XI.

Il vecchio Kalika ci aveva detto:

— Prima di arrivare sino al Sommo Capo voi dovete sostare alquanto nel Tempio, acciocchè le vostre anime si purifichino e possan acquistare la severità e la calma atta ad ascoltar con il profitto dovuto la parola di Lui.

Ed ora egli ci aveva condotto sino all’ingresso del Tempio.

Era un’immensa cupola la cui forma bizzarra, ma più di tutto la lucida pietra ond’era formata, mi fecer comprendere subito essere stata formata naturalmente e non dalla mano dell’uomo.

Riconobbi subito ch’era una immensa stalagmite. La prima impressione era quella d’un colossale getto d’acqua cristallizzato. Pareva che una smisurata massa di acqua, sollevatasi da terra come una palla immane fosse stata all’improvviso pietrificata da una forza sconosciuta.

Graziosi frastagli pendevano dal dorso del colosso sino a toccare terra, colonnine agili e svelte, che ad un certo punto si ramificavano fantasticamente, lo contornavamo da ogni parte.

Una stretta apertura facea da porta.

Kalika ci fe’ cenno di arrestarci: quindi entrò pel primo.

Dopo un istante ricomparve e ci invitò tacitamente a seguirlo.

Passammo anche noi l’apertura.

Una immensa caverna – è la sola parola che render possa con precisione l’idea – dalle cui volte debolmente luminose scendeva un silenzio, una pace, una quiete arcana.

Essa era vuota completamente: e nessun altro essere umano, oltre noi, l’animava.

Nessun ornamento, nessun oggetto o simbolo appariva sulle grandiose pareti ricurve.

Un vuoto immenso, un silenzio perfetto.

Kalika ci fe’ cenno di arrestarci: e si genuflesse a terra, a modo degli orientali.

Noi ci sedemmo.

E sentimmo scendere su di noi un infinito senso di pace grandiosa e solenne, qualcosa di mistico mai provato per l’innanzi.

Dalle volte, dolcissimamente ricurve su di noi, scendeva con la blanda luce una misteriosa potenza che s’impadroniva di tutto il nostro essere: la nostra anima, in quel silenzio infinito, pieno di strane voci misteriose extra-materiali che parlavano misteriosamente alla nostra psiche, era costretta a sollevarsi, a pensare a qualcosa e a qualcuno di grande, di terribile, di formidabile in alto, fuori, sopra di noi.

Era io sveglio allora? Dormiva? era un sogno od un incubo? Io non percepiva più, dentro di me, che quel senso grandioso di elevazione, come d’una forza mai sospettata che mi lanciasse fuori della mia natura d’uomo animale.

Io sentiva Dio.

E con Dio sentiva la grandiosità del Creato, la formidabile potenza della Natura, così ricca e così ascosa ancora, ne’ suoi recessi, ai nostri occhi gracili e ciechi di uomini cui solo un grande orgoglio e un più grande errore possiede tutti: la stolta fiducia di tutto conoscere di essa, di tutto avere spiegato, di tutte aver rinchiuse le sue forze arcane, in un piccolo cerchio di regole fisse; di tutti averle rapiti i suoi divini secreti!...

Poveri illusi – gemeva la mia anima – poveri deboli e ciechi!...

E, come una musica arcana e lontana, la voce di Kalika, che già qualcosa di simile aveva proferito al mio orecchio, ritornava a molcere il mio udito come in sogno....

Quanto durò quest’estasi?...

Non so.

Ricordo che ad un certo punto Kalika ci chiamò e ci riscosse dal nostro profondo raccoglimento.

Egli era in piedi davanti a noi, e in quella luminosa penombra pareva altissimo, tanto che sul primo momento, invasi ancora dal sottile orgasmo che del tutto ci aveva fatti suoi, ne rimanemmo alquanto turbati.

Ma egli parlò:

— Alzatevi, figliuoli, e andiamo: il Capo ci attende.

Ci alzammo.

Kalika ci fece attraversare il tempio in tutta la sua lunghezza e per un’altra apertura, posta alla parte opposta da quella per la quale eravamo entrati, ci fece uscire.

*

Ora davanti a noi era come una rapida viuzza, che parea scavata nella cruda roccia e che saliva irta senza un solo arbusto o un fiore a’ cigli. Anzi la sua completa aridezza ci colpì, giacchè fino allora nessun luogo ci era apparso spoglio di quelle eleganti piante che ho detto e privo di fiori.

Kalika prese a salire, senza far parola, su per la bizzarra straduzza.

Noi lo seguimmo.

Dopo un non breve tratto, la scena cambiò.

Eravamo sul culmine d’una altura, donde il nostro sguardo spaziava padrone tutto all’intorno.

