta da un essere vivo, ma non sanno comprendere e non saprebbero concepire una rappresentazione materialistica della coscienza. Confessiamolo francamente: il problema della coscienza è sempre insoluto e molto probabilmente insolubile.

Ma, Signore e Signori, le indagini sui pesci elettrici, per quanto interessanti e benchè ci conducano a discutere di cose fondamentali per la funzione dei corpi organizzati, sembrano piuttosto oggetto di studio per un erudito, per un curioso delle stranezze della natura. Vi è invece nelle ricerche sulla elettricità animale un argomento che ci dà occasione di [96] penetrare nella intimità funzionale dei nostri organi, dei nostri tessuti, dei nostri apparecchi, e che ci dà l'immagine di quel continuo avvicendarsi di fatti distruttivi e di riparazione fra i quali oscillano in ritmo incessante le parti costituenti il nostro organismo.

Sarò brevissimo e comincerò per questo col non tener conto dei precursori di Galvani. Vi sono sempre dei precursori in ogni scoperta, ma è certo che si deve al biologo bolognese la prima constatazione di carattere scientifico dell'elettricità sviluppata dal tessuto muscolare. Non già colla ben nota osservazione della rana appesa ad un uncino di rame che eventualmente toccò il celebre parapetto di ferro, bensì colla esperienza eseguita senza l'intervento di alcun metallo.

A questo proposito debbo ricordare come alcuni abbiano voluto sostenere che la scoperta attribuita al Galvani si debba invece alla sua dilettissima moglie, la signora Lucia nata Galeazzi, che per la prima avrebbe avuto occasione di osservare le ormai storiche contrazioni dei muscoli in certe zampe di rana e di richiamare su queste l'attenzione del marito. Altri sostengono che le prime osservazioni furono fatte veramente dal Galvani, ma sopra rane preparate, non vorrei dire prosaicamente, per fare [97] un brodo che servisse di ristoro a sua moglie che era allora ammalata. Queste affermazioni furono contestate, ma non si può del tutto escludere l'influenza, almeno accidentale, della moglie sulla scoperta del marito. A sostegno di questa tesi sostenuta da molti in quei tempi, amo citare un sonetto non bellissimo, dedicato al Galvani dopo la morte prematura della sua Lucia:

Quella donna gentil, cui d'aureo strale

Piagata il seno teco amor congiunse,

Poi morte con quel suo colpo fatale,

Per farne bello il ciel da te disgiunse:

Quella, non tu, che novo ardor vitale

In rana ignuda a disvelar pur giunse,

Quand'una ed altra man con vanto eguale

Il conduttor metallo e i nervi punse.

Nè a te, Signor, questa fedel consorte

Tacque l'ignoto arcan per cui tuo nome

Oltre l'italo suolo altero vassi.

Oh se vedessi di sì bella sorte

Com'ella esulta dolcemente, e come

Di te ragiona e dei tuoi chiari passi!

Se anche le cose stanno come afferma l'autore del sonetto, che voglio credere migliore storico che poeta, benchè parli con tanta sicurezza di ciò che avviene lassù nelle sfere celesti, non è alla buona signora Lucia che noi dobbiamo attribuire quella [98] scoperta, nel vero senso della parola. Certo molti dei più importanti fatti scientifici furono rivelati all'umanità dal caso, ma quando vennero ad incontrarsi con una mente adatta a comprenderne il significato. Non per questo voglio deprimere il merito della signora Galvani. Io vorrei, anzi, che si scrivesse una storia delle compagne di quegli eroi che lottarono nel campo delle idee, e credo sarebbe il racconto di intimi e mirabili drammi combattuti nei cuori femminili per l'uomo amato, che idealizzato dalle moltitudini si mostra, nel tollerante e sereno ambiente della casa, spoglio dell'aureola di gloria che lo illumina e lo nasconde, e vi rivela tutte le debolezze comuni agli altri uomini e qualcheduna forse in più. Quanta abnegazione, quanto disinteresse, quale instancabile affetto seppero possedere quelle modeste eroine, e quale contributo portarono alla gloria del marito, consigliandolo, sostenendolo, incoraggiandolo, sapendo sottrarsi a tempo agli applausi meritati, per lasciarli all'idolo che li ambisce.

Per amore di verità, però, non debbo dimenticare che la storia registra anche molte Santippe.

