IL MISTERO

O generata per mirar la gioia

negli occhi, e far ghirlande di giunchiglie,

passando in danza fra le maraviglie

dolcissime d'un maggio che non muoia:

 

o tu che porti in te la giovinezza

di tutti i rivi, e pur ti godi a bere

ad ogni fonte che ti dia piacere,

ad ogni raggio che ti dia bellezza:

 

stupefatta io ti guardo, e mi domando

chi sei: nè più ricordo il mio supplizio

nel procrearti, e il lungo sacrifizio

de' miei begli anni, in te sola vibrando.

 

Nulla ricordo. Ora potrei nel gorgo

sparire: nulla più t'è necessario

da me: nel getto pieno e statuario

del tuo fiorire il tuo destino io scorgo.

 

Ah, potess'io pensar che da una scorza

d'albero, gaia boschereccia ninfa,

balzata fossi, e avessi in te la linfa

di quel tronco, e la sua virginea forza!...

 

Balzata fossi dagli oceani immensi,

vestita d'alghe, satura di sale!...

Ma il peccato d'origine, il mortale

peso del sangue incarcera i tuoi sensi.

 

Sei nuova, e pure in te fremono i mondi:

vita io ti diedi, e pur mi sei straniera:

penetrarti vorrei, ma tu di fiera

semplice grazia il tuo mister circondi.

 

E vai,—nè io ti seguo, poi che l'ombra

mi tiene.—Ma se il mal, belva in agguato,

t'abbrancasse, ben io saprei d'un fiato

farmi, per te salvar, la strada sgombra:

 

non sarei che un istinto, un cieco istinto

carnale, armato a tua sola difesa:

nè cederei, nè lascerei la presa

selvaggia, fino a quando avessi vinto.

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