— Guardate, – disse Kalika.

Tutto Komokokis era sotto di noi.

Una immensa visione di luce. Il lago era uno specchio d’argento scintillante.

Le foreste di Kamsiki parean smeraldo tremolante. Le piccole case a cupola, minuscole perle incastonate in quel verde smeraldino d’una bellezza inesprimibile. Sulla nostra testa la grande nebbia diafana di luce ch’era, quasi direi, l’essenza d’ogni cosa vivente o no, entro quel magico paese, ci nascondeva forse la brutta massa delle granitiche volte.

— Ov’è il Sommo Capo? – chiese Eduardo.

Kalika non rispose.

Ci fe’ solo cenno di ubbidire agli ordini che stava per darci.

Ci dispose seduti l’uno di fronte all’altro, sopra due specie di piccoli rialzi del terreno e c’impose il silenzio.

Allora notai, con somma meraviglia, che noi eravamo perfettamente sulla cima d’una specie di collina che doveva aver la forma di pan di zucchero, e del tutto isolata nella pianura da cui sorgeva.

La piccola piattaforma sopra la quale noi ci trovavamo era tutta all’intorno circondata dal vuoto, che permetteva al nostro sguardo, come ho detto, di spaziare in ogni direzione sul paese in basso.

Noi eravam dunque isolati, in aria, dirò così.

Mentre pensava da dove potesse mai scaturir il famoso Capo alla cui presenza dovea inoltrarci la nostra guida, vidi Kalika genuflettersi ancora, come già aveva fatto nel tempio, e restare così immobile e silenzioso per qualche tempo.

Indi profferì gravemente:

— Ora, o figliuoli della terra, io aprirò le vostre sorde orecchie, illuminerò i vostri ciechi occhi, e farò sensibili i vostri sensi ottusi. Ascoltate, vedete e v’infiammi la fede verso Colui che di tutto è padrone perchè tutto ha creato.

E prese le nostre nelle sue mani.

Dopo un istante, come una strana lucidezza, che non riesco ad esprimere, prese tutte le mie facoltà. Mille impercettibili rumori, venienti dal basso, che prima io non poteva udire, vennero a titillarmi l’orecchio e qualcosa di vago parve passare davanti a’ miei occhi.

Stava per aprire la bocca e comunicare ad Edoardo queste mie impressioni, ma Kalika m’impose energicamente il silenzio.

Allora una strana cosa apparve al mio sguardo.

L’aria luminosa, davanti a me parve condensarsi, raccogliersi, e una forma – una forma umana – vaga e imprecisa, dapprima, poi vieppiù distinta e consistente, mi apparve chiaramente. Distinsi una testa, un profilo, un lungo paludamento, due mani che si agitavano dolcemente.

E l’impalpabile figura – veniente certamente dal regno dell’al di là – si determinò sicura, in tutta la sua parvenza reale, ai nostri sguardi meravigliati ma non sgomenti.

Anzi come un sottil senso, del quale mi è fatica esprimere la misteriosa ed intima essenza – un vago senso di lieta pienezza, di soddisfazione, di gioia strana e secreta, quasi – si fe’ padrone della mia mente.

L’alta figura ch’era apparsa davanti a noi era quella d’una mistica creatura dal volto solenne, dallo sguardo vago ma profondo: parea involta in una bianca veste di luce, le sue mani eran volte verso di noi, in atto benigno.

La sua bocca si mosse, ma nè a me nè a Edoardo fu possibile afferrare il suono della sua voce.

Invece Kalika pareva comprenderlo: e lo scorsi dall’atto di intensa attenzione con la quale tendeva il volto verso l’apparizione.

Durò qualche tempo questo muto dialogo fra il vecchio e il fantasma, finchè Kalika fatta una profonda genuflessione lasciò le nostre mani – la lucidezza dei sensi parve abbandonarci e tutto svanì davanti ai nostri occhi.

Kalika si alzò.

— Avete veduto? – disse egli.

— Sì, – mormorammo, – noi abbiamo veduto.

— Si sarebbe anche desiderato poter sentire la sua voce, – mormorò Edoardo convinto.

— I vostri sensi sono ancora troppo ottusi.... – dichiarò Kalika, – ma quando si saranno come i nostri affinati, sentirete ancor voi....

— Giacchè tutto ciò non è stato un sogno, non è vero? – mormorai.

Kalika mi guardo severo.

— L’eterno orgoglio!... – mormorò.

— Anche noi, sulla terra. – mormorai per iscusarmi, – abbiamo uomini che vedon gli spiriti e parlan con essi.... e noi sian soliti a risponder loro con le parole: illusione dei sensi, allucinazioni, suggestioni....

