Sale a fatica—e come il piè la regga
ignora, e come a sè dischiuda il varco—
fra i rovi aguzzi di due siepi ad arco
la Donna che non ha chi la sorregga.
Dalla diritta tunica vermiglia
emerge, quale fiamma dalla face,
il volto, che un'insonne e pertinace
cura protende, solca ed assottiglia.
Non più di carne: d'anima è quel volto
senza bellezza, senza gioventù.
E pur nessuna donna al mondo più
superba apparve, nel suo crin disciolto.
Chiude, è vero, le pàlpebre sugli occhi
talvolta, stanca; con la floscia piega
sui labbri di chi sè da sè rinnega,
mal raffrenando il pianto che trabocchi.
Si domanda: Perchè?...—Se una parola
le alitasse, or, sul collo, e fosse bacio
più che parola!... se, improvviso, un laccio
umano le cingesse, ora, la gola!...
Ma a un sasso inciampa, a un pruno irto le mani
punge. Sovvienle allor del suo destino.
Non ha che sè, per compiere il cammino.
Non ha che sè, per l'oggi e pel domani.
Beve alle pozze d'acqua, strappa more
alle due siepi, e cupida le addenta.
Sol di questo, e d'un sogno, ella alimenta
il soffio della vita interïore.
Ella sa d'un giardino ove i rosai
l'attendono, dai calici di fuoco
l'anima vaporando a poco a poco
verso l'Ignota che non giunge mai.
Là, fluir d'acque, murmuri di brezza
densa d'essenze, letti d'erba, aurore
sacre: là, quella in cui non osa il cuore
cullarsi, insostenibile dolcezza....
Sorgerà un giorno, per magia, per gioia,
nel suo gran verde, a sommo della strada.
Purchè l'orme non sien false; e non cada
ella contro le siepi, e non vi muoia!...
.... Giunge.—Ma innanzi al devastato campo,
ai mozzi tronchi, ai rami ignudi, serra
l'unghie nel palmo: poi s'accoscia a terra,
come la fiera che non ha più scampo.