IN UNA GOCCIA DI AZZURRO.

Da tre ore Salviano, disteso sulla sabbia del Promontorio, guardava il mare.

Era il mare torvo, pieno di voci minacciose e di ondate livide, delle giornate di cattivo umore. Un'aspra brezza, acutamente salina, sbatteva in volto a Salviano, scompigliandogli i rudi capelli biondastri. Alte e rabbiose le ondate venivano a schiaffeggiare la Rupe del Promontorio cadente a piombo nel mare, sciogliendosi dopo l'inutile assalto in minutissima spuma che scintillava al sole.

E il ragazzo guardava, a sè davanti, il mare.

Lontano, sull'orizzonte, una fascia verde tagliava nettamente l'acqua color del piombo, tutta agitata e fremente, qua e là biancheggiante. Da lassù, da quella suprema punta del Promontorio – ch'era un grosso e inaccessibile scoglio, tutto picchi aguzzi e macigni accatastati, salienti su su, come mostruosi gradini, sino alla Rupe che ne è l'estremo culmine – di lassù solea Salviano dominare tutta l'irrequietissima massa di acqua spumeggiante.

Non una vela appariva sul verdastro piano. Così pure non una nube aveva il cielo, azzurrissimo. Solo due gabbiani – ch'or apparivano lontanissimi or vicino – si rincorreano sulle ondate, aperte le larghe ali tese, spruzzantesi sulle creste di spuma.

Salviano non dava un moto.

Egli era un bel ragazzo quindicenne, molto forte. Le braccia e le gambe che or si vedevan nude nel naturale abbandono del riposo avean ricevuto il bacio delle onde, il bacio caro ai figliuoli del mare. Il capo scoperto, dai capelli già per natura biondastri ed ora arsi dal sale marino e fatti color del rame, non temeva il sole ancor ardente del settembre, che avvolgevalo tutto, in quel momento, della sua fulgente carezza.

Egli avea portato lassù la rete, per iscusare o fors'anche, piuttosto, per celare il lungo suo ozio di quelle ore, Ma la rete giacea, ora, dimenticata, sulla sabbia.

Un granchiolino dalla bruna pelle rugosa e da' vividi occhietti eravi restato prigione: e con le industriose zampette frementi cercava aprirsi una via fra le tenaci maglie colore della ruggine.

Ma Salviano non badava a l'animaluzzo. Parea dormire, tanto egli era immoto...

I suoi occhi verdi fissavan il mare e, come quel mare agitatissimo, parean inquieti e tempestosi, in quel momento.

Ma ad un tratto, nel quieto momento di silenzio tra l'uno e l'altro furioso scoppio delle ondate incalzanti il Promontorio, si fe' strada una voce lontana che riuscì a colpire l'orecchio de l'inerte pescatore:

– Salviano! Salviano!

Ed era una giovane voce quella che chiamava; una giovane voce di donna: e veniva da basso, verso terra, da' piedi della scogliera.

Salviano si sollevò sul gomito e porse attento l'orecchio.

– Salviano! Salviano!

Una lieve vampa colorì il volto del giovane pescatore. Stette un poco perplesso, indeciso... ma si lasciò bentosto nuovamente cadere nel supino atto di prima. E, ritornò immoto e silente.

La giovine voce femminea intanto, da terra, seguitava a chiamare.

Era una bella fanciulla, quasi una bimba ancora, flessibile ne le membra, e bionda; piccola e nervosa, e, come Salviano, baciata anch'essa dal mare.

Ella appariva raggiante.

Corse a Salviano e gli disse fremente di allegrezza:

– Ma vieni una volta. Salviano! Non sai? è arrivato, Betto. È venuto, finalmente! E ha cercato subito di te.

Salviano la guardò, come stupito, poi disse:

– Ah sì? Betto?

– Sicuro.

Ma siccome Salviano non parea ancor deciso a muoversi, la fanciulla spinse il forte ragazzo, incalzandolo:

– Ma vieni una volta, vieni!

E saltellante e sguisciando, di masso in masso, su gli scogli erti e diruti, ella s'avviò avanti.

Salviano la seguì: lento, svogliato, indugiando.

La fanciulla intanto, mentre andava, diceva, con lievi scoppi di risa che le tremavan ne la voce, e tanto allegra che non si accorgeva affatto della grande musoneria del ragazzone:

– Come si è fatto alto e robusto, vedessi! Non lo si riconosce più. È bruno, poi! È quasi nero, ti dico, Salviano. Egli ha detto che è il mare, lassù, dell'Oceano!...

E a un tratto, seria, si fermò per dire a Salviano:

– E sentirai come parla.

Poi, saltellante, ebbra di gioia, proseguì la via, verso la costa, così agile e sicura sulle creste dirute e scabrose, ferma sui suoi piedini amici de' ciottoli della scogliera...

Salviano, silenzioso, la seguì.

Davanti alla capanna, ritto di fronte al mare, Betto appariva, alto, snello e nervoso.

Egli rideva, volto al padre, il vecchio Salvatore, che lo ammirava commosso.

La Teresa sulla porta della capanna non avea gli occhi asciutti e una lontana lugubre visione, forse, la visione di una barca capovolta in balìa delle onde ed un altra giovinezza (come quella ch'avea ora di fronte) ingoiata da quell'azzurra spianata ch'ora luceva davanti, le facea tremare il cuore in quel momento...

La Mina saltellò incontro al giovane ridendo:

– Betto, Betto, guarda!

E gli spinse incontro Salviano, ch'era restato indietro, intimidito.

Betto lo guardò un attimo poi si gettò nelle braccia del fratello.

– Salviano! come ti sei fatto alto! Se ti ho lasciato monelluccio così! ... Ma sei proprio tu?...

E lo guardava ancora stupito.

Betto era più alto di tutta la testa di Salviano, ma più sottile e molto bruno. Il suo bell'abito di marinaio era l'incanto della Mina e della Teresa, che lo facean voltare da tutte le parti per meglio ammirarlo,

Ed egli lasciava fare e rideva.

Avea sul braccio il rosso distintivo.

– Sempre vecchi amici del mare, no? – domandò egli a Salviano, ridendo, accennando l'ampia distesa verde che non s'era peranco acquetata.

– Oh! – e il forte ragazzo dette una lunga occhiata alle acque irrequiete.

– È la nostra famiglia il mare, vuoi dire, no? È vero. Ci siam nati su, noi. Ma me ne ha fatti passare dei brutti quarti d'ora quell'amico lì, sai?... Oh, sì. Ma... finisce per trattare da buon amico, in fondo, poi. Già, ci conosce.

E Betto rimase un momento a guardare in silenzio il suo mare, come ricordasse tante cose.

– Ne hai avuto delle tempeste, vero? – dimandò la Mina.

Betto si volse alla fanciulla, accarezzandole famigliarmente la gota.

– Bambina! si chiede questo ad un marinaio?

– Hai ragione, Betto: sono una sciocca.

– Sei un'adorabile cuginetta... e tanto bella, poi!