Dopo la morte del Galvani tutto quanto avesse riguardo coll'elettricità animale venne circondato di dubbi, di indifferenza e finalmente dimenticato, ed a ciò contribuì principalmente la scoperta della pila [99] di Volta ed i rapidi e meravigliosi progressi che ne conseguirono nel campo della elettrodinamica. Si capisce, infatti, come la povera elettricità animale, questa specie di cenerentola della elettrologia, così modestamente raccolta nei tessuti viventi, dovesse cedere il passo alla sua consorella, la elettricità voltaica, assai più appariscente e più ricca di applicazioni che essa non fosse.

Fu il Matteucci che la rimise alla luce del mondo. È bensì vero che il Nobili aveva scoperto la cosiddetta corrente propria della rana che va dai piedi al capo, ma egli l'aveva attribuita a fenomeni termoelettrici, sicchè fu soltanto cogli studi del Matteucci che si riprese nettamente il concetto del Galvani, e si considerarono i fatti elettrici manifestati da un essere vivente come un'espressione dei processi che si svolgono nell'intimità degli apparecchi funzionanti.

Il Matteucci era uomo di tale ingegno, da lasciare la sua impronta su qualunque argomento imprendesse a trattare. Non sta a me di considerarlo ora nelle sue opere di cittadino; ricorderò soltanto che fu ambasciadore e ministro della pubblica istruzione e professore nel nostro Ateneo. Del resto, da questi punti di vista fu già magistralmente tratteggiato da Nicomede Bianchi, in un libro che ha appunto per titolo: Carlo Matteucci e l'Italia del suo tempo. [100] Per trattare dell'importanza non solo tecnica ma filosofica del Matteucci, ci vorrebbero parecchie conferenze. Perchè egli non fu solo uno scopritore di fatti, ed il restauratore della elettrofisiologia, ma anche un rinnovatore nel campo delle idee direttrici in biologia. Con un acume ammirabile sostenne l'importanza dei fatti fisici e chimici negli esseri viventi, e fu così uno fra i più efficaci fondatori della fisiologia moderna. Ma non ebbe i fanatismi tanto comuni agli innovatori, e seppe mantenersi sempre nei limiti del vero, possedendo una netta percezione dei confini fissati alla applicabilità dei fatti scientifici ed al loro significato fisiologico. Egli, l'autore dell'opera sui fenomeni fisico-chimici dei corpi viventi, ed uno fra i più vivaci oppositori di quella scuola di un vitalismo primordiale, rappresentata in Italia dal Rasori e dal Tommasini prima, e poi, benchè in forma più progredita, dal Bufalini, mantenne sempre quella serenità di giudizio e di linguaggio, che dimostrano in lui un vero temperamento di scienziato. Egli ben sapeva che la scienza positiva non ha e non può avere alcun rapporto colle questioni trascendentali, e deve lasciare al sentimento ed all'intuito individuali di definire, quando se ne senta il bisogno, che cosa possa essere quello che si vuol chiamare la verità assoluta. Lo studio [101] dei fenomeni della natura, provoca, ordinariamente, bisogna riconoscerlo, una speciale polarizzazione nelle capacità intuitive ed interpretative, ma ciò non fa parte della scienza propriamente detta. Se l'indagine plasma la mente dello sperimentatore ad uno speciale ed indulgente scetticismo, si è perchè il contatto diretto coi fenomeni della natura, e la sottile ricerca di essi, e l'analisi minuta delle loro particolarità mentre lo rendono più forte nel discernimento del supposto vero, gli dimostrano anche l'inanità degli sforzi suoi e degli altri, nel determinare l'essenza delle cose. Ma l'uomo di scienza è anche spesso un entusiasta, perchè nessuno meglio di lui è in grado di apprezzare la meravigliosa armonia dei fatti naturali, l'intimo legame che li riunisce, gli adattamenti perfettissimi che danno ai fenomeni una stupefacente parvenza di finalità. Egli è pure un disilluso, perchè ogni giorno più deve convincersi che ben poco è quello che sa in confronto di quello che gli resta a sapere, e perchè si avvede che ogni fatto nuovo che viene alla luce, mentre aumenta il suo potere sulla natura, allarga pure smisuratamente i confini della sua ignoranza consapevole. Ma egli possiede anche un concetto esatto intorno alla relatività dei nostri veri, e se non sempre ha il coraggio di comunicare i dubbi che lo tormentano, e [102] lo sconforto di sentirsi legato, per certe questioni generali, al limbo eterno della ignoranza, sa però che deve essere temperato nelle idee e non scende nella lizza per opporre ad affermazioni azzardate altrettanta vacuità di linguaggio; e a rappresentazioni troppo indefinite e vaghe, simboli troppo schematici e materiali; e a certe nebulosità idealistiche, costruzioni materialistiche di un meccanismo infantile.

