XIV.

E aveva parlato, alla madre... Oh! Piero aveva ancora nel cuore, nel cervello, nel sangue la collera, il furore, la vergogna del triste colloquio. Ben poche parole aveva detto donna Albina, ma Piero se le sentiva roventi nel sangue.

Ora donna Albina era in un angolo del giardino con il Principe Aldobrazzi. Ella rideva; era gaia e scherzosa. Si era sfogata con Piero: ed ora ella era contenta.

Piero passando dietro il piccol chiosco di verzura ove la madre seduta all’ombra discorreva con il Principe, rallentò alquanto il passo.

Il Principe dovea certamente dire qualcosa di molto galante alla contessa Sergio, la vecchia amica di altri giorni, perchè ella lo guardava ridente e beata.

Il Principe le parlava, chino su di lei, molto da presso.

La voce di donna Albina giunse sino a Piero. – Son passati que' giorni, mio principe – diceva ella ridendo, battendogli il ventaglio sulle dita. Ma gli occhi ardenti della ancora non paga donna diceano chiaramente al vecchio amico (e il figliolo, come già altra volta, intendeva) che potevano, que’ giorni, ritornare.

Ei si allontanò disgustato.

— Anche lui – mormorò.

Silvia lo attendeva al limitare del parco. La scorse tosto e le fu presso. Era pallida e triste.

Piero le prese una mano.

— Coraggio, Silvia – mormorò con tenerezza – sai, ho pensato: parlerò io a Vico.

— Sii prudente, Piero – mormorò.

— Oh, non temere.

— Non so, io tremo di tutto – disse ancora la sorella, sgomenta.

— Povera cara, e di che? io persuaderò Vico.

— Lo speri tu?

— Lo persuaderò a tutti i modi.

La sorella sospirò.

— Accompagnami, Piero, sino alla Cappella – disse alfine – io attenderò là la fine del tuo colloquio. Intanto pregherò.

— Come vuoi, cara.

E Piero soggiunse:

— Vico lo troverò certamente alla Villa o fors’anche pel bosco. Egli suole recarsi, lo so, a riposare al rezzo del parco in queste ore bruciate. Ma ecco Leone.

Difatti il ragazzo veniva con Mauro sellato.

— Conducilo avanti: monterò alla Cappella – gli ordinò Piero.

E dette il braccio alla sorella.

La campagna matura era avvolta come in una immensa fiammata di sole. Zaffate ardenti scendevan dalle cupole verdi immote sotto il bacio potente del sole. L’aria calda era pregna d’aromi intensi.

Fecero la via in silenzio. Silvia, spossata, appariva affranta.

— Mi raccomando, Piero... – pregò ancora una volta la dolce voce della sorella.

— Attendimi quà, cara... sarò di ritorno presto – disse Piero.

E saltò a cavallo mentre Silvia andava a gettarsi a’ piedi del Santo.

Piero prese pel parco.

Che avrebbe egli detto a Vico? Egli non sapeva. Che avrebbe egli risposto alle domande di lui? Perchè la sorella non doveva, non poteva essere sua? Oh, Piero fremeva all’idea d’una risposta. Sotto i raggi intensi, che le fronde del parco non bastavan a riposare, Mauro camminava ansante, sudato. Era nell’aria un’afa affannosa: un alito veemente passava sulla campagna in fiamme. Piero sentiva ardere le tempie: dal terreno salivano a lui vampate di fuoco che lo spossavano. Gli occhi gli bruciavano e nella mente avea un cupo ronzìo che lo turbava.

Si fermò un istante, cercando un viottolo ombroso per proseguir meno penosamente.

Proprio in quel punto sentì chiamarsi dal folto del bosco:

— Piero.

Era la voce di Vico.

Lo scorse tosto. Era sotto un viluppo di cespugli, riparato da un alto albero; ed era a terra, disteso sul verde musco.

— Ti andavo appunto cercando. Vico – disse Piero smontando da cavallo.

— Mi cercavi? – chiese Vico, sollevandosi alquanto su i gomiti.

— Sicuro... e per parlarti, Vico.

In quel punto Piero scorse Leone che lo aveva seguito.

— Vien quà Leone: prendi Mauro, fallo muovere, là, all’ombra...

Il ragazzo prese per le redini il cavallo e si allontanò.

