Il legname si ha da tagliare dal principio d’autunno fino a che non cominci a soffiare Favonio; di primavera nò, perchè tutti gl’alberi sono pregni, e tutti comunicano il proprio vigore alle frondi, ed alle frutta annuali. Essendo perciò, secondo il corso della stagione, vuoti e gonfj, diventano spossati e deboli per la troppo porosità; appunto come i corpi femminini non si stimano sani dal tempo del concepimento sino al parto, e generalmente quei corpi, che si espongono alla vendita, non sono assicurati per sani, quando sono gravidi: perchè il feto, che va crescendo dentro un corpo, tira a se nutrimento da tutti i cibi, tanto che, quanto più si accosta alla maturità il parto, tanto men sano rimane quello, da cui è generato. Quindi anche avvien che mandato fuori il parto, rimanendo libero per la separazione del feto quello, che si distraeva prima in una diversa specie di crescenza, se lo ripiglia ripiglia il corpo, ed impregnando di succo i voti e larghi vasi, si fortifica, e ritorna all’antica naturale fermezza. Così avviene ancora, che nel tempo d’autunno, maturati già i frutti e seccate le frondi, le radici tirano dalla terra il succo, si ristabiliscono, e ricuperano l’antica robustezza; la forza poi dell’aria d’inverno gli ristringe, e fortifica per tutto quel tempo, come abbiam detto di sopra. Perciò dunque se si taglia il legname nel modo e tempo detto di sopra, sarà a proposito.
Il taglio poi deve essere in modo, che resti intaccata la grossezza dell’albero sino alla metà del midollo; acciocchè gocciolandone il succo si secchi; così quell’umore inutile, che vi è, uscendosene per la spugna, non farà rimanere in esso putredine, nè guastare il legname. Quando poi sarà secco l’albero, senza più gocciolare, allora si abbatte, e così sarà d’ottimo uso. Che sia così, si ricava anche più chiaramente dagli arbusti. Questi, quando a tempo proprio sono bucati presso il fondo, e così in un certo modo castrati, mandano fuori per quei buchi dalle midolle tutto il restante difettoso umore, ed in tal maniera seccandosi acquistano fermezza e durata; all’incontro ove gli umori non hanno scolo, rappigliandosi dentro gl’alberi, vi s’imputridiscono, e gli rendono fungosi e difettosi. Eccettuati dunque quegli alberi, che si seccano da per loro, gli altri tutti, se quando se ne vuol far uso, si taglieranno, ed abbatteranno colla sopraddetta regola, allora solamente potranno essere d’uso, e di durata negli edifizj.
Sono diversi gl’alberi, e diverse le loro respettive qualità, come sono la Quercia, l’Olmo, il Pioppo, il Cipresso, l’Abete, ed altri, che sogliono esser d’uso negli edifizj: perciocchè non è dello stesso uso la Quercia, e l’Abete, o il Cipresso, e l’Olmo; nè tutti gl’altri generalmente hanno la stessa natura, ma ciascuna specie per la diversa combinazione d’elementi, e di diverso uso ne’ lavori.
Primieramente dunque l’Abete, perchè ha molto d’aria, e di fuoco, ed all’incontro poco d’acqua, e di terra, come composto d’elementi più leggieri, non è pesante; e per lo stesso motivo tenendolo teso la naturale rigidezza, non così facilmente si piega sotto il peso, ma anzi resta diritto nelle travature: solo però perchè contiene soverchio fuoco, è soggetto a generare il tarlo, da cui poi è offeso: per la stessa ragione è facile ad accendersi, perchè il fuoco agevolmente penetra negli aperti pori, de’quali abbonda, e vi eccita una gran fiamma. Di questo albero però, prima di tagliarsi, la parte prossima alla terra, perchè riceve per la vicinanza immediatamente l’umido dalle radici, resta dritta e liscia: come per l’opposto la parte superiore cacciando per la gagliardia del fuoco molti rami da’ nodi, se è tagliata da venti palmi in su, e pulita, a cagion della durezza de’ nodi la dicono fusterna; la parte inferiore al contrario tagliata e spaccata in quattro, gettata via la spugna, non ostante che sia lo stesso albero, pure si serba per lavori minuti, e la chiamano sapinea.