La Mina arrossì tutta schermendosi, mentre il vecchio Salvatore notava:

– Ti sei fatto signore nel parlare, Betto! adoperi certe parole aristocratiche...

– Davvero? Sapete... ho girato mezzo mondo!

– E quante ne avrai fatte, no, birbante?

Betto diede in una franca risata.

– Vi giuro, babbo...

– Va là, non giurare. Tanto non ti crediamo. Non è vero Mina?

Ma la Mina non rispose. Quel discorso evidentemente non le andava. Senza neppur immaginarlo il vecchio Salvatore aveva steso, con quelle innocenti parole, una lievissima nube sulla schietta sua felicità di quel momento.

Se ne accorse la Teresa, ch'era donna.

– Betto è un buon ragazzo – disse.

Ma Betto era già lontano.

Egli cercava Salviano, che si era accoccolato sulla riva, sino a farsi toccare i piedi dalla spuma biancheggiante.

– Oh, Salviano è un taciturno! – disse Salvatore.

– È vero, non pensa ad altro che al mare, lui – notò la Mina

– Ma, voi lo sapete: il sangue non falla! – esclamò Betto guardando con intenzione il padre.

Il vecchio pescatore sorrise di compiacenza.

– Che vuoi? noi nelle vene abbiamo acqua salsa insieme col sangue! – concluse egli.

E gettó un ciottolo nell'acqua verdastra che sprizzò all'intorno un'aureola di gocciole scintillanti.

La Mina avea diciassette anni.

Era bionda, minuta e all'aspetto gracilina ma forte e flessibile. Anch'essa avea, da' primi suoi anni, bevuta la forte brezza salina e le sue spicciole membra nervose s'eran rinvigorite al bacio de l'onda salsa. Non era una grande bellezza, quella piccola figlia del mare: ma i suoi occhi color, appunto, del mare calmo avean una dolcezza infinita.

Ella appariva più picciola e gracile quando era a fianco di Salvano, il forte ragazzo pescatore.

Il suo robusto fratello cugino la superava di tutta la testa ed era il doppio di lei....

Fratello cugino... così ella considerava Salviano, ma pur nulla avea ella veramente comune con lui. Giacchè la Mina non era la figliuola della Teresa, la seconda madre del giovane pescatore.

Una fredda notte del dicembre, mentre le ondate squassavano il Promontorio, qualcuno avea bussato alla porta del misero abituro della Teresa, la vedova di Andrea il pescatore; della povera Teresa ancora in lutto per la morte del suo unico figliuolo andato in una terribile notte di pesca e di tormenta a ritrovare il padre suo in fondo al mare rabbioso.

La Teresa, tutta spaurita, non sapendo chi potesse a quell'ora battere alla sua porta, era andata tremante ad aprire... Era don Piero, il buon curato del vicino paesello. Egli era entrato battendo i denti pel freddo, intirizzito e bagnato dalla diaccia acquerugiola che cadeva minuta. E avea posato sopra il letto della Teresa un bianco fardello. E avea detto:

– Presto del fuoco, Teresa.

Il buon prete tremava tutto dal freddo ma fors'anche da l'emozione. A stento riusciva a spiccicar le parole da le labbra diacciate.

Il sant'uomo avea fatto sei lunghe miglia a piedi, sotto il vento gelato e la pioggerella sottile; era venuto così, dalla sua piccola cura alla capanna della Teresa.

Ed essa avea acceso il fuoco. Allora il buon prete avea aperto il bianco fardello, cautamente, e ne avea tratta una fantolina di pochi mesi. Dio, come piccina! Bionda, bianca, la boccuccia socchiusa, le manine sul petto, la piccina dormiva quietamente, calda e tranquilla nella grossa coperta di lana: ignara della tempesta e del gelo che avea dovuto superare.

– Gesù! – avea esclamato la Teresa. E china sul volto dell'angiolino dormente, stupita e commossa, alzava il volto verso il buon prete, non sapendo...

E il buon prete, vincendo alfine alla allegra fiammata l'assideramento che lo faceva ancora a tratti rabbrividire, così disse alla Teresa:

– Su, Teresa, il buon Dio vi manda un piccolo angelo al posto del vostro povero figliuolo ch'egli ha voluto con sè.

E, come se avesse parlato tra sè, continuò:

– Oh! nel mondo ci sono dei peccatori, dei peccatori terribili: la mano di Dio grava su di essi e noi non dobbiamo che pregare perchè ella non sia troppo severa su di essi. Ma le povere anime innocenti non debbono sopportare il fio delle colpe dei malvagi, ah no! A voi, Teresa, che siete una santa, io affido questa povera anima: ch'ella ignori sempre la sventura che gravò sull'istante in cui essa aprì gli occhi alla vita. Chi peccò è già stato punito da Dio. Sappiatelo, Teresa. Ora piange la sua colpa. Che nessuna di quelle sue lagrime ricada sopra quest'anima innocente e ignara!... Dio ha voluto sceglier me per tutelare questa povera creatura infelice... D'ora innanzi, Teresa, quest'angelo è vostro: voi sarete la sua mamma. Nessuno verrà mai a togliervelo.

La Teresa che si era inginocchiata mentre il buon prete parlava si chinò sulla sua mano bagnandogliela di lacrime.

– Due anime che vi hanno amato e che vi amano vi guardano da lassú, Teresa – disse ancora don Piero e sono contente di quest'innocente che viene a ricordarvi la dolcezza dell'amore di madre...

– Ed ora – concluse – bisogna ch'io vada. Prima dell'alba debbo essere di ritorno alla mia chiesa. Nessuno deve sapere mai nulla di quanto in questa notte terribile è avvenuto. Voi ed io siamo custodi di questo secreto... Terribile, Teresa, credete a me!...

Prima di andar via il buon prete si fermò ancora un momento:

– A proposito, buona Teresa... dimenticavo una cosa. La... – e si arrestò un istante quasi a cercare un altro nome da dare alla persona che volea nominare – la... povera madre di quest'angiolo che ormai è vostro, mi ha pregato di una grazia. La bambina si chiama Marina. Sappiatelo. Io stesso l'ho battezzata... Mi vedrete qualche volta e non vi mancherà mai nulla.

La buona 'Teresa baciò ancora una volta la mano al prete, piangendo, e don Piero uscì, affrontando di nuovo la notte buia e diaccia.

La piccina, rosea ora pel dolce calore della stanza, sul letto della Teresa, dormiva sempre: ignara della fiera tempesta in cui era passata la sua esile vita.

Così la piccola Marina era diventata la bella Mina: una bambinetta dolce e seria, dai begli occhi color del mare, che, nella sua picciola vita, aveva un solo grande amore la sua buona mamma Teresa, e un solo grande diletto: l'azzurro sconfinato del mare che veniva a lambirle i piedini sin sulla porta della capanna. Talvolta ella amava raccogliere pazientemente le belle conchiglie che la marea lasciava sulla sabbia scintillante di mille diamanti al sole. E allora in questo lavoro ella era aiutata da altri due ragazzetti: Betto e Salviano, i figli di Salvatore, il pescatore che avea la capanna a' piedi di quella grossa roccia dirupante in mare e che chiamavan il Promontorio.

