Capitolo VIII. Delle specie di fabbriche.

Le specie delle fabbriche sono queste: (Tav. III. fig. 1.) l’Ammandorlata L, la quale comunemente ora è in uso; e l’Antica, che si chiama Incerta I. Di queste l’Ammandorlata è certamente più bella, ma è anche più sottoposta a fendersi, perchè non ha nè letto stabile, nè forte legatura; (Tav. III. fig. 1.) nell’Incerta all’incontro, perchè giacciono le pietre l’una sopra l’altra, e sono fra loro legate alla confusa, fanno la fabbrica non bella già, ma più forte dell’Ammandorlata. Ambedue queste fabbriche bensì si hanno a fare di pietre piccolissime, acciocchè l’abbondanza della calcina renda più dura la fabbrica: poichè le pietre, che vi si adoprano, essendo tenere e porose, seccandosi attraggono l’umido della calcina: onde col metterne in abbondanza, il muro, avendo maggior umido, non si seccherà così presto, e sarà meglio congiunto: perchè subito che sarà stato l’umido della calcina assorbito da’ pori delle pietre, si separa la calce dall’arena, e si scioglie; onde nè anche le pietre possono farvi presa, e perciò debbono queste mura col tempo rovinare. Che sia così, può vedersi in alcuni monumenti, che sono presso Roma, fatti di marmo, o di pietre lavorate al di fuori; e perchè il di dentro in mezzo è riempiuto di frombole, essendosi col tempo seccata la calcina, e snervata per la porosità delle medesime, si smuovono, e con ciò sciogliendosi le commessure, rovinano.

Ma se non si vorrà inciampare in questo difetto, il vuoto rimasto in mezzo fra le due fronti si ha a riempire di pietra rossa lavorata, o di mattone, o di selce ordinaria, e fare le mura di due piedi, e collegare le fronti con ramponi di ferro impiombati: così non essendo la fabbrica fatta alla rinfusa, ma con regola, potrà durare lungamente senza difetto; perchè i letti, e le commessure combaciano fra loro, e tenendo legata la fabbrica, non ispingono, nè potranno far rovinare le fronti così legate fra loro. Per la stessa ragione non è da disprezzarsi la fabbrica de’ Greci, perchè non si servono di cementi fragili; ma nelle fabbriche, che non richiedono pietre quadrate, adoprano selce, o altra pietra dura, e fabbricandole a uso di mattoni, legano le loro commessure con filari alternativi; e così fanno fabbriche di lunga durata.

Sono le loro fabbriche ordinarie di due specie, una si chiama Isodoma G, l’altra Pseudisodoma H. Isodoma si dice, quando tutti i filari saranno fatti d’uguale grossezza; Pseudisodoma poi, quando gl’ordini de’ filari saranno disuguali. Sono ambedue queste fabbriche forti, prima, perchè le pietre stesse sono compresse e dure, onde non possono succiarsi l’umido della calcina, anzi la conservano per lunghissimo tempo umida; e inoltre giacendo i letti a livello ed orizzontalmente, non ne cade la calcina, ed essendo di più collegato il muro per tutta la sua grossezza, dura eternamente.

L’altra specie è quella, (Tav. III. fig. I.) che chiamano Emplecton M, Riempiuta, della quale si servono anche i nostri contadini; in questa si puliscono solo le facce esteriori, ed il rimanente dell’interno si riempie di pietre, tali quali si trovano, legate a vicenda colla calcina. I nostri veramente, che badano alla sollecitudine, alzano le due fronti pulite, e nel mezzo gettano alla rinfusa frombole e calcina; vengono così ad alzarsi in questa fabbrica tre suoli, due cioè delle fronti, ed una della riempiuta di mezzo. Non fanno però così i Greci, ma fabbricano anche il di dentro con pietre spianate, e vanno con reciproche morse legando la larghezza de’ muri per tutta la loro lunghezza: onde non riempiono già a caso il mezzo, ma con quei loro frontati, o siano morse fortificano tutto il muro, quanto è largo, come se fosse uno; oltrechè vanno frammischiando di quando in quando tali di queste morse, che prendono tutta la larghezza da una fronte all’altra, ed essi chiamano Diatoni NN; le quali, servendo d’una gran lega, raddoppiano la fortezza del muro. Da questi miei scritti dunque potrà, chi vorrà ricavare, e scegliere quella specie di fabbrica, che sarà di molta durata; imperciocchè quelle, che sono di pietra tenera e di gentile e bello aspetto, non possono stare lungo tempo senza rovinare. Quindi è, che quando si prendono gli arbitri ad apprezzare muri esteriori, questi non gli apprezzano già per quanto costarono quando furono fatti; ma dopo trovato delle scritture il tempo dell’appalto, deducono dal prezzo l’ottantesimo per ogni anno già scorso, ed ordinano, che si paghi per queste mura quella porzione che resta, considerando che non possono tali fabbriche durare più d’ottanta anni.