La Quercia, abbondando fra tutti gl’elementi specialmente di terra, ed avendo poco d’aria, d’acqua, e di fuoco, quando è adoprata sotto terra, dura eternamente, e ciò perchè, non avendo pori voti, ed essendo ben compatta, non vi può penetrare l’umido, se mai ve n’è: anzi piuttosto per fuggire, e resistere all’umido, si torce, e può far crepare que’ lavori, ne’ quali è adoprata.
L’Ischio, perchè ha eguali porzioni di tutti gli elementi, è di grande uso negli edifizj; ciò non ostante però, se si mette in luogo umido patisce, perchè l’umore, penetrando con violenza pei pori, ne caccia via l’aria ed il fuoco.
Il Cerro, il Sughero, il Faggio, perchè partecipano di molt’aria, ma di poca acqua, fuoco, e terra, ricevono facilmente negli aperti pori l’umido, e così presto marciscono.
Il Pioppo così bianco, che nero, il Salice, la Tiglia, ed il Vitice, perchè hanno molto di fuoco, e d’aria, alquanto d’acqua, poco di terra, ed essendo per conseguenza d’una tempera più leggiera, riescono nel lavoro di maravigliosa finezza; ed in fatti, non potendo essere duri per mescolanza di terra, sono al contrario per la porosità bianchi e comodi, e specialmente per gl’intagli.
L’Alno, il quale nasce presso le rive de’ fiumi, e par che non sia legno servibile, pure ha ottime qualità, perchè è composto di molt’aria e fuoco, di mediocre terra, e di poca acqua: ond’è, che non contenendo in se troppo umido, quando si adopra nelle palizzate, sotto i fondamenti delle fabbriche in luoghi paludosi, riceve quell’umido, che naturalmente non ha; e perciò dura eternamente, regge ogni gran peso di fabbrica, e la conserva senza difetto. Così quel, che non può durare, che poco tempo fuori della terra, dura molto, quando è seppellito nell’umido. Si osserva questo in Ravenna, ove tutte le fabbriche e pubbliche e private hanno sotto i fondamenti palizzate di questa sorta.
L’Olmo poi, ed il Frassino hanno moltissimo d’acqua, pochissimo d’aria, e di fuoco, ed alquanto di terra; onde riescono nelle fabbriche deboli; perchè per l’abbondanza dell’umido, non hanno forza da regger peso, e presto si fendono: ma se son per la vecchiaia fatti secchi, oppure in campagna stessa son giunti alla perfezione, si estingue l’umido, che è in loro, e diventano alquanto più duri; anzi nelle commessure, e negl’incastri fanno per cagion della stessa tenerezza un forte legame.
Il Carpino, nella cui tempera entra pochissimo di fuoco e terra, ma moltissima aria, ed acqua, non è fragile, e riesce in opera maneggevole. I Greci, perchè di questo legno ne fanno gioghi, e presso loro i gioghi si chiamano ziga, chiamano zigian perciò anche questo legno.
Sono anche meravigliosi il Cipresso, ed il Pino, perchè sebbene abbiano eguali porzioni degli altri elementi, e per l’abbondanza solo dell’umido, di cui soverchiano, sogliono in opera fendersi, durano ciò non ostante lungo tempo senza pericolo; ed è perchè l’umido, ch’è dentro il loro corpo, è di sapore amaro, e perciò non lascia penetrarvi tarli, o altri simili animalucci nocivi: per questa cagione durano eternamente i lavori di questo legno.
