Povero sior Tonino!

Sior Tonino, ch’era alla finestra, tese l’orecchio. Nella quiete luminosa della primissima ora mattutina, egli aveva ben distinto l’allegro schioccare della frusta di Rico, il giovane mozzo del signor Conte, ed il rumore delle ruote del calessino. In quel momento la valle era tutta luminosa: veniva un alito di freschezza dalle vigne baciate dal sole e ancor umide dalla guazza e un frigolìo festante dal velluto nero delle macchie. Sior Tonino però si affrettò a rinchiudere la finestra, perchè si vergognava di far scorgere al Rico che lo aveva aspettato. Dopo un momento, lo schioccare allegro della frusta riempì tutta la viuzza, il calessino si fermò, ed una voce giovanile chiamò forte:

— Sior Tonino, sior Tonino! la dorme ancora?...

La finestrella si riaprì, e sior Tonino rimise fuori la testa.

— Eccomi, Rico, vengo subito.

E un momento dopo, la povera personcina di sior Tonino apparve di sotto, sulla porta della casina. Povero sior Tonino! Egli tremava tutto, ma non di freddo: la sua misera personcina appariva più tristanzuola che mai, nella commozione che lo aveva invaso e ch’ei cercava di nascondere il più che poteva, sotto il suo risolino rassegnato.

Per fortuna, Rico non si accorse di nulla; oh! egli era troppo occupato della sua frusta nuova e del cavallo che non voleva star fermo.

— Sente l’aria del mattino! – commentò egli. – Farebbe camminare un morto, questa brezzolina! Prenda posto, sior Tonino; il carrozzino è tutto suo. Prenda posto, e in due salti lo porto alla villa.

Sior Tonino fu pronto a sedersi sui cuscini di crine del calessino, e Rico fece schioccare la frusta. Quale schioccata! In due salti il cavallino fu fuori del paese: nel sole, in mezzo al verde, che dava gli ultimi sbocci nell’autunno inoltrato. E dalla valle la brezza piena di odori freschi batteva in volto a sior Tonino; gli alberi correvano come saette; Rico rideva e badava ad incitare il cavallo, facendo schioccare la frusta nuova; e sior Tonino si teneva ai cuscini, un po’ spaurito da quel diavolìo di corsa. Passata però la prima furia, il calessino prese un’andatura ragionevole.

Allora Rico sciolse la parlantina:

— Il Conte parte stasera. La contessina vuol vedere sior Tonino ad ogni costo. Al castello sono tutti in collera perchè da otto giorni sior Tonino non si fa più vivo. Eppoi il signor Conte ha preparato una sorpresa pel sior Tonino!

— Una sorpresa, per me?... – chiese sior Tonino molto meravigliato.

— Io non so altro, io non so altro! – prese a cantare Rico.

Sior Tonino ristette, perplesso. Egli si spaventava subito, il povero sior Tonino: la natura, dandogli quel corpicciuolo infelice, gli aveva anche data un’anima da sensitiva. Egli temeva anche molto le sorprese: erano state sempre sì poco liete per lui!

Povero sior Tonino! Da quel giorno che il Conte lo aveva mandato a chiamare perchè aiutasse la contessina Nenè a non dimenticare ciò che aveva imparato in città, nelle sue belle sale del Conservatorio, il povero sior Tonino era passato di trepidazione in trepidazione. Oh, i suoi quindici scolaretti – tra maschi e femmine – della microscopica scuoletta del villaggio non lo avevano mai certo preoccupato troppo! Ma una scolarina di quella sorta, una contessina, che veniva da Milano e dal Conservatorio! Non che gli mettessero paura gl’insegnamenti da impartirle: oh, per questo sior Tonino era un vero dotto! Egli era bensì, è vero, un povero maestrino rurale sperduto su per quelle colline tutto sole e verde, ma se non ne era mai uscito gli era per la sua infinita, straordinaria, incredibile timidità! Oh, se era timido, il povero sior Tonino!...

Ma la sua confusione era cresciuta straordinariamente quando in cambio di trovare una monelluccia di una dozzina d’anni, si era trovata dinanzi una bella signorina bionda di diciassette anni, alta, snella e bianca, dai grandi occhi celesti pieni di biricchinerie, che costringevano inesorabilmente i suoi ad abbassarsi quando glieli spalancava troppo audacemente in volto.