Salvatore era rimasto vedovo con que' due fantolini sulle braccia: Betto, il più grande, un monello vispo e biricchino, sempre ne l'acqua salsa; Salviano il piccino, un bel bambinone pacifico, dai capelli biondastri e dai grandi occhi stupiti a guardare il mare ove si avventurava per lunghe giornate il padre.

La piccola Mina s'era fatta l'indivisibile compagna de' due ragazzetti del pescatore. Oh, il Promontorio ne avea ben vedute di corse e di giuochi; la vecchia roccia aspra e nera ne avea ben udite di vocette squillanti e giulive a' suoi piedi dirupati!...

Ed eran così graziosi que' cari diavoletti quando uniti folleggiavan sulle ghiaie lucenti della spiaggia, ed eran così contenti, nella loro tristezza e solitudine le due buone creature Teresa e Salvatore, di ammirarli così felici e ignari, che una volta il pescatore disse alla donna:

– Sentite, Teresa, non vedete come si vogliono bene queste povere creature? sembrano fratelli! Vogliamo farli felici? facciamoli fratelli davvero! Che ne dite Teresa?

La buona Teresa sorrise poi finì per dire:

– Pare anche a me che abbiate ragione, Salvatore.

E fu così che la Teresa sposò Salvatore e delle due capanne se ne fece una sola e la Mina e i ragazzetti vennero a formare una sola nidiata.

Ed erano cresciuti su insieme.

La piccola Mina s'era fatta una bella giovinetta seria e pensosa, da' begli occhi color del mare ove passava a volte un'ombra di melanconia: misteriosa coscienza, forse, per lei che nulla ne sapea, della grande tristezza de' suoi primissimi giorni. Essa credeva in buona fede Teresa sua mamma e tenerissimamente la amava. Ma nel suo piccolo cuore, nella sua mente di giovinetta, qualcosa si apriva che non era di que' poveri pescatori: in quel soave fiorellino sbocciante in quella goccia di azzurro, qualcosa sorgeva che ne diceva la fine razza dalla quale ella inconscia veniva. Erano in lei vaghi sentimenti indecisi: rimaneva a lungo a guardar il mare azzurro e sognava... Una misteriosa tenerezza le facea gruppo nel cuore: un'infinita dolcezza per qualcosa che vagamente desiderava, senza saper che fosse, la colmava di un sottile soavissimo sgomento... Ella, ignaro frutto dell'amore, sentiva in sè fremere ed anelare misteriosamente il piccioletto iddio che forse era stato la sventura de' suoi, ignoti e sperduti per lei. E i suoi occhi, in que' fuggevoli momenti di indefinito languore, s'empievan di luce e si posavan sul mare dove spesso, guizzavan, agili e bruni, le membra de' giovanetti suoi compagni, Betto e Salviano...

Betto specialmente. Egli s'era fatto alto, snello e vigoroso, Il suo agile corpo bruno avea i guizzi delle anguille e dei cefali, nell'onda azzurra. Egli era bello: e lo sguardo della Mina si posava con inconscia tenerezza su di lui quando le era a lato, o quando nella barca del padre remava con forza, per prendere il largo, nella bianca luce dell'alba, quando il vecchio pescatore co' suoi figliuoli partivan per la pesca.

Ed anche Betto guardava con tenerezza la sua piccola cuginetta come la chiamavan i due ragazzi. Una volta ch'ella era stata lievemente malata egli apparve così sconvolto, così spaventato: la Mina lo vide a' piedi del suo letticciolo, nella modesta capanna, così disperato, tenerle fissi in volto que' suoi neri occhi con tanta intensa sollecitudine, e gli scorse nel volto tanta gioia quand'ella si riebbe e fu tòlta d'ogni pericolo, che la giovinetta sentì scenderle in cuore tanta grata tenerezza, tanto soave giubilo verecondo che, non vista, pianse a lungo di dolcezza e di gioia. E una soavissima speranza sbocciò per la prima volta nel suo cuore.

Ma Betto compiva ormai i venti anni. Venne incorporato nella leva, di mare e dovette partire per fare il marinaio.

Era una chiara alba di ottobre quando la barca di Salvatore fu preparata per condurre Betto ed altri due suoi compagni pescatori dalle spiaggie vicine, a Genova, per presentarsi al distretto di marina.

Sulla spiaggia Salvatore, Teresa e il fratello stavan attendendo con Betto i due compagni che dovean partire con lui. E intanto se lo tenevan in mezzo, stretto, nell'ultima tenerezza della partenza. Il vecchio Salvatore avea gli occhi umidi ma era orgoglioso che suo figlio facesse il marinaio. Egli lo avea fatto, suo nonno pure: era una famiglia di marinai, la sua, soleva dire con compiacenza; era giusto che il suo Betto pure fosse un marinaio.

La Mina era un poco in disparte. Guardava la ghiaia lucida, che scintillava al sole. Ella sola non avea parlato, ancora, non aveva detto nulla.

Betto si sciolse da' suoi e andò a lei. La guardò un poco, in silenzio, confuso, poi le prese una mano.

La giovinetta abbassò la testa.

– Mina... – cominciò Betto. Ma si fermò, indeciso.

La Mina gli alzò in volto que' suoi occhi color del mare, splendenti ma asciutti.

– Mina... – riprese il giovinotto – Oh, Mina, prima di partire... volevo dirti una cosa...

La fanciulla trepidamente attese.

Ma Betto era commosso, confuso, non osava: non sapeva dire, forse.

Le strinse più forte la mano, poi l'avvicinò a sè: la giovinetta smarrita gli gettò le braccia al collo, singhiozzando.

Egli la strinse tutta a sè: poi le mormorò fra le lagrime:

– Mina, te lo dirò quando sarò tornato quello che voleva dirti ora... vedrai, Mina mia, aspettami, non mi dimenticare.

– Oh no, oh no – mormorò la giovinetta tutta in lagrime, tremante, perduta fra le braccia del giovane pescatore.

Tanta era la dolcezza, la trepida gioia, la tenerezza per la cara dichiarazione e la promessa del giovane che la Mina si sentì per un momento quasi mancare... Le parve che tutto, a lei d'intorno, si accendesse per una rapida luce fulgidissima: poi seguì come un buio, un nero, uno smarrimento di tutto e di tutti. Rimasero un istante così perduti, smarriti, cuore contro cuore, stretti l'un l'altro.

Poi si sciolse da lui, gli sorrise ancora una volta, dolcissimamente, e andò poco discosto, sotto uno scoglio, a gettarsi a sedere sulla ghiaia bagnata dalla marea, che le veniva a toccare i piedi.

Betto partì: ella seguì la barca con gli occhi e con il cuore finchè potè, finchè non fu più che un oscuro lontano punto perduto nell'azzurra conca scintillante di pagliuzze di luce.

E per tutto quel giorno e i seguenti ella guardò a lungo il mare: e per la prima volta le parve cattivo e crudele.

