Capitolo I. Della composizione, e simmetrie de’ Tempj.

La composizione de’ Tempj dipende dalla simmetria, le regole della quale debbono perciò esser ben note agli Architetti. Nasce questa dalla proporzione, la quale in greco si dice Analogia; ed è una corrispondenza di misura fra una certa parte de’ membri di ciascuna opra, e l’opera tutta, dalla quale corrispondenza dipende la simmetria: quindi non può fabbrica alcuna dirsi ben composta, se non sia fatta con simmetria, e proporzione, come l’hanno le membra d’un corpo umano ben formato.

In fatti ha la natura composto il corpo umano in guisa, che la faccia dalla barba fino a tutta la fronte, (Tav. IV. fig. 1. e 2.) cioè alla radice de’ capelli, è la decima parte del corpo: la pianta della mano dalla giuntura all’estremità del dito di mezzo altrettanto: dalla barba al cocuzzolo un’ottava, ed altrettanto dalla nuca; dalla parte superiore del petto alle radici de’ capelli una sesta, sino al cocuzzolo una quarta. E nella stessa faccia un terzo è dal mento alle narici, un terzo dalle narici al mezzo delle ciglia, ed un terzo ancora di là sino alle radici dei capelli, dove comincia la fronte: il piede è la sesta parte dell’altezza del corpo: il cubito la quarta: il petto anche la quarta; e così tutte l’altre membra hanno ancora le loro corrispondenze di proporzione, delle quali servitisi i celebri pittori, e scultori antichi, n’acquistarono infinita lode. Debbono del pari le membra degli edifizj sacri avere corrispondenza di misure fra ciascuna parte, e tutta l’intiera grandezza. Il centro pure, o sia punto di mezzo del corpo naturalmente è l’umbilico, talmente che se si situa un uomo supino colle mani e co’ piedi stesi, e fatto centro nell’umbilico si tiri col compasso un cerchio, questa linea toccherà le dita d’ambe le mani e piedi; e siccome si adatta il corpo alla figura rotonda, s’adatta anche alla quadrata: imperciocchè se si prende la misura da’ piedi alla sommità della testa, e si confronti con quella delle braccia stese, si troverà eguale l’altezza alla larghezza, appunto come è uno spazio quadrato.

Se dunque ha la natura composto il corpo dell’uomo in maniera, che corrispondano le proporzioni delle membra al tutto, hanno con ragione stabilito gli antichi, che anche nelle opere perfette ciascun membro avesse esatta corrispondenza di misura coll’opera intera. E perciò ancora, siccome in tutte le opere adopravano ordini, lo fecero soprattutto ne’ tempj degli Dei, ne’ quali sogliono rimanere eterne le lodi, o i biasimi del lavoro: anzi la regola delle misure, le quali sono necessarie in tutte le opere, la presero pure dalle membra del corpo: tali sono il dito, il palmo, il piede, il cubito; e poi le distribuirono in un numero perfetto, che i Greci chiamano Telion. Perfetto chiamarono gli antichi il numero di dieci: imperciocchè nasce questo numero dalla quantità delle dita della mano; dalle dita poi nacque il palmo, e dal palmo il piede.

Stimò perciò Platone perfetto il numero di dieci, perchè dieci dita avea la natura formate fra ambedue le mani, e perchè era composto questo numero di unità, che i Greci chiamano monades; e che perciò subito, che queste avanzano, diventando undici o dodici ec., non possono dirsi perfette, se non quando giungono all’altra diecina: imperciocchè le unità sono le particelle di tal numero.

I Matematici all’incontro pretendono, che il numero perfetto sia il sei, perchè i divisori di questo numero, a loro modo di raziocinare sommati, eguagliano il numero di sei: così il sestante è l’uno; il triente è il due; il semisse il tre; il besse, o dimiron il quattro; il quintario, o pentamiron, il cinque; ed il numero perfetto il sei. Così crescendo sopra sei, se si aggiunge un sesto, si forma il settimo, detto efecton: si forma l’otto con aggiugnersi un terzo, ed in Latino si dice terziario, in Greco epitritos: perchè il nove si forma con sopraggiungere la metà, li chiama sesquialtero, ed emiolios: se si aggiungono due parti, che fanno dieci, chiamasi besalterum, ed epidimiron: il numero d’undici, perchè si compone coll’aggiunta di cinque, dicesi quintarium alterum, ed epipentamiron; il numero di dodici, perchè composto di due numeri semplici, diplasiona.

Parimente, perchè il piede è la sesta parte dell’altezza dell’uomo, dichiararono questo numero, che è il numero de’ piedi dell’altezza, cioè il sei, perfetto; ed osservarono, che il cubito si compone di sei palmi, per conseguenza di ventiquattro dita.