Non è così poi nelle mura di mattoni, perchè basta che si veggano reggere a piombo, non ne detraggono niente, e l’apprezzano sempre per tanto, quanto valevano quando furono fatte. Quindi si veggono in molte città tanto le fabbriche pubbliche, quanto le private, e fin anche le reali fatte di mattoni. Tale in Atene è il muro, che riguarda il monte Imetto, ed il Pentelese; tali le mura delle case. Ne’ Tempj di Giove, e d’Ercole le celle sono di mattone, mentre le colonne ed i corniciami del di fuori sono di pietra. Tale è in Italia l’antico muro d’Arezzo superbamente fatto. Tale presso i Tralli la casa de’ Re Attalici, la quale ora si concede a colui, che amministra il Sacerdozio della città. Da alcune mura di Sparta furono con tagliare i mattoni segate le pitture che vi erano, ed in casse di legno trasportate nel Comizio a nobilitare l’edilità di Varrone, e Murena. La casa di Creso, la quale poi avendola i Sardiani destinata per riposo de’ vecchi cittadini, è stata come Collegio d’Anziani chiamata Gerusia. Parimente la casa di Mausolo, potentissimo Re d’Alicarnasso, benchè ha tutti gli ornamenti esteriori di marmo proconessio, le mura però sono di mattoni, e mostrano sino a’ dì nostri una gran fermezza; l’intonaco poi è così liscio, che ha un lustro, come di specchio. Nè ciò fece quel Re per mancanza, essendo ricco d’entrate, come Principe di tutta la Caria; e che all’incontro egli sia stato di talento, e d’abilità in materia d’edifizj si ricava da questo.

Nacque in Milasi, e pure avendo notato in Alicarnasso un luogo naturalmente fortificato, opportuno al commercio, e comodo porto, ivi edificò il suo palazzo. È quel luogo simile ad un teatro: nel fondo vicino al porto sta situato il foro: nel mezzo del circuito verso l’alto evvi una ben larga piazza, nel mezzo della quale è il Mausoleo numerato per l’eccellente lavoro fra le sette meraviglie del mondo: nel mezzo del castello superiore evvi il tempio di Marte colla sua statua colossale, che chiamano Acroliton, opera dell’eccellente Telocari; alcuni per altro la stimano di Telocari, altri di Timoteo. Alla punta del lato destro sta il Tempio di Venere, e di Mercurio, presso il fonte di Salmacide. Di questo fonte corre la falsa voce, che attacca il morbo venereo a quei che ne bevono: non dispiacerà però sentire, come siasi questa voce falsamente sparsa; non solo dunque non può essere, come si dice, che quell’acqua facesse diventar effeminati ed impudichi, ma anzi è un’acqua chiara e d’ottimo sapore. Il fatto è, che quando Melante, ed Arevania trasportarono colà una colonia da Argo, e da Trezzene, ne scacciarono i barbari abitanti Cari, e Lelegi; questi, fuggiti sopra i monti, vi si univano, e facevano scorrerie e latrocinj, devastando quelle campagne. A capo di non so quanto di tempo, uno degli abitanti fabbricò presso quel fonte, allertato dalla bontà dell’acqua, una taverna, e per negozio la provvide d’ogni bisognevole, allettandovi in tal guisa quei barbari; così capitandovi questi o a uno a uno, o a truppe, cambiavano l’aspro e feroce costume spontaneamente, e andavano acquistando l’umanità e gentilezza de’ Greci. Di quì nacque, che l’acqua acquistò quel nome, non già per l’attacco di quel male impudico, ma per la dolcezza ed umanità, per mezzo della quale si erano ammolliti gl’animi di quei barbari. Mi rimane ora, giacchè vi sono entrato, a finire la cominciata descrizione della città.

Siccome alla destra è il tempio di Venere, e la mentovata acqua, così dalla parte sinistra vi è il palazzo reale, costruttovi dal Re Mausolo; il quale a destra riguarda il foro ed il porto, e tutto il ricinto delle mura; a sinistra ha un porto separato nascoso sotto i monti, in modo che nessuno può nè vedere, nè saper quel, che vi si fa, ma il Re solo dalla sua casa comanda quel, che fa d’uopo a’ marinari, ed a’ soldati. Quindi avvenne, che dopo la morte di Mausolo, rimasta a regnare Artemisia sua moglie, i Rodiotti, avendo a male che una donna comandasse a tutte le città della Caria, partirono con un’armata navale per occupare quel regno. Saputosi ciò da Artemisia, ordinò, che la sua squadra, ed i suoi marinari restassero in detto porto ascosi, i soldati della marina pronti, e tutti gli altri cittadini sulle mura. Quando i Rodiotti fecero accostare al porto maggiore la lor ben guernita squadra, ordinò, che si facesse applauso dalle mura, e si promettesse di consegnare la città; or essendo quelli entrati già dentro le mura, lasciando vote le navi, Artemisia, fatto aprire ad un tratto il canale, cacciò fuori dal porto minore la squadra, ed entrò nel maggiore, e sbarcati i soldati ed i marinari, ne fece menare in alto mare la squadra de’ Rodiotti rimasta vota. In questo modo i Rodiotti, non avendo più ove ritirarsi, chiusi in mezzo, furono nello stesso foro tagliati a pezzi. Fatto ciò, Artemisia, avendo imbarcati i soldati, e i marinari suoi sopra le navi de’ Rodiotti, andò a Rodi. I Rodiotti, vedendo ritornare le loro navi laureate, credendosi di ricevere i cittadini vittoriosi, accolsero i nimici. Così Artemisia prese Rodi; ed uccisi i Capi, v’innalzò un trofeo della sua vittoria, consistente in due statue di bronzo, una delle quali rappresentava la città di Rodi, l’altra la sua persona Reale, la quale teneva oppressa la città. Col tempo poi i Rodiotti, essendo dalla religione vietato togliere i trofei innalzati, non potettero far altro, che circondarli di fabbrica, la quale innalzata, la coprirono secondo l’uso Greco, acciocchè non si vedessero da nessuno, e le posero il nome di Abaton, cioè impenetrabile.