E nella notte, quando la tormenta squassava il mare sulla spiaggia, e la bufera facea tremare la capanna, e gli urli delle onde furiose si confondevano con i fischi irosi del vento, la Mina nel sonno affannoso sognava una nave lontana, perduta fra i marosi di un mare immenso, senza fine, nero e spumeggiante. Alte montagne d'acqua, dalle creste irte scintillanti nella notte, le venivano addosso da tutte le parti: in alto il cielo nero era còrso da immani nuvole mostruose, che si rincorrevano, s'accavallavan, si scompigliavan senza tregua, senza pace, portate a volo furioso da quel vento, infernale... E nel sogno vedea le rupi aguzze del Promontorio e sognava di Betto pallido, intirizzito, molle d'acqua da capo a piedi, sulle rocce sopra il nero abisso, esposto alla morte, al vento sibilante, alla pioggia che lo sferzava, alla tempesta che lo incalzava da tutte le parti...

Si svegliava di soprassalto e la sua mente correva allora alla realtà. Dov'era Betto in quel momento? che faceva? ove era la sua nave, la sua bella e grande nave, della quale avea scritto una volta, da un paese lontano e sconosciuto, con tanto entusiasmo? E la fanciulla tremante, nella notte buia e paurosa, mentre fuori le mille voci del mare e del vento la faceano sussultare, vedeva Betto intirizzito sulla cima d'uno smisurato albero di maestra, piegato dal vento, tra il viluppo dei cordami battuti dal vento, in vedetta, aggrappato alla gomene, pendente sul mare nero e burrascoso, pallido ma forte, stanco ma bello, vigile ma sicuro... O forse passeggiava di guardia, sul ponte, silenzioso ed attento, mentre il mare gli mandava i suoi spruzzi salmastri ed egli guardava fiso all'orizzonte nero, al di là di quelle nubi tenebrose, volando, con il cuore, ad una nota spiaggia, anch'essa mòrsa dal mare, in quel momento, ove in una povera capannuccia, tutta agitata dalla bufera... O fors'anche in quel momento egli dormiva, là, sotto il ponte, in quella sua cuccetta ch'egli aveva una volta rozzamente e scherzando descritta in una delle sue, ahimè! così rare lettere alla mamma Teresa... E forse ancora, chissà? forse sognava della sua «piccola cuginetta» tanto lontana...

E la povera Mina si voltava e rivoltava nel letticciuolo, la mente accesa, il cuore che le batteva, le membra stanche, gli orecchi assordati dagli strilli della bufera di fuori. Finchè veniva l'alba a mettere nella capanna il suo scialbo chiarore. Allora il pescatore si levava, svegliava Salviano per andare alla pesca; la Teresa si alzava e diceva le orazioni e la Mina, pallida, sbattuta, per la notte insonne, gli occhi pesti e un leggero brivido nelle ossa, andava a guardare il mare, lungamente e tristamente, come quel primo giorno, che Betto era partito.

E Betto era ritornato!...

Oh, le belle serate che seguiron que' primi giorni del ritorno di Betto!

Nella capanna ben chiusa, davanti al focolare acceso, mentre fuori il mare brontolava nella sua eterna questione con il Promontorio, Betto parlava della sua nave, della sua bella nave, la loro casa; e dei viaggi, dei paesi lontani e così strani! e del mare...

«Il mare! ce lo sentivamo cantare intorno, di giorno, di notte all'alba, a sera: avevamo sempre nelle orecchie la sua voce, egli ci parlava e noi parlavamo a lui: ma era la voce del gran mare, quella lassù, dopo tutti gli scogli, quello alto, quello grande, quello che è veramente e completamente mare, vasto, sconfinato, aperto da tutte le parti: che non ha nessuna prigionia di terra, da nessuna parte ove posi lo sguardo. Non ha altro che il cielo, compagno: il cielo sopra, bello come lui quando è bello, e vasto infinito come lui. Sapete!... noi siamo abituati a sentirlo parlare il mare, da quando siamo nati, perchè ci siamo nati sopra: ma lassù in alto, il vero mare, la sua voce è diversa! È più forte e più dolce, vi dice più cose e più cose vi promette... E quanti mari ho veduti e tutti differenti!...»

E Betto si fermava e socchiudeva gli occhi quasi per riafferrare la visione, nel suo cuore di marinaio, di quel mare là; «quello lassù, dopo gli scogli, quello grande...».

E ripigliava:

«E non eravamo mai fermi!... La nostra bella casa guizzava sempre. Si dava un addio all'ultima città italiana che ci aveva tenuti un mese e via!...»

E nella rozza parola appassionata di Betto passavano le luminose città della Spagna, dal cielo sempre azzurro e dalle vie alberate piene di splendide donne dagli occhi neri che vi gettano passando uno sguardo – uno solo – che vi fa rimaner pensierosi e tristi per tutta la strada; le grigie e nebbiose città inglesi piene di fango nero, di fumo, di operai di tutte le razze, di donne bionde, stecchite e forti come uomini; poi le smisurate città americane, che non finiscono mai, colossali mucchi di case allineate con precisione, tutte uguali, tutte del pari riboccanti di gente frettolosa, di vetture a vapore, di treni, di macchine e di lavoro febbrile; finchè si arrivava nei paesi fantastici, del sole, mai pensati, mai sognati: dove tutto era nuovo, strano, bizzarro: bello e orrido, magnifico e buffo, nel medesimo tempo: le città dell'Asia, della China del Giappone e dell'Oceania... Betto era stato due mesi nel Giappone, durante la guerra, ad incrociare in quelle acque: e parlava di quelle strane città che sembran giuocattoli, di quelle strade piene di camelie, di quella strana gente di quelle bizzarre donne che han gli occhi a mandorla e i piedini da bambola...

E intorno a lui, nella capanna, vicino al focolare, i suoi cari stavano a sentirlo parlare, in silenzio: vivendo ciascuno in sè di quella sua vita scapigliata e avventurosa di uomo di mare, di marinaio, che tanto accende le menti e i cuori de' nostri abitatori della Riviera.

E la Mina chiudeva gli occhi e ascoltava per non perdere un suono della cara voce appassionata di Betto.

Poi venivano le belle mattinate di pesca, quando il cielo era sereno e il mare tutto frizzante sotto la primissima brezza dell'alba. Gli uomini sulla riva, nude le gambe e le braccia, tiravano le lunghe reti messe in mare la sera innanzi. L'acqua, da prima cinerea, si veniva colorando man mano di roseo; ed erano lunghi guizzi di porpora, sempre più intensi, che venian tremolando ad infrangersi fin sotto i piedi dei pescatori, finchè il sole non sorgeva rosso infocato ed accendeva tutto all'intorno. E gli uomini allora apparivano come nere macchie sopra lo sfondo ardente del cielo e del mare; e la Mina guardava intensamente la maschia figura di Betto alto, snello sopra l'acqua fiammeggiante. Finchè le reti non erano ridotte vicinissime e allora si riversava nelle barche accostate tutto l'argento, vivo e frizzante, dei pesci che fremevano e si scontorcevano, appena fuori dell'acqua, nell'ultima loro agonia nelle grandi ceste fragranti di salino.