Pare ancora, che da questo sia venuto, che le città greche dividono la dramma in sei parti a similitudine del cubito, che li compone di sei palmi: imperocchè stabilirono esse nella dramma sei parti eguali formate di pezzi di rame coniati, come sono gli assi, e gli chiamano oboli; ed a similitudine delle ventiquattro dita, divisero ogni obolo in quattro quartucci, da alcuni detti dicalca, tricalca da altri. I nostri però elessero al principio il numero di dieci; onde composero il denario di dieci assi di rame, la qual moneta ha perciò sino al dì d’oggi conservato il nome di denario: chiamarono sesterzio la quarta parte del denario, perchè era composto di due assi intieri, ed un terzo mezzo. Riconoscendo poi esser perfetti del pari i numeri sei e dieci, gli sommarono, e ne formarono uno perfettissimo, che è il sedici. Fu origine di questa cosa il piede: poichè se dal cubito si levano due palmi, ne rimangono quattro, che compongono il piede; e siccome il palmo è di quattro dita, così il piede ne contiene sedici, ed a similitudine altrettanti assi di rame il denario. Se è chiaro dunque, che dalle membra dell’uomo è sorta la divisione de’ numeri, e che la proporzione nasce dalla relazione di misura presa con una certa parte fra ciascun membro, ed il corpo intiero, ne segue, che sono degni di lode coloro, i quali anche nel formare tempj degli Dei, distribuirono le membra dell’opera in guisa, che ciascuna delle parti, e tutte corrispondessero fra loro con proporzioni e simmetrie.

I principj de’ tempj sono quelli, de’ quali si compone l’aspetto, e la figura de’ medesimi. Il primo è l’In antis, che i Greci dicono Naos en parastasin, il Prostilo, l’Anfiprostilo, il Periptero, lo Pseudo diptero, il Diptero, e l’Ipetro ; i distintivi delle loro figure sono questi.

In antis si dice un tempio, (Tav. V. fig. 1.) il quale abbia nella facciata pilastri DD nelle estremità delle mura, che chiudono la cella, e nel mezzo fra i pilastri due colonne FF; il frontespizio E di sopra fatto con quella simmetria, che s’insegnerà in quest’istesso libro. Se ne vede un esempio ne’ tre tempj della Fortuna, e fra i tre in quello, che è presso la porta Salara.

ll Prostilo ha tutte le parti (Tav. V. fig. 1. e 2.) come quello In antis: solo ha dirimpetto a’ pilastri G delle cantonate due colonne D: ed i cornicioni sopra, anche come quello In antis, solo a destra, ed a sinistra nelle voltate un pezzo di cornicione per parte. Un esempio ce ne danno i tempj di Giove, e di Fauno nell’isola Teverina.

L’Anfiprostilo ha lo stesso del Prostilo; solamente di più ha simili le colonne, (Tav. V. fig. 2.) ed il frontespizio, anche dalla parte di dietro H.

Il Perittero è quello, che ha tanto nell’aspetto d’avanti, (Tav. VI. fig. 1.) quanto in quel di dietro sei colonne per parte, ed a’ fianchi undici, con quelle de’ cantoni, e quelle colonne poste in modo, che la distanza fra il muro e le medesime sia intorno intorno eguale all’intercolunnio; e così viene a rimanere attorno all’interno del tempio un luogo da spasseggiare. Tal’è il portico di Metello nel tempio di Giove Statore, architettato da Ermodoro; tal’è il portico, senza però l’aspetto di dietro, nel tempio dell’Onore, e della Virtù, presso i trofei di Mario, fatto da Muzio.

Lo Pseudodittero si forma d’otto colonne per parte nella fronte e nella parte di dietro, (Tav. VII. fig. 2.) e di quindici per parte a’ fianchi, comprese quelle degli angoli. Quindi le mura della cella corrispondono alle quattro colonne di mezzo della fronte e del di dietro; onde dalle mura al filo delle colonne vi rimane l’intervallo di due intercolunnj, e della grossezza d’una colonna. In Roma non ve n’è esempio; ma evvi in Magnesia il tempio di Diana d’Ermogene Alabando, e quello d’Apollo fatto da Mneste.

[[[UNTRANSLATED text:reference-mark: ]]] Il Diptero è anche d’otto colonne (Tav. VII. fig. 1.) alle due teste davanti, e di dietro: ma solo ha attorno alla cella doppj ordini di colonne; tal’è il tempio dorico di Quirino, ed il jonico di Diana d’Efeso fatto da Ctesifonte.

L’Ipetro ha dieci colonne nelle due teste: (Tav. VI. fig. 2.) il resto è come il Diptero, ma solo nella parte interna ha due ordini di colonne MM l’uno sopra l’altro discoste dalle mura, sicchè formano un colonnato a guisa di portico: il mezzo II è scoperto senza tetto; e vi si entra per due porte, una d’avanti, l’altra da dietro. In Roma non ve n’è esempio; ma tale è in Atene il tempio d’otto colonne di fronte dedicato a Giove Olimpio.

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