VI.

Quanto sole, ora, al di fuori! Piero ritto ancora sulla porta della Cappella, ne fu quasi abbacinato.

Mauro, prigioniero sempre al suo arbusto, come scorse il padrone nitrì di gioia.

Piero gli si accostò.

— Caro, caro, caro – fece, accarezzandolo nel muso intelligente.

Il cavallo fremette tutto di piacere, anelante di moto e di corsa.

Piero sciolse le redini da l’arbusto. Lo legava al suo Mauro un vero amore da arabo.

Come fu sciolto Piero gli allacciò con un nodo le redini sul collo, acciocchè non gli dessero impaccio alle gambe e in esse non inciampasse. Poi lo lasciò andare: libero.

Il giovane cavallo, pazzo di gioia e di libertà, mosse due passi, quindi spiccò un balzo. Lo videro slanciarsi verso un largo spiazzo a prato, saltare, sparar calci, ebbro, la coda eretta e la criniera al vento. Piero lo lasciò folleggiare così, poi lo chiamò. E Mauro obbediente venne a lui, la testa bassa, umile, mansueto, con una strana grazia strisciante di giovane gatta in fallo.

Piero lo accarezzò nuovamente.

Poi, come parlando ad un essere ragionevole, gli disse:

— Su, vieni con noi.

E i due giovani si mossero, inoltrandosi verso il folto del bosco, seguiti docilmente dal cavallo.

Questo ogni tanto si arrestava, rizzava le mobili orecchie, annusava la brezza, l’occhio gli si accendeva, fermo sulle quattro zampe; poi al richiamo del padrone, abbassava la testa, e proseguiva docilmente...

Il bosco cantava tutto in quella vivida ora di luce. Il sole ne era ormai il padrone assoluto. Le alte vette degli alberi se ne bevevan il fulgido ardore e mandavan giù, sui due giovani, come incensieri, gli aromi delle lor resine ravvivate. Venivan così da l’alto, a tratti, strane carezze di tepore olezzante, proprie dei boschi pasciuti di sole. E i felici abitatori del parco: i padroni de’ muschi, delle rame, de’ misteriosi recessi nei tronchi, delle zolle delle erbe, cantavano, ronzavano, fremevano tutti, intenti alla loro intensa opera di vita. Così tutto parlava, cantava, inneggiava della grande voluttà della vita, alimentata, divinizzata dalla luce. Dalla luce fonte suprema, iddia della vita.

E pure il giovane, in quel momento non godeva del tutto la ebrezza che tutte signoreggiava le cose intorno a lui. Una vaga, misteriosa ombra grigia era in fondo alla sua anima. Accade, talvolta, di sentir così misteriosamente ma acutamente di non poter essere gai, mentre la gioia ci circonda, per qualcosa di triste, di doloroso, che non si sa, che ci è ignoto ancora, ma che pur è nel profondo di noi. Qualcosa che è passato, rapido, inavvertito forse, ma lasciando la sua livida traccia; che si vedrà, a suo tempo, farsi palese, distinta, giganteggiare e divenir alfine padrona della nostra anima..... Così Piero, in quel momento: sentiva nel profondo del suo essere come una recente ferita: era una vaga impressione penosa, lugubre quasi, che gl’impediva di gioire della gran gioia che lo circondava.

Ma a un tratto ricordò. La vaga pena secreta si formula distinta. Ricordò le parole di poco anzi della sorella, a’ piedi del Santo. E risentì nel suo cuore la dolce voce accorata, nella sincerità appassionata della invocazione.

Si volse a guardare la pura figuretta della sorella, snella ora sullo sfondo delle alte erbe in fiore.

— Dimmi un poco, Silvia – e la fissò – lo preghi sovente, tu, il Santo?

— Oh sì.

— E dimmi: che cosa chiedi a lui?

La sorella lo guardò in silenzio, prima di rispondere. Poi disse:

— Non so. È qualcosa che non so dire...

— È strano.

— Sento, non so, il bisogno di pregarlo per noi...

— Per noi?...

— Sì, per noi due. Io e te, Piero. Chiedo a lui... di proteggerci.

— Povera cara!

— Tu lo sai. Qualcosa manca, a noi due.

Piero sentì il pensiero della sorella.

— Lo so.

E riprese subito:

— Non è nostra la colpa.

Ella seguitando il pensiero di Piero:

— Oh no. Ma è ben doloroso...

— Èingiusto.

Silvia gemette sottovoce:

— La mamma non ci ama.

Piero le susurro all’orecchio:

— Ella ci odia, Silvia.

La sorella si coperse dolorosamente il volto con le mani.

Proseguirono in silenzio il cammino. Piero osservava la soavissima figuretta attristita della sorella. Ella andava di alcuni passi innanzi a lui e accarezzava con la punta de l’ombrellino gli alti steli delle erbe, e teneva un po’ china la testa. Era veramente una ben dolce figuretta di pensosa... E Piero sentiva in suo cuore scendere la tenerezza per la diletta compagna, soave tenerezza che avea pur qualcosa d’intimamente doloroso. E pensava che era in loro una ben preziosa corrispondenza di eguali sentimenti e d’idee; la rara, preziosissima eguaglianza di anime che solo la comunanza del sangue può dare. Così due gocciole dello stesso licore, dal medesimo calice uscite, hanno le stesse iridescenze, le stesse ombre e gli stessi fulgori...

Furono così all’estremo limite del parco. Quivi sorgeva un muro, in parte diroccato, e al di là si sprofondava una grande villa nera e silenziosa. Si vedevan sopra le alte vette degli alberi i pinnacoli d’una grande palazzina.

Piero domandò a Silvia se conosceva gli abitatori di quella villa.

— Sono gli Aldobrazzi.

— Gli Aldobrazzi di Valdarda?

— Precisamente.

— Ma li conosco bene, io! – fece Piero risovvenendosi.

— Lo so. Passan l’inverno a Roma.

— Sicuro.

— E vengon qui alla fine di giugno.

— Giungeran presto, dunque.

— Certo.

Piero proseguì:

— Fui molto amico di Vico.

— E della principessina Fiora – fece Silvia.

— Come sai, tu?

— Oh! mi han parlato tanto di te, essi...

Piero ripensò agli Aldobrazzi. Rivide Vico, già suo compagno di piacere. Un vizioso perfetto. Un accanito sacerdote dell’orgia. Un genio del vizio. E a lui accanto sorse l’immagine della principessina Fiora, la sorella. Una tizianesca figura dalla fulgida capigliatura di fuoco, dal volto di avorio: una regina di civetteria, sapiente come un’etèra, raffinata come una donna moderna... Sfolgorante e pericolosa fanciulla! Egli avea bruciato, ancora pochi mesi innanzi, molto incenso a’ suoi piedini perversi...

Si volse a Silvia:

— E voi, in casa, vi siete fatti amici degli Aldobrazzi?

— Vengon sempre quando sono alla villa. Del resto, qua, non ci siam che noi!

— E tu sei stata con loro?

— Certamente.

— Dimmi una cosa, Silvia – fece Piero.

— Domanda.

— Ti ha fatto la corte, Vico, non è vero?

— Un poco.

— Ne ero sicuro.

— Però a me non piace, Vico – disse Silvia, dopo un poco, convinta.

— Non può essere altrimenti – concluse Piero.

Ma l’imagine degli Aldobrazzi, sorta improvvisamente lì, nel parco, tra lui e Silvia, gli fe’ l’effetto d’una nota stonata, gli produsse quasi un sottil senso di disgusto.

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