Ma pure la Mina non era contenta. Una lieve ombra si andava posando sul suo piccolo cuore fremente e ne offuscava la trepida gioia che se n'era fatta padrona al ritorno di Betto.

Ah! egli era sì grazioso e garbato con lei, tanto buono, oh sì, tanto! ma... Mina non finiva, il pensiero recondito, ma un lungo sospirone completava la tristezza. E la giovinetta accorata si chiedeva: «aveva dunque dimenticato proprio del tutto, Betto, quell'addio così indimenticabile per lei, quel giorno, sulla spiaggia, davanti al mare azzurro?...» L'avea dunque egli potuto dimenticare? Oh! ed ella non aveva saputo più cancellarlo dal cuore, quell'addio, quella barca, quella spiaggia, quel mare azzurro e quel sole morente! E le sue dolci parole? Quelle sue così care parole, soffocate fra i baci, che l'avean fatta quasi morire di dolcezza e che avea tante volte sentito risonar sempre più care, sempre più tenere, sempre più indimenticabili, come una soave musica lontana e ineffabile, nelle sue lunghe notti affannose e nelle sue eterne giornate scorate? Quelle parole ch'ella avea chiesto tante volte al mare, all'alba, quando s'empieva di luci guizzanti come quel giorno, o la sera, al tramonto, quando il breve risucchio della marea veniva a baciare la sabbia e i suoi piedini scalzi, con i suoi piccoli baci di spuma? Oh, e avea egli dunque potuto dimenticarlo? e così presto?...

Ah, ella temeva alle volte di capire. Un triste pensiero le mordeva in que' momenti la mente e il cuore. Oh! il mare, il mare!...

Ah, ella temeva alle volte di capire. Il mare glielo avea dunque rapito?... Chi sa? Ne parlava con troppo entusiasmo fors'anche – ella lo sentiva bene – con rimpianto. E più che il mare, la nave, la sua nave... Ah, quella nave ch'egli rammentava con tanto accoramento ed entusiasmo! Aveva potuto dunque una nave far dimenticare quell'addio, far obliare la dolcezza, la tenerezza di quell'ora così ineffabile?...

Ma – si chiedeva ella ancora, rabbrividendo – era proprio il mare solamente?... Era proprio solo la nave?... Non aveva avuto Betto lunghe fermate in paesi di terra, in quelle grandi città ch'ei rammentava così spesso, alla sera, ne' suoi ricordi?...

E allora un sottil dubbio atroce si delineava insistente davanti al suo cuore. Ah, era pur vero! Non del solo mare egli parlava con tanto fuoco ed entusiasmo! Quante belle, grandi e popolose città aveva egli vedute! Quante di esse egli ricordava con vago rimpianto! Chissà? chissà? Se il suo cuore avesse mai dunque battuto più celere in nessuna di esse?...

E il povero visino della Mina s'oscurava.

Ella si vedeva sfilare davanti alla mente turbata una miriade di volti di donne di altri paesi; vaghe, lontane, inafferrabili per lei, così differenti dai volti noti e consueti...

Vagamente ella si raffigurava le brune spagnuole dai neri occhioni pieni di fuoco, ch'egli aveva una sera descritto, rifacendone l'acconciamento con una pezzuola di lei stessa, della Mina; e le briose francesine tutto spirito e le bionde inglesi... E le piccole giapponesi dagli occhi a mandorla e dai piedini di fata?...

Mai il suo cuore aveva dunque battuto, là, in que' paesi smaglianti, così lontano da quel povero scoglio dimenticato sul mare azzurro?...

Chi sa? chi sa?...

Forse mentre lei piangeva, secretamente e si accorava....

E allora la povera Mina si faceva triste e si sentiva tanto infelice. E di nuovo un vago risentimento la prendeva contro tutto quel mare inesorabile che aveva fatto conoscere tante altre donne al suo Betto.

E Salviano da che era ritornato il fratello si era fatto sempre più taciturno.

Passava adesso lunghe ore sulla sabbia del Promontorio, sulla rupe più alta, più inaccessibile e scoscesa, lungo disteso, tenendo i grigi occhi sbarrati sul mare.

Egli sfuggiva volentieri la compagnia del padre, della Teresa, del fratello ed anche della Mina.

– È un selvaggio! – diceva Salvatore, per iscusarlo, e senza pensarvi più che tanto.

Ma la Teresa scuoteva la testa, pensosa.

Betto rideva, con franchezza, e non mancava di motteggiarlo affettuosamente appena lo scorgeva, la sera, al parco desco, o attorno al focolare, nella capanna.

Ma una sera ch'eran soli, Salviano agli scherzi del fratello s'era rizzato, mentre una rapida vampa gli coloriva il volto:

– Lasciami stare... tu!

E lo aveva guardato con tale sguardo scintillante e mai veduto che Betto n'era rimasto sbalordito.

– Che strano pazzo di ragazzo si era fatto quel monello!...

Tanto che Betto ne aveva chiesto, la sera, alla Teresa.

– Non te ne curare – aveva risposto la buona donna, un poco inquieta però suo malgrado – è sempre stato così, un poco bizzarro.

– Pareva volesse mangiarmi! – si accontentò di aggiungere Betto. E non vi pensò più che tanto.

Ma la Teresa n'era rimasta impensierita.

Da troppo tempo ella si era accorta di quello che covava nel cuore il fiero ragazzo.

E da quella sera decise di affrettarsi.

Bisogna riparare in tempo.

Seduto sulla spiaggia Betto guardava il mare. Era azzurro, liscio, senza una ruga; il mare de' giorni dell'ozio, il mare d'olio, il mare che fa dondolare la barca lieve e fa dormire la nave a vela, cullandola nel suo seno enorme, come una grande mamma severa e capricciosa che dimentica per un momento le sue bizzarrie e vuol far la buona, ed è tutta dolce ed amorosa... La brezza fischia leggera fra le sartie e canta sottovoce: la fiamma in alto guizza come un serpentello e tutto tace a bordo, tutti dormono, vinti dalla grande ninna-nanna.

