I.

Edoardo, tutto chiuso nell’ampio paludamento dei giorni solenni, mormorò:

— Io vado al Tempio.

E siccome io lo guardava con aria perplessa, egli continuo:

— Sì, vado a compiere l’ultimo nostro dovere verso il Fratello che ha lasciate a noi le sue spoglie mortali per salir tra gli spiriti che ci vagolan intorno.

Ah! come il mio amico aveva saputo divenir un perfetto cittadino di Komokokis!

Anche il suo linguaggio ora risentiva della grave profondità di quello parlato tra i nostri fratelli.

Risposi:

— Verrò anch’io.... ma non subito.

Egli mi fissò alquanto, e una lieve ombra di rimprovero mi parve scorgere nel suo sguardo.

Ma non disse nulla.

— Verrò, non temere, – soggiunsi, quasi pur iscusarmi, mio malgrado, – ma.... prima debbo fare qualcosa.

— Come vuoi, – mormorò egli, – ma io ti leggo in cuore.... e forse ho indovinato.

— Che cosa? – Domandai, trasalendo, mio malgrado.

— Ora no, – rispose egli gravemente, – ora ho altri doveri da compiere, più tardi parleremo. Ora vado.

E stringendosi nel suo candido paludamento si avviò alto e severo verso il tempio.

Gli tenni dietro con lo sguardo.

Come si era trasformato il mio amico in que’ tre mesi, dacchè era entrato anima e corpo, veramente lui, a far parte della vita dei fratelli di Komokokis!

Io non lo riconosceva più.

La sua mente, già inclinata e disposta alle idee trascendentali, si era subito aperta alla particolar psiche di quelle strane creature, ed ora egli viveva veramente della loro vita.

Io no....

Qualcosa ch’io aveva portato con me, dal nostro mondo, si agitava misteriosamente in me e si ribellava.

Ah! io non sarei mai divenuto un sincero fratello di Komokokis!

La molteplice, agitata, fantastica e nervosa vita della nostra superficie terrestre che il bel sole illumina e riscalda, ferveva con troppa indomita febbre nelle mie vene e nel mio cuore, perch’io potessi adattarmi all’austera filosofia meditativa e solenne dell’esistenza di sogno che traevano gli esseri che mi circondavano, e de’ quali il solo caso mi aveva fatto compagno!

Erano cotesti i miei malinconici pensieri mentre cauto e guardingo mi avviavo....

Dove?

Un denso arbusto di kamsiki, che specchiava le sue frondi d’argento nelle acque di perla del lago, mi dette sussultando la cara risposta.

Mi accostai, mentre il cuore mi batteva.

Là sotto, seduta presso le acque luminose, che venivan quasi a sfiorarle i piedini di neve, Kamelia mi attendeva.

Si alzò appena mi vide e si avanzò verso di me.

Poi mi dette le sue piccole mani, – era io che le aveva insegnato questo atto gentile di sottomissione e di offerta – e mormorò:

— Ti ho aspettato.... tanto.

— Ho tardato, è vero.... ma è stato il mio amico. Andava al Tempio: non sapevo come fare per lasciarlo, senza dargli sospetti.

— Ah! il tuo amico, – mormorò ella. E mi parve scorgere come una recondita ombra di tristezza passare sulla sua candida fronte luminosa.

— Perchè sei così triste? – mormorai sollecito, portando la manina di lei sul mio cuore.

— Non so, ma quel tuo amico.... – mormorò.

— Ebbene?... – insistetti?

— Mi fa quasi paura, ecco, – finì ella con un sospiro.

— Evvia! – esclamai, – il mio buon Edoardo! tu non lo conosci!... e quando un giorno tu saprai....

— Qualcosa mi dice ch’egli è contrario a noi, al nostro amore, – sospirò ancora la vaga creatura.

— Perchè dici dunque cotesto? – mormorai. E, mio malgrado, l’atteggiamento e le parole di poc’anzi di Edoardo mi tornarono alla mente.

Kamelia non rispose.

Ella era una creatura fatta di anima e di luce.

E mi era apparsa come in sogno, mentre si bagnava con altre sue giovani compagne nelle radiose acque del lago.

Ed era la nipote del vecchio, dello stesso Sapiente che ci aveva accolti pel primo in Komokokis e che ci aveva condotti a Kalika.

Egli era il più intimo e fidato amico del vecchio Maestro: da lui aveva, in segreto, appreso tante cose misteriose e ignote agli altri fratelli. Da lui aveva saputo dell’altra vita che ferveva lontana sul suo capo; dal vecchio amico aveva alfine appreso a parlar la lingua, per loro bizzarra, che noi usiamo quassù. E il lettore ricorderà che nel nostro primo incontro ci aveva rivolto la parola oltre che in latino, lingua parlata laggiù da tutti i Maestri, anche in uno stentato francese....

Kamelia era orfana.

I due suoi genitori vagolavan già fra gli spiriti.

Ed essa era rimasta sotto le cure del vecchio nell’attesa di uno sposo che la rendesse degna del nome più venerato in Komokokis: quello di madre.

La bellissima creatura teneva fissi su di me gli occhi profondi, che una vaga nube di melanconia ora empiva di ombre.

— Che hai, mia adorata? – mormorai, accarezzandole la purissima fronte, – tu mi sembri triste....

— Kamelia sospirò.

— Sì, ho qualcosa qui dentro, che non so spiegare....

Una grande tenerezza mi scese nel cuore.

— Parla dunque, bambina mia, rivela al tuo piccolo amico i misteri del tuo cuoricino....

— Oh! – mormorò ella, – io ho paura....

— Paura?

— Sì, ho paura.... di te.

— Di me? – mormorai sorridendo.

— Sì, qualcuno.... che non so....mi ha parlato al cuore.... mentre riposava....

— E che ti ha detto?

— Non so, non riesco a comprendere bene.... qualcosa di vago che mi spaventa.... ho avuto come una intuizione che qualcosa di strano, di misterioso sia in te....

— Bambina! – mormorai trasalendo mio malgrado.

— Qualcosa di straniero è in te....

— Di straniero?

— Sì, dal vecchio padre che mi protegge, dai miei fratelli, da me....

Essa pareva del tutto smarrita.

— Ebbene, – mormorai, – non temere, io ti dirò tutto. Sento in questo momento una voce misteriosa che mi dice che tutto tu devi sapere, che è mio dovere che tu conosca.... Sì, lo sento, e lo farò, mia adorata, checchè ne pensi Edoardo, checchè ne dica il vecchio Kalika....

Mi avvidi che Kamelia mi ascoltava spaventata e tremante.

La sua bianchezza di dolce fine luminoso s’era fatta estrema.

Pareva un giglio di splendore abbagliante.

— Ma dunque.... ciò che il mio cuore diceva.... era vero! – mormorò tutta smarrita.

— Sì, è vero, ma non temere, – le mormorai, – ma credimi, abbi fiducia in me. Quanto ti dirò ti sorprenderà ma non ti darà spavento. Quanto ti dirò non è cosa cattiva, poichè tu e tutti voi quaggiù non conoscete il male; ciò che saprai è bello....

Kamelia ascoltava trasognata le misteriose parole che io andava mormorando. Poi come una luce celestiale di speranza illuminò tutto il suo volto.

E si reclinò sul mio petto, come i candidi fiori della notte si reclinano sullo stelo al primo apparire dell’alba

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