Un bel sogno.

Capitan Giaume abbassò la pipa e sorrise:

– Santa debolezza!

– Perchè?

– Il lupacchiotto che ritorna alla tana, per la prima volta!

Non era solo a correre innanzi, con il cuore, lietamente.

E Marino lo lasciò dire, questa volta.

Anche la Caterina Accame pareva aver sentito le acque natie, poichè, si slanciava innanzi, come un cavallo di razza, sull'acqua di velluto, cheta come l'olio.

La costa azzurra s'andava sollevando dal mare, laggiù davanti. Erano le cinque del mattino.

Marino prese la sua pipa, s'andò a distendere lungo a prua, e restò così, a guardar con gli occhi e col cuore innanzi a lui.

E l'acqua si rompeva sotto di lui chetamente: parea scherzar con le sue lievi carezze contro i fianchi della barca. E a Marino, che formava un corpo solo con essa, parea d'esser lui, con la sua forza vitale e con la sua passione, che la faceva filare, diritta e snella, nell'acqua chiara.

La costa azzurra s'alzava sempre, nell'aria bionda di sole mattutino:

...Quanto tempo! quante giornate! e quante cose nuove, forse, laggiú?... A Cartagena dove la Caterina aveva caricato aveva trovato le ultime lettere del babbo e della mamma: stavano bene e lo aspettavano, a braccia aperte. Ma degli altri nessuna notizia!... Che novità, dunque, riserbava al reduce del mare il suo cantuccio azzurro?...

Era stato un bel viaggio. Avevano toccato quasi tutti i porti di Levante, come i buoni marinai genovesi classici dei tempi famosi. Ne aveva veduto delle coste e aveva avuto agio di lavorarci alle vele della Caterina!... Capitan Giaume era stato un buon maestro. Sfido! con trent'anni e più di vela sulle spalle color di terracotta ! E, nei momenti di buonaccia, pieno di storielle, di memorie e di fantasie. Bei giorni! tutto sole! E carezze di brezza piena di sale, di quello buono, che fa il respiro doppio. E le notti! la pipa accesa, il buio intorno, il mare sotto che cantava, le vele che sbattevano sulla testa, senza vederle, e in alto la conca nera, piena di fari ardenti che il Signore accende pei poveri marinai perduti nell'immensità delle acque! Era allora che si pensava al paese – si rivedeva il caro volto della mamma e si risentiva la voce del babbo. E poi, quel tale pensiero lontano, che faceva sussultare il cuore, come una molla che si sgomitolasse all'improvviso!... Qualche volta Gennaro, il mozzo napoletano, pigliava a cantare, nel buio, una canzone del suo paese, ed era il mare che l'accompagnava!... E allora, quel tale pensiero lontano si faceva più vivo, cocente quasi: il cuore batteva a martello, e perfino – nessuno vedeva, tanto! – gli occhi si inumidivano. E si sforzava a tirar con la pipa, che nel buio mandava la vampa, e sbuffava come una ciminiera!...

Ma che razza di furia avea preso, dunque, ora, la Caterina?...

Scappava via come una saetta!...

La costa azzurra s'era disbrogliata dalle nebbie che l'avvolgevano ed appariva alta e nitida al sole deciso. Quella in fuori era la punta di Portofino, che s'avanzava nel sereno. Genova, a ponente, si vedeva bene: una lunga macchia biancastra che saliva su pel monte. Quella colonnina bruna laggiù era la lanterna! E là, invisibile, nascosto nel cantuccio d'ombra, dietro il Promontorio, era Camogli: tutto lui, tutto il suo cuore. In quel momento, certo, i suoi cari erano già svegli, all'erta... Il povero babbo su, alla Specola, al cannocchiale, a ispezionar la distesa luminosa, cercando di scoprir la bianca nota vela, ch'or a lui dondolava mansueta sulla testa... Caro babbo!

La costa gli correva incontro.

Oh, lassù, le casette di Ruta! una macchia rossa vivida: l'albergo del Belvedere. Marino corse giù con l'occhio, ansante di scorgere, di vedere. La torretta del babbo – come piccina! E, ancora, più in basso, un'altra torretta, bianca anch'essa... tanto lontana anch'essa!...

Un nuovo fremito, un nuovo sussulto.

La Caterina aveva aperto tutte le ali. Scivolava come un bell'alcione robusto, sfiorando appena il velluto azzurro che si apriva come un manto, davanti al suo rostro.

Fra poche ore, fra pochi momenti! Marino chiuse un poco gli occhi. Vide il lancio della madre, gli occhi umidi del caro babbo; e poi, dopo, più tardi, nelle vie fiorite della sua Camogli...

Uno scossone, uno sbruffo, e su in piedi.

La costa ormai s'era fatta gigante e si distingueva tutta, nitida, nell'azzurro smagliante.

E la sua vela lo chiamava....

E tre giorni dopo, appena arrivato...

Le otto barche, pavesate a gran festa, con la gala dei lampioncini già accesi, sebbene qualche barlume rosso ancor guizzasse a palpiti nelle lunghe ondate larghe, furon prese d'assalto. Prima i giovinotti rematori, i quali avean fatto a gara per conquistarsi il posto, poi le signore.

Sette barche eran già colme, zeppe, e Marino già cominciava a disperare. Ma la signorina Maria era stata lesta, avea presa la corsa e s'era diretta verso l'ultima ove Marino le aveva fatto largo. C'era giusto il posto per loro tre; lei, il signor Paoletti e Marino. Ecco fatto, erano al sicuro. Sulla banchina la folla dei rimasti facea voci e gesti di scontento. Erano restati tutti a terra! Marino scorse fra i reietti Cecchino, il povero Cecchino Forti che avea il muso lungo e tirava affannosamente a cercare se nella barca c'era ancora un posticino per lui – occupava sì poco posto, lui! pareva dire,

Marino ridendo lo apostrofò.