Piero rimase ritto davanti a Vico, sempre disteso sul musco. Egli osservò un momento il giovine principe. Spossato dal caldo, rilassato, nell’abito aperto per soffrir meno l’afa dell’ora, egli appariva una ben miserevole rovina d’uomo. La piccola testa precocemente calva, il volto emaciato, dalle livide occhiaie profonde, gli occhi stanchi e spenti, la pelle oleosa e giallastra dicevan lo sciupìo miserando che il vizio avea fatto della sua giovinezza. La mente di Piero s’arrestò un istante sopra una rapida idea: – Silvia tra le braccia di quel carcame d’uomo? – Oh!...

— Che cosa devi dunque mai dirmi, o misteriosissimo uomo? – riprese Vico, tra il serio e il faceto, indeciso.

— Ascoltami, Vico. E, anzitutto, dimmi: sei tu pronto ad ascoltarmi con calma... a ragionare con me?

Vico lo guardò, sorpreso, sospettoso alquanto.

— Ma sì, Piero. Ma parla, dunque...

— Senti, Vico. Forse ciò che debbo dirti ti maraviglierà... anche, forse, ti addolorerà, credo...

Vico lo guardò, tentando comprendere.

— Parla.

— È Silvia, Vico, che ti parla ora per mia bocca...

Vico si alzò, fatto serio, e guardò fiso Piero.

— Sentiamo.

— Silvia, Vico, ti prega di...

— Ebbene?

— Ti prega di rinunciare a lei.

Vico non rispose subito. Si era fatto pallido e osservava in silenzio Piero.

— È veramente Silvia che t’ha incaricato di dirmi ciò? – domandò alfine lentamente.

— Che cosa vorresti dire?... – chiese Piero impallidendo.

— Ti domando se, come tu dici, è veramente Silvia...

Piero lo guardò un poco, poi disse freddamente:

— Dal momento che sono qui a dirtelo!

Vico ruppe in una risata.

— Ècuriosa.

Piero fremette, ma si contenne.

— Non v’è nulla, Vico, mi sembra di curioso, in ciò, come tu dici. Se tu ti fossi prima bene informato, avresti anche saputo che Silvia non ti ama...

Vico ruppe in un’altra risata.

— Ah, non mi ama!

E soggiunse:

— Lo ha confidato a te?

Piero, ingoiò il singulto nervoso che gli salì alla gola, e mormorò calmo:

— Sì.

Vico battè la bacchettina sull’erba.

— Ho un dubbio – disse alfine.

— Quale? di’ su...

— Che mi sia tu contrario, Piero...

Piero lo guardò.

— Può essere.

— Oh, lo sapevo!

— Orsù, finiamola, Vico – disse Piero, allora. – Tu non sei fatto per mia sorella: e sì lei che io ne siamo fermamente convinti. Ecco tutto.

— Dunque siete voi, voi due che... che non mi volete, infine? – disse ancora, ghignando, Vico.

— Già, noi due: e ti dovrebbe bastare, mi sembra.

Vico fischiettò fra i denti:

— Ah! è bella, è bella, è bella!

E soggiunse, guardando sarcasticamente Piero:

— Eppure, caro contino Piero Sergio... già ufficiale cavalleggere! non dovrebbe dolervi poi tanto l’acquistare per parente un principe Aldobrazzi!

Piero, pallidissimo, gli si avvicinò:

— Cosa intendi tu dire? – sibilò.

— Oh, nulla di male – disse Vico, sempre su lo stesso tono, ma retrocedendo prudentemente di qualche passo.

Ma Piero lo investì.

— Ripeti, ti dico, miserabile; che cosa hai inteso tu dire?

Vico, pallido anche lui d’ira e di veleno, mormorò fra i denti:

— Oh, a Roma, credi a me, ciò ti avrebbe fatto un pochino di bene!

— Ah, vigliacco, tu m’insulti!... – gridò Piero, sentendo un’ondata di sangue montargli al cervello. – Tu m’insulti!...

E cieco, pazzo di furore, si slanciò sul principe.

Costui indietreggiò spaventato, ma Piero lo aveva già afferrato.

Vico, nel dibattersi, scivolò e Piero gli fu sopra.

— Vigliacco! – gli sibilò sul volto il caduto, verde d’ira e di terrore.

Piero, pazzo del tutto, cieco, le mani alla gola dell’Aldobrazzi, strinse, strinse, strinse.

Ma era ben debole e flaccida quella miserabile gola! Gli occhi si torsero un momento, la bocca digrignò ancora una bestemmia. Quando Piero allargò le dita, la testa del giovane Principe si rovesciò pesantemente sul musco.

— Dio! – urlò Piero, svegliato dal rapido incubo.

Scosse due o tre volte il corpo immoto.

Vico non si mosse più.

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