Questa è la rappresentazione psicologica di uno scienziato, quale sorge spontanea nella mente leggendo le opere del Matteucci, le quali improntate ad un severo positivismo fanno di lui, che fu il ricercatore dei fenomeni fisici e chimici dei corpi viventi, uno dei fondatori di quella scuola biologica che limita i confini della nostra conoscenza e che alcuni vorrebbero, non capisco il perchè, distinguere coll'appellativo di neovitalismo.

Dovrei ora parlare in modo speciale intorno alle ricerche del Matteucci sull'elettricità animale, ma ciò mi obbligherebbe ad entrare in questioni troppo tecniche, e ad adoperare un linguaggio che è soltanto espressivo per gli iniziati ai suoi misteri. Credo invece opportuno di dirvi in poche parole quali siano le nostre cognizioni attuali a proposito della elettricità dei tessuti, perchè possiate apprezzare quanto la fisiologia deve a quegli illustri italiani che hanno [103] iniziato questi studi. È infatti soltanto esaminando il frutto che si può comprendere l'importanza di un germe, e soltanto l'organismo sviluppato ci dice quali capacità di evoluzione stavano nascoste in quella cellula così ricca di potenzialità che noi chiamiamo l'uovo.

Un organismo vivente, considerato in forma schematica, può essere tenuto in conto di una macchina complicatissima, nella quale materiali chimici molto complessi, dissociandosi ed ossidandosi, mettono in libertà una certa somma di energie, in quella guisa che il carbone combinandosi coll'ossigeno, come si suol dire, bruciando, sviluppa calore. Ma lo stesso pezzo di carbone, quando si ossida, può darci semplicemente del calore, se ci limitiamo a bruciarlo nel caminetto, mentre da esso possiamo trarre del lavoro meccanico, se ne provochiamo la combustione nel fornello di una locomotiva, o della energia elettrica e quindi della luce o delle azioni chimiche o altre forme di lavoro, se la forza messa in libertà dalla fiamma fa poi agire una dinamo e questa una lampada elettrica, o un bagno galvanoplastico, o altro. Sicchè lo stesso combustibile bruciando può dare forme differenti di energia e di lavoro a seconda dei meccanismi ai quali è applicato.

Nello stesso modo i processi di combustione che [104] si svolgono nelle singole parti del nostro corpo si manifestano diversamente in ragione della varia struttura di queste parti. Il muscolo dà il lavoro meccanico, la glandola, la elaborazione chimica, il nervo, la trasmissione di un'onda particolare, la cellula nervosa, l'impulso al movimento o il sottostrato della sensazione, e così via, e tutti questi atti derivano in modo più o meno diretto da cangiamenti chimici, che mettono in movimento i diversi ingranaggi del nostro organismo.

Le differenti manifestazioni funzionali del nostro corpo, delle quali abbiamo fatto parola, sono accompagnate però da fatti collaterali, come avviene in ogni altra macchina. Abbiamo cioè, oltre il lavoro specifico dei diversi apparecchi, uno sviluppo di calore che contribuisce, negli animali che stanno in alto della scala zoologica, a mantenere la temperatura del loro corpo ad un grado superiore a quello ordinario dell'ambiente.

Ma oltre il calore si possono discernere altre forme di energia, fra le quali la luce e le manifestazioni elettriche.

