Nelle altre stanze poi, come a dire di primavera, d’autunno, e di state, come anche negli atrj, e ne’ chiostri si trovano stabilite dagli antichi certe pitture di certe tali cose. La pittura in verità è un’immagine di cosa ch’è, o che può essere, come di un uomo, di un edifizio, di una nave, e cose simili, dalla figura, e da’ veri contorni delle quali si prendono a somiglianza le copie: quindi è, che quegli antichi, che furono i primi a dare i pulimenti, imitarono al principio le varie combinazioni, che si fanno con incrostature di marmi: indi varie distribuzioni di cornici con delle riquadrature di giallo, e di rosso: si avanzarono poi ad imitare anche aspetti di edifizj coi rilievi, e sporti delle colonne, e de’ frontespizj: ne’ luoghi aperti, come pure nell’esedre, per cagion dell’ampiezza delle mura disegnavano facciate di scene o tragiche, o comiche, o satiriche: i corridori poi per l’estensione della lunghezza gli ornavano di varj paesini, copiati da certe naturali situazioni di luoghi; e di vero vi si dipingono porti, promontorj, lidi, fiumi, fonti, fari, tempj, boschi, monti, bestiame, pastori, ed in alcuni luoghi anche quadri di figure, rappresentanti immagini di Dei, o favole, oppure le guerre di Troja, o i viaggi d’Ulisse per varj paesi, o altre cose simili a queste, ma procreate dalla natura.
Queste pitture però, ch’erano dagli antichi copiate da cose vere, sono ora per depravato costume disusate; giacchè si dipingono su gl’intonachi mostri piuttosto, che immagini di cose vere. Così invece di colonne si pongono canne, e in vece di frontespizj arabeschi scanalati ornati di foglie ricce, e di viticci, o candelabri che reggono figure sopra il frontespizio di piccole casette, o molti gambi teneri che sorgendo dalle radici con delle volute, racchiudono senza regola figurine sedenti, come anche fiori che usciti dai gambi terminano in mezzi busti, simili alcuni ad effigie umana, altri a bestie: quandochè queste cose non vi sono, non vi possono essere, nè mai vi sono state; eppure queste nuove usanze hanno prevaluto tanto, che per ignoranti falsi giudizj si disprezza il vero valore delle arti. Come può mai in fatti una canna veramente sostenere un tetto, o un candelabro una casa cogli ornamenti del tetto, o un gambicello così sottile e tenero sostenere una figura sedente, oppure da radici e gambi nascere mezzi fiori, e mezze figure? Eppure gli uomini, non ostante che tengano per false queste cose, non solo non le riprendono, ma anzi se ne compiacciono, non riflettendo se possano essere o nò queste cose: onde la mente guasta da’ falsi giudizj non può più discernere quello, che può essere, o non essere per ragione, e per regole di decoro. Nè mai si debbono stimare pitture, che non sieno simili al vero; ed ancorchè fossero dipinte con eccellenza, pure non se ne deve dar giudizio, se non se ne troverà prima col raziocinio la ragione chiara, e senza difficoltà.
In fatti presso i Tralliesi dipinse eccellentemente Apaturio Alabandeo una scena nel piccolo teatro, che essi chiamano ecclesiasterion; ivi in luogo di colonne finse statue e centauri, che reggevano il cornicione, le coperture rotonde a cupola, i fianchi de’ frontespizj rilevati, e le cornici ornate di teste di lioni, le quali cose tutte indicano lo scolo de’ tetti: finse inoltre sopra questa scena un secondo ordine, nel quale si vedevano ancora cupole, antitempio, mezzi frontespizj, e tutti gli ornamenti di coperture. Ma perchè l’aspetto di questa scena per la vivezza parve bello ad ognuno, ed erano già pronti ad approvarne il lavoro, saltò fuori Licinio matematico, e disse, che sebbene erano gli Alabandei tenuti per bastantemente acuti negli affari civili, si facevano non per tanto tenere per isciocchi per un piccolo difetto d’improprietà, perchè nel ginnasio le statue che vi erano, erano in atto d’arringare cause, e quelle nel foro al contrario erano in atto di giuocare al disco, o alla corsa, o alla palla: così la situazione impropria delle figure riguardo alla natura de’ luoghi aveva fatto acquistare generalmente a tutto il paese quella mala fama. Guardiamoci ora anche noi, che una scena d’Apaturio non ci faccia tanti Alabandei, o sia Abderiti: chi di voi in fatti si fida avere sopra i tetti di tegole abitazioni, o colonne, o frontespizj? Queste cose si pongono sopra le travature sì, ma non sopra il tetto di tegoli. Che se noi approveremo in pittura quello, che non può naturalmente essere in verità, ci assomiglieremo anche noi a quei popoli, che sono per questo difetto stimati sciocchi. Perlochè Apaturio non ebbe animo di rispondere, ma toltala, e cambiata che l’ebbe, rifacendola colle regole della verità, ne ricevè applauso. Dio il volesse, che risuscitasse Licinio per correggere questo furore, e queste sconnesse mode di pitture: il perchè però si stimi più la falsa che la vera maniera, non è improprio lo spiegarlo.
Gli antichi s’ingegnavano a forza d’arte, e di fatica far piacere quello, che ora si ottiene a forza di colori, e della loro sceltezza; e quel pregio, che aveva il lavoro per la diligenza dell’artefice, ora invero non gli manca, ma per la spesa, che vi fa il padrone. Chi degli antichi in fatti si è servito del cinabro, se non parcamente, come di un medicamento? ed ora al contrario generalmente se ne tingono le mura intere. Anzi di più si adopera la crisocolla, l’ostro, e l’azzurro, i quali colori tutti ancorchè non messi con arte, pure fanno una vista sorprendente; e sono tanto cari, che si eccettuano ne’ patti, ed è in obbligo, volendogli, di metterli il padrone, non l’appaltatore.
Ho dati, per quanto ho potuto, bastanti avvertimenti, perchè non si facciano errori negl’intonachi. Dirò ora degli altri ammannimenti di mano in mano; e giacchè si è al principio trattato della calce, resta ora a parlare del marmo.