IL CANTO DELLA ZAPPA

Ruvida spada io son che il terren fende;

Son forza ed ignoranza.

In me stride la fame e il sol s'accende;

Son miseria e speranza.

Io conosco la sferza arroventata

Dei meriggi brucianti,

Dell'uragan che scroscia a la vallata

Le nubi saettanti.

Io so gli olezzi liberi e feraci

Che maggio da la terra

Con aulenti corolle, insetti e baci

Trionfando disserra:

E nell'opra d'ogni ora e d'ogni istante

Io più m'affilo e splendo;

Rassegnata, fortissima, costante,

Vo il duro suol rompendo.

Ne le basse casupole sconnesse,

Nel rozzo cascinale

Ove penètra per le imposte fesse

La ràffica invernale,

Ove del foco sul tizzon che geme

L'ignavia s'accovaccia,

E la pellagra insazïata freme

Gialla e sparuta in faccia,

Entro e guardo.—E in un canto abbandonata,

Ne l'alta e paurosa

Notte che incombe a l'umida spianata

E a la stanza fumosa,

Mentre la febbre di risaia scote

Feminei corpi affranti,

E più non s'odon che le torve note

Dei villici russanti,

Veglio, ed un soffio di desir m'infiamma.

.... Sogno la nova aurora,

Quando, dritta qual rustico orifiamma

Nel sol che l'aure indora,

 

Serenamente splendida, brandita

Da un'inspirata plebe,

Sorgerò, bella di vigor, di vita,

Da le feconde glebe.

Ma le lame saran pure di sangue,

E bianchi gli stendardi;

Conculcato morrà de l'odio l'angue

Sotto i colpi gagliardi;

E dalla terra satura d'amore,

Olezzante di rose.

Purificata dal novello ardore

De le gare animose,

Fino a l'azzurro ciel tutto un tumulto

Di rozze voci umane

Salirà come un inno ed un singulto:

«Pace!... lavoro!... pane!....»

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