Le tristezze di una notte di luna.

S'era buttato a sedere su quel sedile, stracco morto, dopo il lungo errare vagabondo nella notte. Prima d'uscire il padre l'avea guardato con occhio inquieto. – Vado a passare la serata a Nervi, tanto mi svago un po'. – Il padre aveva annuito, sempre inquieto, però. Invece egli avea vagato, così, tutta la sera, tutta la notte, prima sul mare finchè esso avea rombato nel lume di rosa, poi quando il nero era disceso, lungo la strada che reca a Genova, tra il mare e gli ulivi. E finalmente ora, stracco morto, era venuto a piombar lì su quel sedile a fianco di Schiaffino, bianco nel suo marmo, con la spada d'eroe levata. Un marinaro, anche lui, morto felice per un grande ideale!

Ed era rimasto immobile, aspirando l'odor della notte e guardando i giuochi della luna tra le rame degli alberi, sopra la sua testa. Tutto taceva intorno. Camogli dormiva tranquilla, dopo la giornata marinara di lavoro.

Una viuzza scendeva scura, sino al mare; in fondo era un lampione che ardeva; si sentiva il fiotto tranquillo delle acque invisibili nell'ombra.

Tutto finiva, dunque! Marino alzò il capo; l'occhio frugò sulla collina, tra gli ulivi, sul noto cantuccio. La villa Paoletti spiccava quieta, tutta bianca di luna, tra gli alberi immoti. Dormiva Maria in quel momento?... Nulla sapeva? nulla sentiva?... Non un solo atomo di quel grande spasimo volava a lei, dunque! Non una stilla di quel grande dolore le lambiva il cuore?... Maria! Egli sentiva un vuoto immenso. L'odor della notte chiara sapea di morte. Come l'aveva amata! Come l'amava!... Chiuse gli occhi e la ripensò. Giovinettina, la veste corta, il gran cappello sul visuccio bianco, gli occhi sfolgoranti. E ridente! Un fiore. Poi ancora, alta, snella, uno stelo, bianca bianca nel viso appassionato, gli occhi neri pieni di luce e di mistero. Ella scendeva per le vie della cittadina col suo passo breve, accanto alla madre, e il suo cuore la seguiva. E gli anni passavano ed ella cresceva gigante nel suo cuore. In mare, le lunghe ore di sogno, fra i due azzurri e lei nel mezzo! Nelle ore fastidiose di caldura, disteso sul ponte in una dormiveglia noiosa, bastava quel pensiero lontano, ridente, e tutto intorno si riempiva di gaiezza e di soavità. Nelle tormente, agganciato su per l'albero, sotto la vela che si scontorceva come un uccellaccio infuriato, sotto la pioggia fitta e le raffiche salmastre bastava un nome: – Maria! – e tutto pareva lieve, facile, semplice a domare, e si rideva della raffica e degli schiaffi salati del mare in collera.

Ebbene, a che avea giovato tuttociò? Tante belle cose, tanti bei pensieri!

Le parole del signor Paoletti gli rimbombavano all'orecchio, come il rumore di certi suoni nella febbre – «Mia figlia è troppo... ricca per lei!» Curioso! Egli, povero marinaio stordito, ubbriacato di sole, non ci aveva mai pensato troppo a questa terribile ricchezza!

E perciò ella era adesso di Cecchino Forti! Lui era ricco. E sarebbe stato lui a baciare quel visuccio di madonnina, a serrare quelle manine belle che lui aveva sognate, in pieno mare. Cecchino! Ora comprendeva tutto! ora si rischiaravan tante piccole cose che non aveva afferrato pel passato. Perchè attendeva sempre all'uscita della chiesa. E il suo imbarazzo, quando gli parlava. E lo stabilirsi a Camogli, l'abbandono degli studi... E il suo corruccio, quella sera della festa, a non poter entrar nella barca ov'era lei... Ora comprendeva, ora vedeva tutto chiaro. – Cecchino Forti! Chi l'avrebbe mai detto! Com'è fatta la vita!... Come si paga amaramente un momento di ebbrezza! «La vita è dovere», soleva dirgli suo padre. «Ed amore», aveva aggiunto sino allora il suo cuore. «E dolore», finiva adesso la sua giovane anima ferita.

Da una delle case della piazzetta veniva, velato, un pianto di bimbo, stridulo, angoscioso. Quel pianto lo prendeva tutto, con un acre fastidio sottile, insopportabile. Avrebbe dato qualunque cosa per farlo cessare. A lui pareva qualche cosa di più che un lamento di bimbo: era il pianto di tutta l'umanità che geme, spasima, in un dolore amaro, continuo e forse inutile. V'è la notte piena, di luna, il mare che sussurra e ride, v'è l'amore e i fiori – ma sotto ad essi, sotto a tutto, sempre, è il pianto; il pianto lungo, infinito, acre e fastidioso. – È fatta così la vita! – (Era una delle frasi preferite dal signor Paoletti). Il pianto del bimbo invisibile continuava sempre, inesorabile; veniva dalla notte di luna, dal silenzio pieno di fruscii misteriosi di alberi, dalle case, dalla cittadina silente che dormiva dopo la sua giornata di sole e di lavoro; veniva dal mare che non posa mai, veniva dalle cose tutte.

Marino s'alzò di scatto, sollevò le braccia, con uno slancio vano, per acchetarlo con la passione della sua volontà, per farlo cessare... Ma il pianto continuò più stridulo ed angoscioso.

E Marino si lasciò ricader sopra il sedile, vinto, affranto, preso anche lui, ormai, da quel pianto universale, che tutto assorbiva, tutto vinceva.

Ma non fu per molto.

Tutto quel che di sano, di forte e di ribelle era in fondo al suo intimo parve risalire a galla nell'acqua torbida di quel suo primo sconforto appassionato dei vent'anni. Ebbe la visione del suo mare, ampio e quieto, là sotto la luce lunare: e pensò, perdio, ch'era capitano, ormai! Tutta su quel mare sarebbe corsa ormai la sua vita: nuovi tramonti, nuove albe, e tormente e bonacce, e fortunali ed avventure! Cento altre donne avrebbe amato in cento terre diverse, e la vita del marinaio doveva cominciare per lui da domani stesso! E, come aveva ben detto quel caro signor Paoletti della sua Maria, egli aveva messo in serbo nel cuore un bell'ideale irrealizzato: e, che quindi non sarebbe mai imputridito: e, come tutti i vecchi marinai, avrebbe avuto un giorno la sua brava storia romantica da raccontare nelle sere di risacca e di luna, ai suoi giovanotti di bordo, sul ponte del veliero, tirando le enormi boccate dalla grossa sua pipa di capitano navigato.

Share on Twitter Share on Facebook