– Cecchino! chi tardi arriva...

Ma Cecchino s'era imbronciato sul serio.

– A momenti arrivano le altre barche! ce ne sarà per tutti!...

La folla dei rimasti a terra parve consolarsi. Solo Cecchino era rimasto duro. Non si rassegnava, lui.

Le otto barche cominciarono a lavorar di remi.

– Urrà! si parte.

Filò la prima, agile, poi la seconda, poi la terza... S'andava a Portofino, dove c'era la festa e la luminaria. La barca di Marino chiudeva il corteo. Il mare s'era fatto nero: gli ultimi barlumi rosei eran morti del tutto. Laggiù all'orizzonte s'era levata una bruma fitta che avea soffocata ogni luce. I lampioncini alla veneziana si riflettevano nell'onda buia: la prima barca aveva acceso ancora una gran torcia a vento, e siccome in quella v'era chi s'avea portato la chitarra e i mandolini, veniva da là un ronzìo di musica e di voci. A fianco, alto, angoloso, colossale, tutto fessi s'alzava il gran dirupo del Promontorio che cadeva sino al mare, sgretolandosi in cento piccoli frantumi assai pericolosi alle chiglie inesperte.

Marino taceva. Era vicino a lei. Finalmente! Dopo quasi due anni. N'eran passate delle ore (di sole, di nebbie, di luce, di buio!) prima che arrivasse quel beato momento. Egli sentiva una ridda nel cuore che pareva gli dovesse scappar via da un momento all'altro. Essa era lì, accanto a lui! Ed era proprio vero: sentiva il tepore della sua veste bianca, urtava il suo gomito, le piccole ciocche dei suoi capelli gli sfioravan, con la brezza, il viso. Che bel sogno! In certi momenti gli pareva perfin impossibile. Era troppo naturale, la cosa!... Anch'ella era agitata. Si vedeva. Ogni tanto lo guardava, di sfuggita. Era pallida. Il signor Paoletti parlava forte con gli altri. Aveva acceso il sigaro come tutti gli altri e pareva matto della gita notturna. La figliuola taceva. Marino poi... avrebbe voluto parlare, ridere, gridare, ma aveva un groppo alla gola... o forse, al cuore! E pensare che sentiva dentro un mondo di cose da dirle. Le aveva pensate tanto, nelle lunghe ore di meriggio al sole, mentre la barca si cullava cheta, piena di sonno anche essa – o, su nell'azzurro, fra le sartie, mentre il vento gli zuffolava alle orecchie e il mare liscio gli ballava intorno! ... Ah, quelle parole sognate, baciate, accarezzate con la mente e col cuore, nei lunghi sogni a occhi aperti del marinaio in vedetta, adesso eran tutte svanite, scomparse, naufragate in quell'onda nera su cui filava silenziosa la barca che portava il suo grande amore e tutta la sua vita. Ma essa era lì, accanto a lui, ne sentiva il tepore del bianco vestito...

– Signorina Maria.

Ella volse la testa a lui.

Nulla. La voce affogata non voleva uscire. Un batter precipitoso del cuore; uno stordimento al capo; gli parve di mancare...

Essa doveva aver compreso. I suoi occhi dolcissimi, non lo abbandonavano. Forse in quegli occhi v'era una carezza. Dio, come era bella!

– Signorina Maria... quante volte... quante volte... in mezzo al mare... ho sognato... come adesso... come adesso!...

Le parole non avean quasi nesso, ma non importava. Ella capiva lo stesso. Tremava un poco, così, nella vitina snella, tutta bianca nella notte. Il signor Paoletti parlava forte, sempre, con gli altri. Egli le prese una mano, nell'ombra. La barca ebbe un lieve beccheggio. A Marino parve inabissare. Quanto era felice! Ah! morire così, sprofondare così, per sempre, con quella manina fra le sue e tanta dolcezza nel cuore! Ah! sparire, sprofondare, morire in quel mare, nero! Che importava ormai più tutto il resto? La signorina Maria era lì, al suo fianco, un poco agitata, la cara manina nella sua, calda e tremante; i suoi capelli sfioravano il suo viso, la sua anima era nella sua, tutta nella sua... che importava il resto? che importava?...

Il grosso dirupo del Promontorio sfilava rapidamente davanti, nella notte. Ora là, fra le rocce brulle, nel buio, s'intravvedeva, meglio s'indovinava, San Fruttuoso, il povero paesello marinaro sperduto fra gli scogli, separato dal mondo, squassato dalle ondate, senza altra strada per arrivarvi che quella del mare...

Ancora due colpi dì braccia, e la punta del Capo era doppiata. S'entrava ora nella piccola baia di Portofino. Un chiarore diffuso veniva dalla costa. Il piccolo seno che lambe le case, rifletteva i lampioncini a colori. La chiesa, più in alto, era tutta verde di luce. Perfino la gran palma storica ch'è davanti alla chiesina era visibile per le luci che brillavano fra le sue foglie. Venivano i suoni e i canti.

Un urrà dei naviganti salutò la festa. La barca di Marino drizzò la prua... Si arrivava. Il sogno finiva. Finiva il bel sogno, ma che importava? Marino benediceva l'ora, il mare, la festa di Portofino, la luminaria multicolore e la barca che si dondolava, annuente anch'essa, come tutto in quel momento, al suo grande amore.

Share on Twitter Share on Facebook