La chiesa dei marinai.

Veniva giù, da Ruta. Giunto allo svolto della strada che discende al paese, là ove essa fa un gomito deciso e scopre tutta la costa ed il mare, Marino si fermò.

Era l'ultima sera che passava a Camogli.

Poi due anni di mare e di vela!...

Marino alzò la testa bionda sul corpo forte, e respirò largamente l'aria del suo paese.

Era piena d'odor d'acacia e di rose, per le ville vicine, tutte in fiore. Ma, in fondo, poi, sempre il sottile salino del mare...

E Marino riprese la discesa, verso Camogli.

Sulla piazza del teatro qualcuno che conosceva gli passò dinanzi.

– To', Cecchino Forti – disse.

E lo chiamò.

Il giovane Forti si voltò.

– Marino, sei tu?

– Parto domani...

– Hai trovato l'imbarco, dunque?...

– Sulla Caterina Accame, barca di vecchi lupi. Sono contento.

– Quando vai via?...

– Domani mattina, alle quattro. Parto da Genova.

– Bene. – Cecchino non disse altro. Guardava in alto i fiori degli alberi, nel viale.

Era sempre lo stesso Cecchino d'un giorno, quello delle partite fanciullesche di pesca ai granci e ai ricci. Pallido, segaligno, poco forte: assai elegante, ora, nel vestito. Del resto poco espansivo, taciturno, pensieroso sempre.

Ora però sembrava soddisfatto.

– E tu? – domandò Marino – l'hai presa la laurea, a Genova?

– Non ancora – rispose il giovane – ma forse.... non la prenderò più.

– Perchè ?

– Perchè – rispose ridendo il giovane Forti – perchè non ho più voglia di studiare... O meglio – riprese – a te lo posso dire, che mi sei vecchio amico: perchè il medico me l'ha proibito. – Non lo dire a nessuno! Tu sai bene che non sono mica un leone di salute come te.

– Ah! – esclamò Marino, guardandolo con sollecitudine – dovresti fare anche tu un viaggio di mare... Partiamo assieme? – finì ridendo.

Cecchino lo guardò.

– Oh no, non posso.

– Perchè?

– Non posso, t'ho detto.

– Sei libero, e... ricco! – mormorò Marino. – Potresti fare un viaggio da signore.

– Oh no! non posso muovermi da Camogli, ormai.

E sebbene parlassero celiando, la sua voce tradì un lieve imbarazzo.

Poichè erano giunti quasi in fondo al paese, Cecchino si fermò.

– Dove vai tu, ora? – domando a Marino.

– Scendo abbasso, verso la chiesa.

Cecchino disse:

– Io resto quassù... devo veder qualcuno.

Voleva rimaner solo. Marino lo capì. Cecchino era un poco impappinato, lo si vedeva!

E gli dette la mano:

– Ci rivedremo prima della partenza, non è vero?

– Sì, ci rivedremo.

E si lasciarono.

Marino prese per una delle viuzze a scala che conducono a basso, nella parte della cittadina che è sul mare.

È là ch'è la Chiesa, forte sullo scoglio ov'è piantata, battuta dalle onde. Ne' giorni di collera il mare batte fin sui finestroni e la fa tutta echeggiare della sua voce. È una chiesa di marinai, piena di voti ingenui e tragici, che fremono ancora dei drammi marini che vogliono ricordare: tormente strane e lunghe, bufere e naufragi. Mille sogni e storie secolari di marinaio riposan là dentro, tra quelle mure quiete ove parla solo la voce di Dio e del mare. E sono pesche miracolose e ancoraggi difficili, orrende tempeste e viaggi avventurosi in lontani paesi di sogno, dolci ritorni a casa, la barca carica di dovizie, e attese mortali, senza fine, per barche mai più tornate, svanite laggiù, lontano, in alto mare, nella gran conca che non parla, che non fa più saper nulla... Ne' giorni di chiarità serena la campanella della chiesa dei marinai si spande giojosa sul mare azzurro per richiamar i pescatori, e saluta i vapori che passano al largo, neri e ansanti.

Era vicino a finir vespro.

Sulla piazzetta del porto gli uomini in crocchi aspettavano le signore che uscissero dalla chiesa.

Suonava la campana: una barca si staccava carica dallo scalo della piazzetta; partiva per la pesca della notte. Dalla parte di Genova salivano dei vapori viola. Si sentì il rombo dell'organo, dalla chiesa...

Le signore uscivano.

Marino aspettava, con lieve palpito. Ella usciva sempre tra le ultime, perchè la vecchia signora Paoletti aveva in uggia la folla. N'aveva conosciuta fin troppo, forse, laggiù in America!

Eccola.

Veniva avanti con la madre. Un poco pallida. Gli occhi belli lo scorsero subito. Ora gli passava davanti... Marino salutò. La signorina Maria chinò il capo, mentre la signora Paoletti aguzzava gli occhi miopi, per riconoscere chi aveva salutato... La signorina Maria le dovette dire. E una fiamma rosea le accese un momento il volto pallido. Ecco, era già in fondo alla piazzetta. Stava per isvoltare. Ancora uno sguardo, rapido. Era passata!...

Marino trasse il respiro, forte. I vapori viola, da Genova, avanzavano. Il cielo n'era in parte coperto. La campana suonava ancora. Diciotto mesi!... quanti giorni, quante cose! E così lontano!... Chi sa? chi sa? Un fiotto al cuore, una scrollata di testa, uno sguardo al cielo che si facea nero. E basta. E Marino si mosse.

Sul principio della viuzza egli scorse di nuovo Cecchino. Guardava in su. Ma era tanto astratto e preoccupato che, lui, non lo scorse neppure.

Marino sorrise.

Ah! ecco la gran ragione del suo imbarazzo di poc'anzi. Se voleva restar solo!... Era chiaro. Anche lui aspettava qualcosa dalla Chiesa...

E Marino sorrise ancora.

S'avviò solo, su pel viale degli alberi, ch'è in alto della cittadina.

Sulla piazzetta del colonnello Schiaffino egli si fermò. I sedili di ferro che l'attorniano eran pieni di vecchi lupi di mare dal bianco pelo, che si godevano in pace il meritato riposo, guadagnato attraverso mille tempeste e mille traversie... Uno di essi lo chiamò. Era padron Traverso: un lupo autentico. Vicino ai cento anni!...

– Dunque domani si fa vela, eh, ragazzotto?...

Marino si sedette accanto a lui.

Davanti, un poco in alto, sulla collina, tra gli ulivi e le rose, rideva la torretta bianca della villa del signor Paoletti.

Share on Twitter Share on Facebook