V.

Eppure nella nuova casa le ombre paurose non parvero essere svanite.

La signora Tina nel cuore della notte si svegliava improvvisamente in sussulto; e trovava vicino a lei il marito sveglio, fremente, agitato, tutto coperto di sudore freddo, che batteva i denti per un incognito terrore.

La casa era bella, ora, adorna di ricchi mobili, di belle tappezzerie, di gingilli, di cose graziose, poichè, come s’è detto, egli ora guadagnava molto di più; ma una inesorabile aria grigia pesava su tutto quelle belle cose.

Nessuno dei due aveva mai più nominato il signor Pompeo, nè fatta parola alcuna che ricordar potesse il lugubre dramma della vecchia casa.

Eppure quel dramma, quella immagine di morte, viveva perenne nella vita dei due giovani sposi.

L’assassino che aveva tolto la vita e rubato i bei biglietti a quell'infelice signor Pompeo, aveva anche tolto inesorabilmente la tranquillità e la calma nella famigliola di Cesare Vanzetti.

Ambedue vedevano sempre quella testa di morto – orribile! – con la gola recisa e gli occhi spalancati, davanti alla loro porta, ove l’assassinato si era gettato forse per chiedere un ultimo aiuto che essi non avevano potuto dargli.... Quella testa, quella visione, quel morto era sempre là, davanti ai loro occhi, vivo, eterno, spaventoso.

In quanto al prezioso boa, comprato in quei giorni funesti, la signora Tina lo aveva nascosto nel più profondo d’un armadio, e provava terrore solo ad avvicinarsi al cassetto che lo serrava.

Ma una sera – una triste sera di dicembre che era l’anniversario preciso della notte fatale – la signora Tina fu spinta, quasi inconsapevolmente, a trarre fuori dalla custodia ove era rimasto sino a quel giorno il bellissimo boa.

E, siccome dovevano, lei e lo sposo, recarsi a teatro, ella se ne cinse il collo.

Appena lo scorse Cesare impallidì.

— No, no, – disse con voce rauca.

E, poichè la moglie lo guardava meravigliata, egli esclamò:

— Non lo mettere, te ne prego.

La moglie alzò sopra di lui i grandi occhi scuri.

— Perchè dunque? – mormorò semplicemente.

Egli rabbrividì tutto e abbassò gli occhi.

E non disse altro.

Ella mise il boa e lo recò a teatro.

Per tutta la sera egli restò cupo, taciturno, agitato.

Ritornati da teatro la donna posò il boa morbidissimo sopra una poltrona in fondo alla vasta camera, di fronte al letto.

Cesare pareva sempre agitato e convulso, e non riusciva a prendere sonno.

A un tratto la moglie ruppe il silenzio della notte e disse:

— Perchè, dunque, non volevi che mettessi il boa di martora?

Cesare non rispose.

— Perchè, – continuò la donna, – esso ti fa dunque tanta paura?

Cesare taceva ancora.

Ma la moglie sentì che rabbrividiva tutto, accanto a lei.

— Perchè dunque, perchè? – ripetè.

Un filo della luce della strada entrava dalla imposta malchiusa del balcone.

Il boa posato sulla poltrona appariva rischiarato dalla sottil fascia luminosa.

Cesare lo vedeva, lo guardava e taceva.

A un tratto si alzò a sedere sul letto.

Alla moglie apparve nella penombra bianco come un cadavere.

Egli alzò le braccia, tremante, ed esclamò con voce strana, profonda, da lei mai udita:

— Ah, tu dunque vuoi saperlo, vuoi saperlo?

E come lei taceva allibita, egli continuò:

— Tu vuoi dunque saperlo il perchè del mio continuo terrore, del folle turbamento che mi consuma, che mi uccide, che mi fa impazzire? Giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, da un anno intero? Lo vuoi tu, dunque sapere una volta?... giacchè io sento che tu, come tutti, non lo sospetti perchè forse lo sai....

La moglie taceva spaurita.

— Ebbene te lo dirò.

E Cesare, pazzo ormai, fuori di sè, continuò:

— Sì, te lo dirò, poichè debbo dirtelo, poichè devi saperlo, tu almeno, tu, una volta! Ebbene sappilo, sì, sono io che l’ho ucciso, quella notte, ricordi? Quella notte, quando mi hai veduto in mutande!... Quando mi hai chiamato! Io aveva finito in quel momento di ucciderlo! Io avevo soffocato il suo ultimo grido, il suo ultimo rantolo! Dio com’era terribile, come era duro a morire quel disgraziato! E l’ho ucciso. Io, capisci, io! E questa casa, questi mobili, i gioielli che ti ho regalati, le tue vesti, questo letto, tutto, tutto quanto ti circonda, io l’ho rubato.... capisci? l'ho rubato in quella sera, a lui! Ora comprendi dunque, tu, una volta finalmente? Lo comprendi, dunque, lo comprendi?...

Cesare parlava ancora, alto, rigido, spettrale, nel buio della camera silenziosa e la moglie atterrita lo ascoltava come in sogno.

Poi egli, folle di spasimo e di rimorso, si gettò verso lei quasi per cercar ricovero nelle sue braccia fide....

Ma quelle braccia fredde, si levarono rigide e lo respinsero, in un moto folle e convulso di terrore e di orrore.

Share on Twitter Share on Facebook