E Betto guardando il mare si sentiva prendere da una sottile malinconia. Dov'era in quel momento la sua nave, la sua bella nave, così mostruosa e così gentile, tutta di ferro e lieve come un cigno nell'acqua azzurra, fremente come un congegno infernale ne' suoi immani ingranaggi nascosti nel seno e guizzante come un'anguilla fra il suo nugolo di spuma bianca? Dov'era in quel momento la sua bella e potente nave, la sua casa, ove tanti mesi, tanti giorni, tante ore aveva vissute, lavorate, godute, sofferte, faticate?... Forse in quel momento, puntino perduto nell'immensità del mare, era slanciata a tutto vapore verso paesi lontani, sconosciuti, dall'altra parte del mondo; forse si cullava placida e maestosa nelle acque verdi del porto di qualche immensa città. E intorno a lei correvano barche, guizzavano neri vaporini frementi e gremiti, cantando con le sirene, e la forte, febbrile vita de' grandi porti di mare si agitava intorno ad essa calma e sicura ed impassibile spettatrice: emblema della forza e delle glorie della sua patria – come aveva detto tante volte il capitano suo parlando a' marinai. – E quella voce robusta e simpatica, avvezza al comando, Betto se la sentiva risuonar in quel momento all'orecchio e nel cuore come una cara, lontana musica, piena di dolcezza e di forti memorie. – Egli chiudeva un momento gli occhi e riviveva la vita di bordo: quella vita così varia, così pittoresca, così cara malgrado le inevitabili durezze, le fatiche, i disagi, i pericoli, che nessun marinaio dimentica mai più. – E le ardenti commozioni delle manovre – i bei giorni di battaglia – sfilando davanti al Principe, sulla sua bella Ammiraglia, in mezzo a nuvole di fumo, al rimbombo dei cannoni, agli hurrà, quando la nave è tutta una febbre, e freme nelle viscere e fende l'acqua e tutto d'intorno spuma, ribolle, sparisce in un nembo di polvere bianca e scintillante!...

Betto seguitava a guardare il mare quieto, e pensava.

Ah, quel mare, quel mare!...

Se gliene aveva dato di forti piaceri al suo cuore di figlio di mare nato sul mare, cresciuto alla sua riva, con un intenso desiderio di vivere e di morire su di esso!...

E una sottile idea che, già da qualche tempo, era sorta misteriosamente nel suo cuore, si andava ora delineando più nettamente davanti alla sua mente.

Vivere e morire su di esso!...

E perchè no?

Non si sentiva egli marinaio nel sangue, nelle ossa, nel cuore, in tutto il suo essere?

Suo padre non era stato dunque marinaio? Suo nonno, il vecchio suo nonno, che, piccino piccino, se lo prendeva sulle ginocchia per raccontargli le sue lunghe storie di mare, avventure straordinarie, viaggi fantastici, non era dunque stato marinaio tutta la sua vita?

Non l'aveva dunque nel sangue quest'ardente, invincibile amore pel mare?...

E perchè non doveva seguirlo? Perchè non ritornava marinaio? E per sempre – per sempre?...

A quest'idea Betto sollevò la testa, colorito in volto, sentendo un'ondata di dolcezza invadergli il cuore.

Sì, sì, marinaio – marinaio – ecco il suo destino, la sua vita, il suo avvenire, la sua passione. – La vita sul mare, baciato sempre dall'onda salsa: inerpicato sopra un albero che tocca il cielo, librato nell'azzurro fra la rete aerea delle gomene, attaccato ad una vela candida, gonfia di vento, come un'ala enorme di gabbiano; il breve sonno sur una corona di corda, in un cantuccio nascosto del ponte, mentre gli spruzzi dellarisacca vengono a rinfrescare il sonno: il lavoro di bordo vario, pittoresco, appassionato.

Eccola la sua vita!...

Ah no: quella calma, monotona, povera, del pescatore non era fatta per lui. Egli l'avea sentito potentemente in que' giorni. – Quel lavoro calmo, regolare, quotidiano lo stancava, lo snervava, lo faceva morir di noia e di uggia. Oh, invece la vita varia, rumorosa, ardente del marinaio!... La vita della nave da guerra! ... E la carriera, e le soddisfazioni, e chissà? l'avvenire bello e insperato, fors'anche!... Non erano state queste le ultime parole, il saluto del suo comandante, il giorno del congedo, là sul ponte, in grande uniforme, in mezzo al sole che sfolgorava sulle spalline degli ufficiali e sugli acciai delle artiglierie?...

L'avvenire, il sogno del marinaio italiano!...

E Betto, deciso, tutto fremente di ricordi, stabilì di parlarne a mamma Teresa.

Sarebbe ritornato per sempre al suo mare! Al suo mare, bello, grande e pieno di promesse.

E il giovane marinaio gli mandò, con le dita, un bacio.

E la sera, approfittando di un momento nel quale gli altri eran tutti fuori, sulla spiaggia, Betto trattenne la Teresa vicino al focolare, nella capanna piena di ombre, e le disse sottovoce:

– Mamma Teresa... ho bisogno di dirvi una cosa.

La Teresa, che aspettava forse quel momento, se lo fece sedere vicino. Poi si alzò per gettare una fascina di alghe secche sulla brace. Ma Betto la trattenne:

– No, no, mamma Teresa, si parla meglio così... con questa poca luce: per quello che ho da dirvi!

La Teresa si sedette e mormorò:

– Come vuoi, figliuolo. Parla su, da bravo: ti ascolto.

Betto pensò un momento poi cominciò:

– Mamma... vi siete mai accorta di nulla, voi?

La buona donna che pensava a tutt'altra cosa – ad una cara e secreta cosa che da tanto tempo nutriva dolcemente nel cuore – mormorò tutta commossa:

– Oh sì, figliuolo mio... molto più che tu forse non credi.

Betto la guardò alquanto stupito ma non comprese.

– Voi siete buona, mamma Teresa, e sapete leggere nel cuore dei vostri figliuoli! È così, mamma – riprese il giovane dopo un momento di pausa – io a questa vita così uguale... così monotona... così... – e s'interruppe ancora. – Scusate, diceva, questa vita non è più fatta per me.

La Teresa lo guardò: era lei ora che non capiva più nulla.

Cosa diceva mai dunque adesso quel benedetto ragazzo?

– Oh, mamma – continuava intanto Betto senza accorgersi dello stupore accorato della buona donna man mano che proseguiva nel suo discorso – oh, mamma! il mare, vedete, una volta che ci s'è ficcato nel sangue, nelle ossa, in tutti i nervi non ce lo può più staccare da dosso nessuno.. È come una donna molto bella che v'ha fatto il sortilegio, che v'ha stregato! Voi lo sognate la notte, voi ne sentite bisogno il giorno, pensate a lui sempre, ogni ora, ogni minuto... Intendo il mare grande, il mare quello lassù, al di là dei quattro scogli ove siamo nati.... E allora questa nostra spiaggia ci sembra così piccola, così morta e non ci dice più niente e non ci basta più! ... E si finisce che bisogna ritornarci, già, ritornare a lui, ritornare a lui!... se no si muore. È proprio così, mia buona mamma Teresa, così come io vi ho detto.

La Teresa era rimasta muta, come allibita. Le mani le tremavano per la grande sorpresa al sentir quelle parole così lontane da quelle che nel suo cuore attendeva. Lì per lì non seppe proferir parola: poi finalmente, con uno sforzo, rimessasi alquanto, mormorò:

– Ma tu pensi dunque a ripartire, figliuolo?

Betto la guardò maravigliato.

– Ma come?... non era cotesto che voi avete dunque letto in me, in tutti questi giorni?

La Teresa si mise le mani alla fronte.

Poi mormorò:

– Povera Mina!

Betto la fissò:

– La Mina? cosa c'entra la Mina in questo?

La Teresa allora disse:

– Ma come, Betto? non sai dunque nulla tu? non ti sei accorto mai di nulla, tu ? ma è possibile questo ? via, non lo credo!

Betto non rispose.