Intanto il calessino, guidato da quel diavolo di Rico, passava a volo davanti alle vigne, alle brevi macchie fragranti ed alle alte siepi piene di more mature. Ma il povero sior Tonino guardava, con un vago senso di malessere, tutta quella dolcezza di paesaggio che tante volte aveva ammirato, venendosene lemme lemme, a piedi, al mattino all’alba, dal villaggio alla villa. Era proprio l’ultima volta, questa, che faceva quella strada. Il Conte partiva, ritornava in città; la contessina Nenè se ne volava alle sue belle sale del Conservatorio, ai suoi bei salotti, alle sue amiche.... chi sa? ai suoi adoratori – chè, certo, non le dovevano mancare, laggiù in quella Milano benedetta! e poi.... e poi.... e poi sior Tonino si sentiva il cuore stretto stretto per un mondo di cose che non ardiva confessare neppure a sè stesso.

Altri due salti, ed ecco l’ultima viottola incassata tra due siepi smisurate di robinie: ancora due, ed ecco il cancello maestoso della vecchia villa.

Ma quel mattino il vecchio cancello maestoso, sebbene pur sempre severo, non era però solitario come il solito; una allegra turba variopinta e chiassosa gli metteva intorno un diavoleto di voci che empì di spavento il povero sior Tonino. Nientemeno che una mezza dozzina buona di visetti biricchini, di gonnelle rosee e di parasoli fiammanti in mezzo ai quali tre o quattro giubbe grigie di cacciatori eleganti si affannavano ad aumentare il disordine ed il chiasso per quanto era loro possibile. Che diavolo era mai cotesto? Sior Tonino non ebbe il tempo di pensarlo: il calessino fu attorniato dalla turba giovanile, e la contessina Nenè, più vispa e diabolica del solito, lo trasse ella stessa dal calessino, sbigottendolo col suo cicaleggio. La cosa stava in questi termini: una fortunosa spedizione da Milano, veduta la permanenza inoltrata nell’autunno, era venuta a prendersi la contessina Nenè e a portarsela via. Ella ora presentava agli arditi esploratori il suo bravo professore, sior Tonino, il «suo poeta!»

Sior Tonino arrossì come una fanciulla a quest’ultimo appellativo crudele della cattiva Nenè.

Intorno al povero sior Tonino intanto s’era radunata la turba allegra dei visetti giovanili: e tutti godevano crudelmente della sua confusione e del suo imbarazzo.

Fortunatamente a trarlo dalla terribile situazione di quell’istante, venne il servo del signor Conte, il buon Giaco – una buona vecchia figura avvezza a compatire – che gli si offrì di accompagnarlo su, in castello, per rinfrescarsi un poco del.... lungo viaggio.

Sior Tonino lo sbirciò con un muto sguardo riconoscente: mai guida salvatrice fu seguita più amorosamente di Giaco in quel punto. Tale dovette seguir Dante l’ombra del buon Virgilio quando questi ebbe la buona idea di andare a trarlo d’imbarazzo in quella cotal selva che sapete.

Appena rimesso alquanto dal piccolo tiro della cattiva contessina, sior Tonino si riparò sotto le ali protettrici del signor Conte. Questi s’intrattenne alquanto con lui, parlandogli de’ suoi studi e delle ottime vigne di que’ beati paesi, poi ad un tratto, come preso da un’idea, gli disse, battendogli famigliarmente una mano sulla spalla:

— Ora dobbiamo far partecipe il nostro bravo professore del lieto avvenimento che rende caro questo giorno alla sua indocile scolarina.

E chiamato uno dei giovani cacciatori che stavano in gruppo con le signorine in fondo alla sala, presentò:

— Il signor marchese Gino Magni fidanzato della contessina mia figlia.

E rivolto al cacciatore:

— Il signor professore Antonio Rabeschi.... buon cultore degli studi classici.

Sior Tonino tentò un inchino e intanto pensò che quella doveva essere, quella, non altra, la «bella sorpresa» che gli aveva accennato il Rico.

Seguì il pranzo, servito sopra una loggia aperta, sull’alto d’una delle torrette del castello: una delizia di prospettiva. Si poteva credere d’essere librati in aria: tutto intorno l’orizzonte verde della valle baciata dal sole autunnale e in fondo la linea delle montagne azzurre. Il povero sior Tonino si trovò fatto cavaliere di una rispettabile dama, buona mamma di una delle signorine amiche della contessina. Avvenne però che la buona signora dovette finire per far essa da cavaliere a sior Tonino, vista la enorme confusione che lo vinse subito, appena seduto a tavola.

