VII.

La sorella montava su pel grande scalone di marmo: solo in alto illuminato dal sole. Ella montava molto lentamente, fermandosi ogni poco, e recava fra le braccia un grande fascio di fiori gialli. E montava pensosa.

Leo, il veltro fedele, l’avea, con due balzi, preceduta e l’attendea là in alto, dimenando l’agile corpo nervoso, gli occhi intenti sulla bella padrona che salìa verso lui. Nella soave fatica dell’ascesa, così un poco reclinata in avanti, ella entrava gradatamente nella luce del sole. La snellissima persona, vestita di candido, svelava la fresca sagoma della vita, giovanilmente constretta nella nivea fascia dell’abito.

Quando fu in alto, tutta nel sole, ella si arrestò e si volse, facendo, pel sole, riparo al volto dell’aureo mazzo de’ fiori che al vivido guizzo del sole si accendevan di bagliori, mentre il veltro accostava la intelligente testina alla bianca vesta della padrona.

Piero, dal basso, aveva contemplato salire la bellissima, ed ora a lei, circonfusa di sole, tutta candida presso l’oro de’ suoi fiori ardenti, egli sorrise: sorrise al vivido quadretto di giovinezza e di luce.

In tal modo Piero – naturalmente artista – soleva compiacersi, ne’ suoi vari preziosi atteggiamenti, della grazia squisita della sorella.

Così, un’altra volta, ella era in mezzo ai fiori. Ne aveva, d’intorno, un fascio: rose specialmente; rose bianche, carnicine vivide come sangue; e garofani e giacinti e altri fiori dagli intensi profumi. Ed ella tuffava le braccia nude nella carezza olezzante: e l’olezzo le saliva, quasi, su per la pelle; le penetrava, quasi nelle vene, nel giovine vergine sangue; la faceva fremere, tutta, di un legger fremito sensuale. E in mezzo a quel fascio di fiori, accesa da quegli olezzi, ella rideva – ella che solea sì poco ridere – veramente gaia in quel momento. E gli occhi le lucevano, le rosse labbra scoprivan i bianchissimi denti, e fremeva tutta sinceramente voluttuosa.

E fu quella volta ch’egli ammirando quel bel fiore fra i fiori pensò:

— Ecco la creatura bella e completa: forte perchè purissima, potente perchè vergine, eccelsa perchè vera. Da lei viene la grazia, il fascino, l’estasi, l’amore. Da lei germoglierà vivida la vita, da lei che è fonte limpidissima, che nulla d’impuro ha turbato. E quanto da lei verrà sarà completo, perchè lei è purissima e vera. E io che ho cercato la donna, io che ho anelato la voluttà, io che ho perseguito l’amore, nella folle mia giovinezza avida della donna, dell’amore e della voluttà, io sono stato ingannato. Giacchè in fondo all’amplesso della donna che mi si è data io ho trovato la stanchezza e il disgusto: in fondo alla voluttà in cui mi son tuffato era lo scoraggiamento della morte; in fondo a l’amore era la sazietà e il presentimento del vano. Oh, come lontano ho cercato!... Oh, donne che m’avete inebriato con le vostre carni bianche, con la luce dei vostri sorrisi, con il fuoco de’ vostri baci; oh, donne che m’avete tuffato ne le vostre lascivie, come siete fredde e lontane da qui! Ecco la donna vera: ecco la donna vergine. Voi sapete che io ignorava il fascino – che nulla può vincere – della verginità assoluta; ch’io ignorava la sensualità che vapora dalla purezza; ch’io ignorava lo spasimo di voluttà che effonde la immacolatezza del giglio umano. Oh, donne che ho amato e che mi avete amato, o fiori dolci, o selvaggi, da l’olezzo morbido come la carezza o dal profumo violento come il brutale amplesso; o fiori di serra sbocciati tra la seta e lo champagne, eccovi il divino gran fiore umano, il Giglio, la donna: la pura, la bella, la vergine, la vera.

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