Il Cedro, ed il Ginepro hanno parimente le stesse proprietà ed usi; solamente come dal Cipresso, e dal Pino si ha la ragia, così dal Cedro l’olio, che si chiama Cedrino; ed è quello, con cui ungendosi le cose, specialmente i libri, non sono offese da tignuole, nè da tarli: le frondi di questo albero somigliano a quelle del Cipresso, e la vena del legname è diritta. La statua di Diana, e la soffitta nel tempio d’Efeso sono fatti di questo legname, come lo sono anche in molti altri tempj nobili per la lunga durata. Questi alberi allignano per lo più nell’isola di Creta, nell’Affrica, ed in alcuni luoghi della Sorìa.
Il Larice, che non è cognito se non a quegli, che abitano presso la riva del Pò, ed i lidi del mare Adriatico, non solo non è offeso da tarlo, nè da tignuola per la grande amarezza del suo sugo, ma neppure è capace di fare fiamma, o ardere da se, dovendo essere bruciato con altre legna, appunto come è la pietra da calcina nelle fornaci; e ne anche allora leva fiamma, o genera carbone, ma solo lentamente dopo lungo tempo si brucia, perchè ha una tempera scarsissima di fuoco, e d’aria: ed all’incontro è impastato d’acqua, e di terra, e così fitto, che non ha pori voti, pei quali possa penetrare il fuoco, anzi per questo stesso lo rispigne sì, che non gli è così facile di presto offenderlo; ed è di tanto peso, che non galleggiando sull’acqua, non può trasportarsi, che sopra barche, o zatte d’abete. Non è da ignorarsi l’occasione, come si scoprisse questo legname. Quando tenea l’Imperadore Cesare l’esercito attorno alle Alpi, ordinò a’ municipj Romani di somministrare le necessarie vettovaglie: fra questi era un castello fortificato, che si chiamava Larigno, gli abitanti del quale, fidati alla fortificazione naturale del luogo, non vollero ubbidire; onde l’Imperadore vi fece accostare la truppa. Avanti la porta di questo castello era alzata appunto di questo legname, con travi alternativamente incrocicchiate, a guisa di pira una torre, dalla cui cima ben si potea con bastoni, e pietre rispingere gli aggressori: quando li vidde, che non aveano costoro altre armi, che bastoni, e che per il peso non poteano neppur lanciarli troppo discosto dal muro, fu ordinato, che si accostassero a quella torre fascine e fiaccole accese; pertanto subito i soldati ve ne fecero delle cataste. La fiamma, che bruciava le fascine attorno a quella torre, alzatasi a’ cieli, fece credere di veder già a terra tutta quella macchina; ma smorzata e cessata che fu, stupefatto Cesare nel vedere ancora intatta la torre, ordinò un blocco fuori del tiro de’ dardi: così i paesani intimoriti si rendettero; e domandati poi di che luogo erano que’ legnami, che non erano stati offesi dal fuoco, mostrarono questi alberi, de’ quali è in que’ luoghi grandissima abbondanza; onde è, che Larigno il castello, e Larigno anche si chiama il legname. Si trasporta per il Pò fino a Ravenna per uso delle colonie di Fano, Pesaro, Ancona, e degl’altri municipj vicini, e se vi fosse modo di trasportarlo sino a Roma, se ne caverebbe grand’utile per le fabbriche; e se non in ogni cosa, almeno facendosi di questo legno le tavole delle gronde attorno i ceppi delle case, sarebbero gli edifizj sicuri dal pericolo della comunicazione degl’incendj, non potendo queste tavole nè ricevere, nè far fiamma o carbone. Hanno questi alberi le foglie simili a quelle del Pino, il legname diritto, e maneggevole per lavori minuti niente meno dell’abete, e tramandano la ragia liquida del colore del mele Attico, la quale serve di rimedio a’ tisici.
Ho trattato di tutte le specie di legni, e delle proprietà naturali che hanno, e del modo come si generano: rimane a riflettere, perchè non è sì buono quell’Abete, che in Roma si chiama superiore, come lo è quello, che si chiama inferiore, il quale è di grand’uso e durata negli edifizj; spiegherò dunque come dalla qualità de’ luoghi nasce la loro malignità, o bontà, acciocchè lo sappia chi ne sarà curioso.