Non avete mai veduto il mare fosforescente? È soprattutto nelle regioni equatoriali che questo spettacolo si manifesta nel suo massimo splendore, dando al navigante l'impressione di solcare delle onde infocate. [105] Non dimenticherò mai le sere passate sull'Oceano indiano, appunto per la magnifica fosforescenza che vi ho potuto ammirare. Tutta la superficie del mare, leggermente increspata, era illuminata da una luce vaga, nebulosa, bluastra, che pareva scaturire dalle maggiori profondità, mentre il solco aperto dal piroscafo splendeva sin presso all'orizzonte come una striscia di fuoco, sulla quale risaltavano i guizzi di fiamme provocati dall'elica che percoteva l'Oceano e dalla prua che ne squarciava gli attriti. Questo fenomeno è dovuto alla presenza di innumerevoli esseri assai bassi nella scala dei viventi, alcuni minutissimi, altri, come le meduse, abbastanza voluminosi, i quali, quando siano stimolati dagli urti delle onde o dell'elica, per esempio, rivelano quello stato di eccitamento con manifestazioni di energia che, in grazia della loro trasparenza, acquistano i caratteri di vere e proprie funzioni luminose. In questo caso si potrebbe proprio dire con un illustre fisiologo che noi siamo colpiti direttamente dalle irradiazioni della fiaccola della vita. Fatti simili, benchè più complessi e parzialmente sottoposti all'impero dei centri nervosi, ci vengono presentati fra gli altri da alcuni insetti, dei quali rammenterò le lucciole, ornamento delle nostre sere di primavera e di estate, e che furono soggetto di [106] interessantissime ricerche del nostro Matteucci, e gli elaterii dell'America tropicale, che possono servire come lanterne per illuminare il cammino, e che sul capo delle signore splendono di una vivissima luce propria, molto più apprezzabile, mi pare, di quella riflessa da un diamante.

Come vedete, alcuni fatti che d'ordinario sono semplici accessori, che si presentano come collaterali di una funzione principale, possono, in certi casi, raggiungere così grande sviluppo, da acquistare per se stessi la dignità di una vera e propria funzione. Questo accade per la luce emessa dagli organi fosforescenti degli insetti, come pure per le manifestazioni elettriche della torpedine, del gimnoto, del siluro che, grazie alla evoluzione di organi particolari, si sono resi capaci di emanazioni elettriche potentissime, mentre, d'ordinario, l'elettricità che si svolge dagli organi funzionanti, può essere appena avvertita da apparecchi delicatissimi.

Non per questo essa ha meno importanza pel ricercatore di fatti biologici, che anzi la corrente tenuissima che si può raccogliere da un muscolo che si contrae, la così detta corrente d'azione vale a farci comprendere la potentissima scossa emessa da un pesce elettrico.

Si disse come le manifestazioni funzionali dell'organismo [107] siano dovute a processi di combustione che si svolgono in seno agli elementi costitutivi dei nostri organi. Ma il lavoro determina necessariamente il consumo del combustibile, ed anche, benchè meno rapidamente, della macchina. Sicchè un organismo non potrebbe presentare una funzione continuata se ai fatti distruttivi, che sono il fondamento o la conseguenza delle sue varie forme di lavoro, non facessero equilibrio fatti antagonistici di reintegrazione, capaci di ricostituire le forze impiegate nell'attività e le strutture consumate dall'uso, che in altre parole servono a rimettere nuovo carbone nel fornello, ed a raccomodare quegl'ingranaggi che vanno di mano in mano sciupandosi. Per questo un organismo si può considerare come continuamente oscillante fra due atti chimici opposti: quelli distruttivi, che si manifestano in forma di movimento, di calore, di luce, di elettricità o d'altro: e quelli ricostitutivi, che accumulano nuovi materiali combustibili e reintegrano i tessuti sciupati dalla funzione.

Può accadere che questi due fatti antagonistici corrispondano perfettamente gli uni agli altri, come può avvenire che l'uno di essi predomini sull'altro, e voi facilmente comprenderete quanto sia importante pel biologo di assistere agli avvicendamenti [108] chimici che si svolgono nell'intima trama degli organi viventi. Questo ci è in parte concesso quando si raccolga e si registri graficamente, per mezzo di apparecchi delicatissimi, le variazioni elettriche dei tessuti che vivono, vale a dire che si nutrono e che funzionano. Infatti, i processi distruttivi determinano nelle parti che ne sono la sede una certa condizione elettrica che si chiama negativa; e i fenomeni opposti di reintegrazione danno luogo a manifestazioni elettriche di segno contrario, provocando cioè uno stato che si dice positivo.

Si capisce, perciò, come non si ottenga alcuna manifestazione elettrica da un organo nel quale i processi chimici opposti, distruttivi e reintegrativi si fanno equilibrio, perchè in esso agiscono due forze eguali e contrarie che si neutralizzano, mentre vediamo diventare negativa quella parte nella quale si esagerano i processi demolitori, o positiva quella nella quale predominano i fatti di riparazione organica.