Se dunque i Re di tanta grandezza non isdegnarono fabbriche di mattoni, essi che potevano e per l’entrate, e per le prede farle non che di pietra semplice o quadrata, ma fino anche di marmo; non istimo, che si possano riprendere le fabbriche di mattone, purchè siano ben fatte. Perchè per altro sia proibito a’ Romani di farne dentro la città, eccone le cagioni e le regole. Le leggi pubbliche non permettono, che le grossezze de’ muri esteriori sieno più d’un piede e mezzo; per conseguenza poi anche gli altri muri si fanno della stessa grossezza, acciocchè non rimangano stretti i vani: ora i muri di mattoni, se pur non sono a due o a tre ordini, ma larghi solo un piede e mezzo, non possono sostenere più che un palco solo. Quindi in quella grandezza di città, e numero infinito di cittadini, bisognando fare anche infinite abitazioni, nè potendo il suolo dare comoda abitazione dentro le mura a tanta moltitudine, la cosa stessa obbligò a ricorrere al soccorso dell’altezza delle fabbriche: quindi è, che alzandosi o pilastri di pietre, o fabbriche di coccj, o mura di sassi, e concatenandosi da frequenti travature, si hanno ora i gran comodi de’ cenacoli, e le belle vedute; così moltiplicati e i palchi e le logge, viene il popolo Romano coll’altezza ad avere comoda abitazione senza imbarazzi. Saputasi ora la ragione, perchè non si permettono dentro la città, a cagion della strettezza del luogo, i muri di mattone, è necessario sapere, come si hanno questi a fare, volendosi adoprare fuori della città, affinchè sia la fabbrica forte e di durata.

Sulla sommità del muro sotto il tetto si farà un suolo di fabbrica di coccj alto un piede e mezzo in circa, e vi si farà anche il cornicione col gocciolatojo, e così si riparerà a’ danni possibili. Perchè se mai saranno rotti o portati via dal vento i tegoli del tetto, onde possa scolare l’acqua piovana, l’armatura de’ coccj non la farà penetrare sino ad offendere i mattoni; e dall’altra parte lo sporto della cornice farà cadere le gocce di là dal piombo del muro, e così verranno a conservarsi sane le fabbriche di mattoni. Per conoscere poi quali cocci siano buoni, quali nò a questa fabbrica, non si può saper subito; ma quando si osserverà, se resiste il tegolo su i tetti d’inverno e d’estate, allora si giudicherà buono: mentrechè quei, che non sono di creta buona, ovvero non ben cotti scuoprono alle brine ed alle gelate i difetti: onde quelli, che non resistono sopra i tetti, molto meno potranno resistere al peso messi nella fabbrica. I muri dunque fatti di tegoli vecchi saranno sempre i più forti.

Gl’Intelajati poi vorrei, che non fossero stati nemmeno inventati; imperocchè quanto giovano e per la facilità e pel comodo, altrettanto poi riescono di maggiore e pubblico danno, perchè sono anche facili ad incendiarsi come fascine. Meglio è dunque colla spesa di mattoni essere in isborso, che col risparmio degl’Intelajati essere in pericolo: oltrechè quelli, che sono anche intonacati, fanno delle crepature per cagion de’ travicelli dritti e traversi, che vi sono; imperciocchè questi bagnati si gonfiano pell’umore, che ricevono, asciugandosi poi si ritirano, e così è, che fendono l’intonaco. Ma se mai o la fretta, o il bisogno, o il rimedio in un luogo fuori di squadra obbligasse a ricorrervi, si farà allora in questo modo. Si alzerà sotto un sodo, acciocchè non restino offesi dal calcinaccio, nè dal pavimento; poichè se mai fossero seppelliti in quelli, col tempo marciranno, e così sbassandosi piegansi, e fracassano per conseguenza l’intonaco.

Ho trattato delle mura, e generalmente dell’apparecchio del loro materiale, e delle proprietà buone e cattive di esse, per quanto meglio ho potuto. Tratterò ora delle travature, e del loro materiale, come anche del modo, come si prepari, acciocchè duri lungo tempo, tutto secondo le regole della natura medesima.

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