– Povera Mina! – proseguì – non l'hai mai dunque guardata, povero angiolo? o sei diventato cieco del tutto?

E la buona donna attese invano la risposta del giovane marinaio.

– Eppure – proseguì essa – eppure un giorno anche tu hai pensato a quello ch'essa ora tiene nel cuore da tanto tempo... Credi tu che io non lo sapessi forse?

Betto appariva imbarazzato. Ora capiva e sopra tutto ricordava molte cose.

– Mamma – mormorò – avete ragione: ma allora... in quei giorni... voi capirete... io era un ragazzo... cosa volete che capissi e che pensassi! Si potevano mai prendere sul serio quelle cose là... di quei giorni... quelle bambinate...

– Le chiami bambinate, ora – rimproverò dolcemente la Teresa, che sentiva nel cuore un gran freddo alle parole di Betto, per lei, per la sua povera creatura. Povera Mina! povero angiolo!

– Ma sì, mamma – proseguiva Betto più sicuro, e deciso ormai – ma sì, come le potreste dunque chiamare altrimenti?... Dopo, oh dopo!... tante cose sono avvenute, tante!... e io, vedete, sono così cambiato d'allora, così differente: sono un altro...

– Me ne accorgo, mio Dio – sospirò la donna.

– Io voglio bene alla Mina... molto bene... ma molto davvero: ma come ad una sorella! Ed io non voglio esser altro che un fratello per la Mina.

Rimasero un momento in silenzio ambedue.

Betto riprese pel primo a parlare:

– Dunque, vedete anche voi, che la miglior cosa che mi convenga fare, adesso, è di partire subito... subito... ritornare al mio mare, alla mia nave.

– Peccato! – mormorò la Teresa – peccato!... E anche io che avevo sognato...

Ma soggiunse subito, segnandosi:

– Ma sia fatta la volontà del Signore!

E riprese:

– Forse è meglio, così: se quella era la tua vocazione!

– Dunque, penserete voi a parlarne al babbo? – disse Betto.

– Sì, penserò io a tutto.

– E... – domandò ancora Betto indeciso – o... agli altri?...

– Ne parlerò anche io – disse la Teresa con un sospiro.

E quel pensiero veniva proprio dal più profondo del cuore della vera madre della povera Mina... Perchè l'altra, quella che l'avea data al mondo lasciandole nel sangue come sola eredità la sua malattia di amore, se ancor era viva, mai poteva pensare, in quel momento, quale schianto doloroso stava per farle reclinare la povera testolina.

La Teresa rimase un istante con la testa bassa, forse pregando Iddio che rendesse men cruda la prova alla povera creatura, poi, prima che se ne andasse disse ancora a Betto:

– Ma tu, non lasciarla così: dille una buona parola: sarà l'ultima forse.

Betto non rispose: ma abbracciò la buona mamma Teresa e la baciò in fronte.

Salviano cullato dalle onde, in alto mare, beveva la brezza pregna di salino che gli batteva sul volto. Un capriccio improvviso. Era venuto alla riva, era rimasto un po' a guardare la bella distesa azzurra, quieta come olio – il mare azzurro dei giorni di pace – poi si era spogliato rapidamente e si era gettato in mare.

Ava preso il largo, nuotando vigorosamente, ed ora si lasciava dondolare dalle onde azzurre, aspirando con voluttà l'amica salsedine che con istrano piacere gli veniva a vellicar le narici.

Tutt'all'intorno silenzio e quiete – Mare, mare, mare. Non una vela. Un azzurro lucente immenso. Il Promontorio, nero e brullo, appariva come un pugno minaccioso di roccia bruna. In alto il cielo, senza una nube, ancora esso azzurro, intensamente, come il mare. Salviano riposava, nella carezza del mare amico e buono. Come faceva bene quel fresco bacio dell'onda odorosa!...

Il forte ragazzo sentiva una sottile ebbrezza vincerlo tutto. Si abbandonava al mare, gli occhi chiusi, il capo reclinato all'indietro. Che bella cosa, che sogno, non muoversi mai più, restar così, sempre, nell'azzurro, sempre, sempre, per tutta la eternità!... Una piccola ondata gli passò sul volto e Salviano ebbe l'illusione di essere veramente divenuto una cosa sola col mare, una sua parte, una piccola goccia dell'azzurro che lo circondava da tutte le parti, che lo avea fatto suo.

Ma un bianco puntino apparve sulla massa nera del Promontorio. Salviano rizzò il capo dalle onde. La vista acutissima del giovane, pescatore afferrò subito la visione.

La Mina.

Ella era sola e guardava il mare. Che cercava? che voleva ella? Salviano guardava sempre il punto bianco, indeciso, pensoso. Ma ad un tratto un altro punto apparve dietro di lei. Un altro nero punto che lo sguardo di Salviano afferrò ancora subito. Betto, il fratello. Era lui. Che cosa veniva a fare che cercava? Il punto si avvicinava alla Mina e poi ristette. Che voleva egli, il fratello, dalla Mina? Un lampo guizzò dall'occhio di Salviano. Sì, ma che voleva lui dunque dalla fanciulla?... E il braccio forte del ragazzo battè con violenza l'acqua, nel novello impeto di nuoto che ora lo aveva preso.

I due punti eran rimasti fermi, vicini. Que' due si parlavano. Che si diceano? Aveano dunque molte cose a dirsi?... Salviano si abbandonò, chiudendo gli occhi, nuovamente all'onda. Ma la dolce ebbrezza di poc'anzi era ormai svanita. Una strana spossatezza lo vinceva, adesso. Che bella cosa dormire, non pensar più, non veder più nulla, in quel morbido letto dell'onda! ... E quei due punti, là a lui davanti, sulla riva bruna, eran sempre accosto!... Quante cose avea dunque da dire Betto alla Mina!...

Ma ad un tratto uno dei punti si era staccato: il bianco.

Esso risaliva lentamente l'erta del Promontorio: si fermò ancora un istante, poi scomparve, dietro le roccie. Il punto nero era rimasto immoto. Poi si accostò alla riva, rimase alquanto là, vicinissimo all'onda, e a Salviano parve che scendesse in mare. Con due colpi vigorosi Salviano si accostò alla riva. Non c'era più dubbio. Betto lo aveva imitato: si era gettato a nuoto.

Con due bracciate gli fu vicino.

– Salviano! – gridò il fratello – sei tu?

Per tutta risposta Salviano gli andò a lato.

Betto prese il largo e Salviano lo seguì.

Per qualche tempo nuotarono così di conserva, in silenzio. S'era levata la brezza salina e Salviano la bevea largamente, la testa alta sull'onda increspata. Poi, ad un tratto, Betto disse:

– Non sai, dunque, Salviano? ho una nuova a darti...

Salviano interrogò con lo sguardo.

– Vado via di nuovo.

Salviano sbarrò gli occhi.

– Tu?

– Già. Ritorno alla mia nave.

Salviano non rispose subito: non capiva.

– Trovi dunque tanto strana questa cosa? – ripigliò Betto.

