Quel recondito cantuccio del parco, ancor umido de l’ultima piova, esalava un intenso profumo di verde e di fresco: l’olezzo inebriante del bosco ne’ tramonti del luglio, che nessun aroma de gli uomini è riuscito ancora a rubargli. Quivi gli arbusti facevano una piccola cupola, un nido, un antro misterioso di verdi rame strettamente intricate.
Per terra, là sotto, correva un tappeto di musco, ancor esso – come tutto, là intorno – verdissimo; e regno felice di intere tribù d’insetti beati.
Quivi apparì Fiora, in quella dolce ora estiva: la principessina era sola, e la sua alta e snella persona era molto semplicemente vestita d’una grigia vestaglia, un poco attillata, che la faceva assomigliare alla più vaga pastorella, o ninfa, o fata silvana del luogo. Teneva in mano, pel lungo nastro, il cappello; un largo cappello campestre di paglia, sol guernito di fiori del parco.
L’ardente sua testina era libera così, nell’ultimo bacio del sole morente: e si spingeva arditamente nel verde del recondito cantuccio ninfale, in cerca di colui che già vi avrebbe dovuto ben essere. Ma il verde nido, la grotta, la cupola di verdura era proprio vuota, in quel momento: ed ella quando fu ben certa della cosa, rimase un istante ferma, indecisa, quasi in forse se ritrarsi o restare. Guardò il cielo roseo, in alto, sopra le alte cime dondolanti del parco; e forse calcolò da esso che quella dovea ben essere l’ora del convegno e che qualcuno era in ritardo e colpevole, in quel momento, verso di lei. E un lieve rammarico per questo pensiero apparì sul suo volto: si appoggiò ad un tronco vicino e rimase così a pensare: guardando il verdissimo musco chiazzato di giallo, morbido tappeto ai suoi piedini di fata...
Ma la bella persona non durò molto tempo in quella sua soave positura – preziosa visione pel pittore in cerca di bel soggetto primaverile – perchè un largo stormire di fronde la fece accorta che l’atteso era giunto.
Lì, a pochi passi da lei, apparì egli tra le fronde: e sul suo volto, ne’ suoi occhi inquieti, nella piega della sua bocca lievemente anelante, forse per la corsa recente, ella subito lesse l’ansietà di trovarla in collera. Ma ella gli sorrise calma e affascinante.
— Perdonatemi, Fiora – disse egli con la voce un poco affannosa – sono giunto tardi, lo so. Oh! un contrattempo maledetto che per poco m’impediva, Fiora, di venire...
Aveva incontrato, ne’ sentieri del parco, nientemeno che tutta la brigata: il principe, Vico, donna Albina. Lo avevano trattenuto: avea dovuto inventare una frottola per isfuggire loro, e a stento v’era pur riuscito. E avea fatto una corsa: qual corsa!...
Egli appariva molto inquieto.
— Comprendete Fiora? vostro padre, vostro fratello e gli altri sono in giro pel parco...
Fiora sorrise ancora e gli fece cenno di sedersi sul musco per riposarsi.
— Ma... bisogna che ritorniate subito alla Villa.
Fiora, tranquillissima, lo interruppe:
— Oh! possiamo rimanere ancora...
Egli la guardò sorpreso e mormorò:
— Come volete, Fiora.
E si lasciò andare sull’erba. Era stanco della corsa affannosa fra gli sterpi e gli arbusti del parco.
Ella gli stava ritta, dinanzi, sul verde: avea lasciato cadere il cappello di paglia per terra, sul musco, e stava, così, le braccia abbandonate, sulla grigia vesta. Pareva più giovane ancora: una bambina. Un sottile ramoscello le giungeva sino all’orecchio, ed ella vi appoggiava, così per aria, la testina bellissima.
— Come siete bella! – mormorò Piero convinto.
Ella gli sorrise.
— Baciami – mormorò.
Il giovane si alzò e l’abbracciò con impeto, quasi rudemente.
Ella si disciolse lievemente e sedette sul musco, poco discosto.
Piero rimase in piedi, alto, quasi gigante, in quel piccolo antro verde che i raggi del tramonto cominciavano a velare di ombre.
— Avete voluto venir qui, Fiora... ma è stata una imprudenza.
— È così bello, qua!... – mormorò Fiora.
— Ma come avete fatto?...
— Ho detto che non potevo uscire: che avevo l’emicrania: che avevo bisogno di stare sola, in mia camera...
— È stata una imprudenza. Fiora! potrebbero sorprenderci...
— Oh! – fece lei, incurante.
— Per voi, Fiora... lo sapete bene.
— Oh certo, lo so.
— Ilparco non è poi tanto vasto...
— Ma vi si sta così bene, in questo lettuccio di verde!... – mormorò lei, bambinescamente, giocherellando con le bianche testine di certi piccoli funghi che sbucavano qua e là, nell’umidore del musco.
— Non siate imprudente, Fiora! – fece lui, molto serio.
— Lo sapete bene che non lo sono mai stata – ribattè lei, sempre calma e gli tirò uno dei piccoli funghi.
Ma Piero in quel punto sobbalzò; come un bracco sull’erta tese l’orecchio.
— Li sentite? – disse sottovoce.
— Sì – mormorò Fiora.
Difatti la voce del Principe e degli altri giungeva a loro abbastanza distinta.
Ridevano, schiamazzavano forte, forse giuocavano nei sentieri del parco come monelli, turbando la profumata quiete del parco che si preparava a dormire.
— Alzatevi, Fiora, vi accompagnerò io – disse Piero, questa volta risoluto.
— Ancora un poco, ancora un poco – cantarellò la bella principessina bambina, arrovesciando la testa sul verde, aprendo le belle braccia.
Mai abitatrice dei boschi apparve più tentatrice a povero fauno innamorato, di quello che sembrò la bella Fiora a Piero in quel momento.
— Ma voi siete pazza, Fiora, oggi! – mormorò egli quasi in collera, ora. – Alzatevi, vi dico; se sono qua, essi, a due passi!...
Ed invero le voci degli uomini s’eran di molto ormai avvicinate; si sentivano chiaramente; si distinguevano i lazzi del Principe e le risa un po’ sguaiate di donna Albina. Poche dozzine di arbusti li separavan da essi: se il piano fosse stato sgombro li avrebbero veduti a pochi passi.
Quasi a forza sollevata da Piero la principessina si alzò.
— Ancora un bacio – mormorò ridendo.
Piero la baciò in fretta e le disse:
— Andate presto, andate... è meglio che io rimanga.
Fiora sorrise ancora, e non a lui solo: sorrise anche al parco, all’antro verde, all’ora profumata e piena di penombre misteriose.
E fuggì.