— Ciechi e sordi, dovreste dire, e non altro, – mormorò Kalika, – giacchè, non lo dimenticate, anch’io, come voi, sono stato un uomo della vostra Terra.

— Sicchè. – riprese Edoardo, – voi null’altro avete fatto che aprire i nostri sensi, far vedere i nostri occhi e udire i nostri orecchi....

— Sicuro: semplicemente questo. Voi non ignorate che altri uomini esistono, altre imagini, altre forme, altre essenze, altre cose insomma che i vostri organi limitati non riescon a percepire. Il vostro orecchio non riesce ad afferrare certi suoni dalle vibrazioni troppo acute – e i vostri naturalisti v’hanno insegnato che il grido di certi animali non è conosciuto da voi solamente perchè non riescite a sentirlo – come il vostro occhio non afferra certi colori, che pur esistono nella grande ricchezza della Natura. Così è di quanto avete or ora veduto! Esiston delle creature che han pagato il loro obolo alla prima crisalide materializzata della vita: esse sono ora l’essenza pura di questa Vita, che più grande e sublime di quanto voi uomini piccioletti non sospettiate. Il vostro povero occhio non ne afferrerebbe le parvenze superne se una forza maggiore di quella che vi avviva non desse ai vostri sensi il vigore, la potenza necessaria. Io, tenendo nelle mie le vostre mani, vi ho dato, vi ho comunicato la forza, la potenza che a me qualcuno ha voluto dare.... e voi avete veduto.

— Sicchè noi non siamo stati vittime di una allucinazione, o meglio di una suggestione ipnotica da parte vostra? – chiese Edoardo.

— Eterni increduli! – esclamò Kalika – quando comincierà dunque la vostra fede?... Ciò che voi avete veduto è, e ne avrete ancora, se Colui che può lo vorrà, altre palpabili prove.

— Sicchè voi, nostro venerato Maestro, – conclusi io, – venite a darci, in fondo, la spiegazione di tanti fenomeni che una caterva di convinti spiritisti invano s’arrabattano a fornirci, lassù, ne’ nostri beati paesi, illuminati dal sole....

— Io non so quel che tu dici, figliuol mio, – rispose calmo Kalika, – ma quanto ti ho appreso altro non è che il puro vero.

— Il nostro vecchio maestro ignora forse le battaglie che quassù, sulla nostra testa, si agitano tutt’ora sopra le teorie spiritistiche, – disse Edoardo, – ma la sua spiegazione mi persuade: e non nego di sentirmi molto attratto a convenirne anch’io. È vero che qualcosa esiste intorno a noi che i nostri sensi non possono scorgere se non rinforzati da una forza ignota a noi superiore.... Sia il fluido mediatico, sia altro, Kalika ci ha mostrato che questa forza egli la possiede.... e noi non possiamo negare di aver veduto! Questo neppur tu, suppongo, oserai metterlo in dubbio?

— No, certamente, mormorai.

*

— Ora dunque, – riprese Kalika gravemente, – ascoltate gli ordini del Sommo Capo. Voi vivrete fra noi, sarete accolti come fratelli fra queste anime buone, ma ad un solo patto, che del resto vi è già noto. Cioè che voi non turbiate le loro anime serene con la rivelazione di un altro mondo fuori di questo così felice e sereno che l’Altissimo ha voluto destinare ad esse per compier la prima parte della loro materiale esistenza. Voi dovrete passare fra di essi silenziosi e circospetti per quanto riguarda il luogo donde voi provenite. Poichè una grave condanna pesa sopra quello di codesti nostri fratelli che un raggio del vostro sole colpisce e illumina! Voi non lo saprete: ma è terribile. Non lo obliate.

Kalika si fermò un istante e scrutò sui nostri volti l’effetto delle sue oscure parole.

— Ed ora venite a me, figliuoli, – proseguì egli, – scendiamo questo monte, discendiamo alla pianura. Voi avrete una casa, vivrete tra i nostri fratelli; conoscerete i nostri usi e li dividerete. La pace che è con noi calmerà i vostri cuori agitati di uomini che il sole ha riscaldati, e un dolce oblio delle passioni che vi hanno tormentato lassù si farà signore della vostra mente. Ma le vostre labbra sien prudenti, nè vi fidate della vostra ragione di un giorno. Essa può trascinare ad una dolorosa mèta voi e le innocenti creature che il vostro errore potrà fare vittime.

Egli ci guardò, severo ed affettuoso insieme, e ci chiese ancora:

— Avete ben compreso, figliuoli?

— Sì, Maestro, – rispondemmo, vinti nostro malgrado.

— Allora andiamo.

E il vecchio Kalika s’avviò lungo la straduzza che ripida discendeva.

Share on Twitter Share on Facebook