E continuò:

– Ritorno marinaio... Che vuoi? questa vita morta di pescatore non fa più per me. M'ingaggio per altri tre anni, con il buon aiuto del Signore.

Salviano con un guizzo improvviso scattò d'alcuni metri superando il fratello, filando nell'acqua azzurra, come un cefalo. Betto lo raggiunse.

– Ma dici davvero dunque, tu ? – borbottò Salviano, quasi parlando all'onda che gli battea sul mento.

– Oh sì, Ne ho già parlato anche a mamma Teresa.

Salviano tacque un istante.

– E... alla Mina l'hai anche tu detto?

Betto sguardò il fratello rapidamente.

– Sì... anche a lei l'ho detto.

Salviano tacque.

Poi ad un tratto si avvicinò al fratello.

– Povero Betto! – esclamò egli con voce mutata, E avea gli occhi umidi... e non di sola acqua marina.

– Strano, però – mormorò Betto fra sè – parrebbe quasi contento che me ne vada!

La barca era pronta: Betto, con il suo fardello, sulla riva, un poco pallido, pur cercava di rincorare il vecchio Salvatore che non parlava, non diceva proprio nulla, ma avea le labbra serrate e un gruppo alla gola. Il suo Betto ripartiva, ritornava al mare: era giusto. Figlio del mare il mare se lo ripigliava. Lo aveva allevato lui così. Era destino. E si sforzava di darsi pace. Ma un muto accoramento era in fondo al suo animo. Egli era vecchio, ormai. Lo avrebbe riveduto più, il suo caro figliuolo?...

La Teresa si asciugava gli occhi. La Mina, pallida, disfatta, non fiatava. Aveva i suoi grandi occhi aperti, pieni di stupore. Betto andava via!... Come era brulla la spiaggia, come triste e scolorito il mare! Come tutto appariva smorto e senza luce intorno a lei!... Betto andava via!...

Curioso: ella avea come uno strano senso di vuoto, nella testa, di stupore, di stanchezza, di freddo, di noia. Betto andava via!...

Salviano non c'era.

All'ultimo momento il vecchio Salvatore avea detto:

– E Salviano dov'è? andatelo a cercare che venga a salutare il fratello!

Ma la Teresa avea detto, brevemente:

– No, no, lasciatelo stare Salviano.

Il vecchio pescatore avea guardato meravigliato la donna e non avea compreso.

Ed ora Betto stava per partire.

– Addio, babbo – mormorò egli baciando le gote rugose del vecchio pescatore, avviticchiato al suo collo. – Addio, babbo, non piangete: ritornerò con un bel grado.

Il vecchio si asciugò ruvidamente le lacrime.

– Addio, figliuolo, e Dio ti benedica e ti dia salute e fortuna... Noi pregheremo qua per te.

La Teresa baciò Betto.

Quindi venne la volta della Mina. La fanciulla bianca, esangue, rigida, pareva una statua sottile senza moto. Betto la baciò lieve sulla gota e saltò nella barca.

La Mina teneva gli occhi sbarrati sulla quieta distesa del mare.

Passò forse nella mente della giovinetta la rapida visione di un'altra partenza, di un'altro saluto, di un altro bacio, così differente, così mutato, così lontano, ormai? Oh, quanta tenerezza, allora, e quanta speranza, quanta speranza! e così vana!...

La Teresa allora – per la prima volta – le mormorò sottovoce:

– Coraggio, angelo mio, coraggio!...

– Oh, mamma! – gridò la fanciulla, scoppiando finalmente in lacrime.

Sulla vetta pia alta del Promontorio Salviano guardava la barca che si andava allontanando, Era pallido e teneva le labbra strette e i denti serrati. La barca appariva come una piccola macchia nerastra: ma egli ben vi scorgeva dentro un irrequieto puntino più chiaro che agitava il fazzoletto...

Ad un tratto abbassò gli occhi sulla roccia più bassa, che si dirupava sotto i suoi piedi. E scorse la Mina. La fanciulla si era arrampicata sino lassù, senza vederlo, per guardare la barca che si allontanava nell'azzurro, per iscorgerla sino all'ultimo... In due balzi Salviano le fu a lato. La Mina volse il capo, lo guardò un istante poi rivolse di nuovo i grandi occhi sbarrati sul mare crudele.

Stettero molto tempo così.

Poi Salviano si accoccolò sulla roccia, un po' sotto alla fanciulla.

– Dì, Mina, rispondi – mormorò egli ad un tratto.

Ma dovette ripetere più volte la chiamata perchè la ragazza non lo sentiva.

Alfine ella portò i suoi occhi sbarrati sopra di lui.

– Dì, dunque, Mina, gli volevi molto bene a Betto...

– Oh! – mormorò la Mina dolorosamente.

– Tanto?

– Oh, tanto!

– Tanto! – ripetè Salviano rabbrividendo.

E chiuse gli occhi, come se quella gran luce del mare e del cielo lo abbacinasse tutto.

E riprese ancora:

– Ma dunque è stato ben cattivo, Betto, a partire così...

La Mina sollevò gli occhi:

– Oh, cattivo Betto? Ah no, povero Betto. Non è stato cattivo, lui...

E la fanciulla mormorò sottovoce:

– Forse è Dio che non lo ha voluto.

– Che cosa? – mormorò Salviano.

– Nulla! – sospirò ancora la Mina, con un filo di voce.

Seguì un lungo silenzio. Non si udiva che il mareggiar lieve dell'onda nella marea sulla spiaggia. La barca di Betto era scomparsa, da tanto tempo. Ed ora la sera scendeva rapidamente. L'acqua si tingeva di violetto mentre il sole si abbassava sull'orizzonte. Un gabbiano, dalle larghe ali, sfiorava le rocce del Promontorio in cerca del suo nido che que' due aveano forse turbato.

– Mina – mormorò ad un tratto Salviano.

– Mina – ripetè più forte.

La fanciulla riportò il suo sguardo smarrito senza lacrime, pieno di doloroso stupore, sul ragazzone.

– Andiamo anche noi con Betto – mormorò Salviano con un'altra voce.

La fanciulla ebbe un moto.

– Anche tu, dunque... – ma non finì il recondito pensiero improvviso.

– Vieni, Mina, andiamo dunque, andiamo insieme...

E rabbrividendo tutto borbottò:

– Anch'io, sai? ti volevo tanto bene.

Ma le ultime parole del ragazzone morirono soffocate in un singhiozzo.

Egli tese le braccia. La Mina affascinata vi si lasciò cadere. Salviano soffocò un bacio sopra i biondi capelli della giovinetta che s'irrigidiva. E si abbandonò all'indietro; sul vuoto. I due corpi avvinti così scivolarono in mucchio sulla scosceso dirupo, quindi rotolaron, sempre uniti, sin sul ciglio a picco sul mare. Lì il fantastico gruppo parve arrestarsi un attimo sopra l'abisso. Poi sprofondò giù, nella schiuma candidissima, sugli aguzzi scogli scintillanti agli ultimi raggi del sole morente.

Il gabbiano dalle lunghe ali fuggì via con tino strido, spaventato.

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