Voglio al mio letto d'ospedale, in
gli occhi stanchi d'aver tutto veduto,
bianca in azzurra tonaca, una suora.
Ella non sappia altro di me che il tristo
male, segnato su tabella, in gesso,
a capoletto: altro io non senta, presso
a me, che il suo respiro al mio commisto.
Tanto ella stessa abbia sofferto e amato
che nulla la ributti: e l'assassino
pianga per lei col pianto d'un bambino
che s'appresti a morir senza peccato.
Alla sua carità basti l'orrore
della misera carne che inabissa
entro il mistero, senza nome, scissa
dall'anima, e vestita di dolore.
Della mia bocca l'ultima parola
oda, senza capirla: le mie braccia
componga in croce: e alla gran calma diaccia
mi lasci,—come fui nel mondo,—sola.