Così l'agente misterioso che lungo i nervi è l'intermediario fra il cervello e le parti del nostro organismo, facendosi il messaggero delle azioni di senso e di movimento, si rivela a noi come un'onda di negatività, che percorre i cordoni nervosi; così l'attività di un muscolo, di una glandola, di un [109] organo di senso danno luogo a variazioni elettriche negative della parte funzionante. Noi riusciamo inoltre a raccogliere dalla superficie del nostro corpo cangiamenti elettrici, variazioni di potenziale, come si dice, che corrispondono col loro avvicendarsi al ritmico battito del cuore. Per contro, quest'organo centrale della circolazione, quando sia arrestato da azioni nervose particolari che ne esagerino gli atti ricostitutivi, a scapito di quelli che sono la base della sua funzione meccanica, dimostra questi cangiamenti con variazioni elettriche opposte di carattere positivo.

Come vedete, le oscillazioni elettriche dei tessuti, raccolte e registrate coi nostri apparecchi, possono esprimere all'esterno le intime modificazioni chimiche che si svolgono nei più remoti recessi del nostro organismo, e possono tracciare dei veri ed autentici rapporti autografici di esse. Sicchè per mezzo della elettricità animale ci è concesso di possedere una immagine, per quanto sfumata e vaga di quel ritmo chimico che forma il sottostrato delle manifestazioni di un essere vivente; o, se volete, un'eco assai attenuata, ma pur fedele, dell'armonia della vita. E non è probabilmente lontano il giorno nel quale indagando le correnti d'azione dei centri nervosi noi sorprenderemo le cellule cerebrali nella [110] loro attività elaboratrice della sensazione e del movimento.

Ma non facciamoci troppe illusioni, perchè si capisce che in questo caso non otterremo che la rappresentazione esteriore di uno dei sintomi dell'atto mentale, come il sorriso che solleva il labbro della Gioconda del divino Leonardo non è che il simbolo di uno stato d'animo di quella vaghissima donna. Ma forse che per questo esso è meno attraente? Forse che esso non ci affascina tanto più quanto maggiormente è misterioso ed impenetrabile?

Signore e Signori!

Un filosofo tedesco, celebre nella storia della elettrofisiologia, Emilio Du Bois-Reymond, in un suo discorso, accennando alla scoperta del Galvani, esclamava: «È con orgoglio che l'investigatore della natura, osservando i fili telefonici che attraversano le nostre strade e le nostre piazze, si rende conto di quanto hanno fatto tre generazioni umane di genio e di diligenza, partendo da un sì oscuro principio,» e si domanda col Gherardi, pensando al parapetto di ferro sul quale il Galvani fece la sua osservazione: [111] «Se quel parapetto fosse stato di legno o di pietra, chi può assicurarci che avremmo un galvanismo.... e tutto il resto?»

Certo è incommensurabile l'importanza della scoperta del Volta, e ne fanno fede le innumerevoli applicazioni che sono tanta parte ormai delle nostre manifestazioni materiali ed intellettuali, e che sotto forma di luce, di calore, di movimento, di trasmissione di energia a distanza, di utilizzazione di forze naturali, di azioni terapeutiche, e più ancora di nuove ed efficaci dottrine che simboleggiano in forma scientifica i fenomeni della natura, in quanto hanno di più recondito, danno alla nostra vita individuale e sociale un particolare indirizzo.

Ma pur prescindendo dal fatto che senza la rana del Galvani non vi sarebbe forse stata la pila del Volta, mi sarà lecito di affermare che anche la elettricità animale, che serve a rivelare l'intimo meccanismo nutritivo dei più remoti ingranaggi di un organismo vivente è, nelle mani del biologo, un istrumento di conquista non meno efficace di quello che maneggiato dal fisico ha contribuito potentemente a dare un'impronta nuova al secolo che muore. E ciò dobbiamo soprattutto a quelli italiani che, in sullo scorcio della prima metà di questo secolo, mentre si preparavano le armi della [112] riscossa nazionale, ripresero e rinnovellarono gli studi del Galvani, quasi per affermare, una volta di più, che l'Italia non è e non sarà mai la terra dei morti, perchè nel nostro paese anche i morti resuscitano a maggior gloria di tutti!

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