LA VERGINE E IL FALCO

Vide ella il Falco fendere il sereno.

Nel suo rombo pulsava il suo coraggio.

Con l'impeto feriva il vento e il raggio.

Cielo e terra, di lui tutto era pieno.

 

Il balenare avea d'una saetta,

la maestà superba avea d'un nume.

Il mostro senza artigli e senza piume

librarsi ella mirò del sole in vetta:

 

e s'abbattè come s'abbatte un ramo

a terra, e rise con riversa gola,

e pianse: a lui gettando la parola

ancor non detta ad uom vivente:—Io t'amo.—

*

E prega, umìle, il Falco che non l'ode:

—Io non ti chieggo, o domator di vento,

con qual poter foggiasti lo strumento

che ti solleva a le celesti prode.

 

Ma esso è te. Se or tu, con teso rostro,

su me piombassi per ghermirmi, e via

mi rapinassi a volo, e per magia

d'ali e d'amore il cielo fosse nostro,

 

ecco, io son pronta: io ti sarò la bianca

preda che tutta s'abbandona, e al vampo

del vorticoso ardor non cerca scampo,

se pur, fragile, in petto il cor le manca:

 

come sien fresche le mie labbra, e snelli

i fianchi e dolce la mia nuca ai baci

sapresti, o Falco, che con colpi audaci

nuvole ed astri afferri pei capelli.

 

Purità m'è compagna; ed assomiglio

nel mio candore a un'erma d'alabastro:

niuno ancora disciolse il roseo nastro

che al mattin fra le trecce m'attorciglio.

 

Ho l'aroma del fieno, che la falce

divelse a pena, e il sol penètra; e diaccio

specchio m'è la sorgente a cui m'affaccio,

piccola rama pendula di salce.

 

Uomini adusti dall'odor ferino

mi soffiaron sul volto, avidi, folli,

il desiderio a vampe. Ed io non volli:

ma commisi a me stessa il mio destino.

 

Non io, non io de' lor traffici oscuri

viver soffersi, leggiadretta serva,

con basse ciglia ed anima proterva

filando il lino entro i lor vecchi muri:

 

non io le grigie e tortuose scale

di lor case salìi, dove s'affloscia

gioventù, senza gaudio e senza angoscia,

su spessa coltre e torpido guanciale.

 

Io voglio te, che armi la tua sorte

per guerra, e il sole di sfidar sei degno:

voglio te, per seguirti all'alto segno,

o, se tu cada, ne la bella morte.

 

E questa sia precipitosa, come

il fiammeggiar d'un bolide notturno;

e tu dorma in eterno il taciturno

tuo riposo d'eroe fra le mie chiome....—

*

Prega; e non l'ode il domator di vento,

sempre più alto nel rapace volo.

.... Donna, fragile carne!... Il Forte è solo

nel suo libero assalto al firmamento.

 

Adora, e taci. E lo vedrai sparire

nel superato caos della vertigine

azzurra: invitto re sui due prodigi

dell'universo: il vivere e il morire.

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