L'ARSURA

Ritta nel sole, colle man sul fronte

a schermo, guardi se un ruscello appaia,

se qualche roccia della rea petraia

pianga per una sua cerula fonte.

 

Nulla: non trovi nulla, fuor che sassi,

polvere, ortiche, calcinacci. E rabbia

d'arsura, quasi che rovente sabbia

colle contratte fauci respirassi.

 

Dio mio che sete!... Asciugheresti i fiumi.

Ma non v'è nube in ciel, ma non v'è filo

d'acqua fra pietre. Avessi tu uno stilo

per ferirti, e succhiare il sangue a grumi!...

 

Dio mio che angoscia!... E niuno, e niuno accanto,

che ti dica:—Coraggio!...—che la strada

ti accenni, che ti mormori:—No, bada,

caschi!...—Se hai sete, ingoialo, il tuo pianto.

 

E sien per te le assaporate lacrime

amara voluttà di beveraggio

nuovo, che nuovo renda il tuo coraggio,

esasperando i sensi aridi ed acri.

 

Se ancor parla viltà, con mani a morsa

strozzala, e getta il cencio dietro un folto

di rovi.—Fin che avrai te stessa, molto

avrai: tutto.—E prosegui la tua corsa.

 

E impara a non fidar che ne' tuoi occhi

e nel tuo piede: a non attender niente

dagli uomini, e in te una e onnipossente

creder,—se aver non vuoi rotti i ginocchi.

 

In te sola trovare acqua di vena

per sete, campo per raccolto, foglia

per ombra....—allora, e sol se tu lo voglia,

comincerà per te la vita piena.

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