Il pranzo seguì come in sogno, pel povero sior Tonino, tra lo scoppiettìo dei motti, delle risate, dei trilli delle signorine e il fumo delle vivande e il vapore dei vini scelti. Sior Tonino non capì nulla, non vide nulla, e, sopra tutto, non mangiò nulla. Gli parve – sempre come in sogno – che a un certo punto la contessina Nenè lo chiamasse due o tre volte, che il marchesino Magni gli rivolgesse la parola.... ma non seppe mai ricordarsi – nè allora nè dopo molti anni che vi ripensò – se egli avesse mai risposto o no. Gli parve anche che qualcuno brindasse a lui: forse il Conte, chi sa?... Neppure di questo egli mai seppe precisamente come la cosa fosse andata.

Terminato il pranzo, la brigata si sparse nel parco. Egli si trovò ancora vicino alla sua buona dama-cavaliere, che gli parlò a lungo con bonomia, piena di benevola indulgenza: di che cosa però ella parlasse egli non ricordò mai. Non ritenne altro, di quel momento, che la visione dei grandi alberi del parco baciati in alto dai bagliori infuocati del tramonto: il cielo preso tutto dalla infinita dolcezza di quell’ora autunnale ed il parco pieno di ombre violette....

*
* *

Sul tardi, a notte fatta, furono incendiati i fuochi artificiali davanti al castello. La brigata s’era sparpagliata qua e là, al buio, tra gli alberi, per goder meglio lo spettacolo. Sior Tonino si trovò solo, nascosto da un alto cespuglio: intorno a lui era buio e silenzio.

Salivano al cielo i razzi crepitando e scendevano mutati in fiammelle di mille colori, in pioggia di pagliuzze di fuoco, in fasci vividi di stelle verdi, rosse, violette.... Dal cielo nero piovevano ventagli di luce, di minutissima nebbia d’oro scintillante. Sior Tonino guardava, ancora turbato, il cuore vuoto, la mente senza pensieri, incosciente....

Ad un tratto una manina si posò sulla sua spalla.

Egli si voltò sorpreso.

Era la contessina Nenè che, sorridendo, gli faceva cenno di stare zitto.

— Son io, sior Tonino.... prima di partire ho voluto stare ancora un poco col mio caro.... professore.

E gli prese il braccio familiarmente. Fecero così due passi nel viale buio e deserto. Venivano le esclamazioni gioiose della brigata e il crepitio dei razzi.

La contessina Nenè ruppe subito il silenzio:

— Ora, caro sior Tonino.... voi mi darete i versi che avete portato per me.

Il povero sior Tonino allibì.

— I versi, contessina? ma io....

— Zitto! è inutile, sior Tonino.... voi mi avete portato i versi, li avete scritti per me, ed io li voglio.... dateli qua, da bravo.

E subito soggiunse, come colpita da una idea:

— Per me sola.... ve lo giuro.

Sior Tonino guardò in volto la contessina; ella gli apparve, questa volta, seria seria, per davvero.

E mormorò:

— Come volete, cara Nenè....

La contessina, sempre seria, prese il fogliolino di carta che le porse sior Tonino e lo nascose nel suo piccolo portafogli di bulgaro.

— Grazie. Ed ora datemi la mano e ricordatevi qualche volta, in queste vostre care colline, della vostra piccola Nenè, che.... chi sa? se rivedrete mai più felice come adesso!...

Nella voce della contessina c’era una sfumatura accorata che turbò fortemente sior Tonino.

— Oh, Nenè.... – fece egli, con voce mutata.... Ma fortunatamente si fermò subito.

E fece bene perchè Nenè con un guizzo gli era già sfuggita via ed era sparita tra i misteri notturni degli alberi del parco.

Ella era ritornata la pazzarella del mattino.

*
* *

Il giorno dopo, all’alba, tre cavalli di buona volontà facevano volare la carrozza da posta del Conte giù per la via maestra.

La contessina Nenè, rincantucciata in un angolo della capace vettura, trasse un fogliolino bianco dalla sua borsetta da viaggio e cominciò a leggere, tutta raccolta:

«L’avea sognata anch’io una testa bionda
poggiata sul mio core....»

La contessina non ebbe il coraggio di continuare.

— Povero sior Tonino! – mormorò.

E con gli occhi tristi guardò un’ultima volta la valle luminosa, il paesello bianco sull’alto della collina e la nera macchia di velluto che facevano la Villa e il parco, ormai lontani, sul dorso del monte.

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