VIII.

Quando riapersi gli occhi scorsi distintamente una figura umana china sopra di me.

— Amico mio, sei sveglio? – mi gridò una nota voce, quella di Edoardo.

Mi rialzai a sedere sul fondo della barca.

Il mio primo pensiero fu per la diletta compagna.

— E Kamelia?

Edoardo me l’accennò.

— Vedila lì, al tuo fianco, ella dorme ancora....

Volsi su di lei lo sguardo.

Povera creatura!

Ella mi apparì bianca, disfatta: e così piccina, così esile e sottile, in fondo alla barca!

Sentii stringermi il cuore.

Ella parea dormire quieta.

Posai un bacio sulla sua pura e bianca fronte e la copersi bene col mio mantello.

Poi mi guardai intorno.

— Ma noi ci vediamo, – esclamai, percependo la cosa per la prima volta.

— Sicuro, ci vediamo! Ed esulta pure, amico mio! questa è la luce del sole!

— Come?

— Sì. Guarda.

Ed Edoardo mi accennò un punto lontano, di fronte a me.

Era come un vero faro, brillante di luce vivissima. che fe’ tremare le mie palpebre.

— Ove siamo dunque? – mormorai.

— Non lo vedi? in una lunga galleria che sbocca certamente sulla terra.

Difatti noi eravamo come in un lungo condotto, che andava a terminare con il foro luminoso che, evidentemente, esser dovea l’uscita della grotta.

Dalle pareti pendevano bizzarre stalattiti.

Una sottile penombra era intorno a noi, oscurità per gli altri uomini della terra, non per i nostri occhi che, avvezzi da tante ore alle tenebre più profonde, riuscivan in quel barlume a discernere chiaramente quanto ne circondava.

— Come siamo pervenuti quassù?

— Chissà!

— E il terribile salto nel buio?

— Mistero!... Da quanto ho potuto comprendere, – continuò Edoardo, – siamo stati slanciati nel vortice di una cateratta.... e, per uno strano fenomeno che bisogna quasi chiamare prodigio, la forza dell’acqua dopo averci sballottato come piume, ci ha gettato in questo condotto che, se Dio vuole, pare voglia essere l’ultimo....

— Purchè quel foro laggiù, – gridai io, – sia veramente per noi la porta della nostra terra!

— Tanto porterebbe a crederlo.

In quel momento un urto villano ed improvviso della barca che poco mancò non mandasse Edoardo a capofitto nell’acqua bruna su cui dolcemente scivolavamo, fe’ sfuggire al mio caro amico un’esclamazione molto espressiva e pittoresca ma non tale da permettermi di poterla riferire a’ miei lettori.

— Che è avvenuto?

— Una cosa semplicissima.... sebbene tutt’altro che opportuna. Guarda – esclamò Edoardo contrariato.

Era avvenuto questo.

La barca – continuo ancora a chiamarla così – che seguitava lenta e tranquilla il suo cammino sopra le brune acque del canale, ad un tratto aveva, forse per effetto di qualche corrente, fatto come uno scarto ed era andata ad incastrarsi fra due rocce, due veri scogli aguzzi sorgenti dalle acque.

Provammo a fare forza per liberarnela, ma sì! pareva murata da secoli.

— Cosa fare? – esclamammo.

— Smontiamo, – disse Edoardo, – forse il nostro viaggio fluviale ha termine qua.

— Credi che potremo continuare a piedi?

— Direi di sì. Vedi che le rive di questo fiume sotterraneo forman due belle sponde, cosparse di sabbia finissima? affretteremo in tal modo il nostro arrivo alla bocca della galleria.

— E Kamelia?

— Bisognerà risvegliarla.

Mi chinai su di lei.

Ella aperse gli occhi.

— Kamelia, – le dissi, – svegliati, amore; coraggio: siam quasi giunti.

— Siam giunti? dove? – mormorò fiocamente la fanciulla.

— Sì, quasi giunti.... ancora poco e saremo nel nostro paese.

E le mormorai ancora all’orecchio:

— Vedi laggiù quella luce? è il nostro sole!

— Ella sollevo la testa e guardò.

Rinchiuse tosto gli occhi, come ferita da quello splendore lontano.

— È il sole?... è il sole?... – mormorò.

— Sì, mia adorata, il nostro sole, – ripetei, – che d’ora innanzi dovrà far rifulgere la tua delicata bellezza.

Ella tentò riaprire gli occhi ma non vi riuscì.

Siccome mi parve tanto debole, la presi in braccio – pesava tanto poco! – e discesi sulla sabbia della riva ove Edoardo mi aveva già preceduto.

— Addio, vecchio fungo amico, che così egregiamente ci hai servito da barca! – esclamò Edoardo, – ti verremo a riprendere con più comodo per portarti nel museo che i tuoi buoni servizi ormai t’han meritato!

Tale fu il congedo dalla bizzarra barca che tanto bene ci avea servito per ritornare sulla madre superficie terrestre.

E cominciammo il cammino sulla soffice, finissima arena che condur ci dovea alla luce del sole.

*

Andavamo di buon passo.

Un novello vigore raddoppiava le nostre forze.

Davanti ai nostri sguardi il foro luminoso aumentava sempre di diametro e la luce intorno a noi si faceva sempre più viva.

Kamelia, sempre nelle mie braccia, avea reclinata la testa sulla mia spalla e pareva nuovamente dormire.

Ad un tratto Edoardo si fermò.

L’apertura della grotta era a poche centinaia di metri da noi.

— Non distingui nulla, tu – esclamò egli.

— Ma.... non saprei.

— Il mare!

— Come?

— Sì, il mare! Comprendi? la grotta sbocca in pieno mare!

— Diamine!

— Oh, non importa! purchè si esca una buona volta alla superficie della terra!

Riprendemmo più celeri il cammino.

Non passò molto che fummo all’imboccatura della grotta.

Ah, la prima, inenarrabile impressione del fresco, soavissimo soffio marino, imbevuto di salino e dell’odore ineffabile dell’onda!

Davanti a noi l’azzurro immenso si stendeva terso, senza una macchia.

In alto il sole splendeva: all’orizzonte alcune nuvolette color di rosa, frangiate d’oro, coronavano la scena magnifica di colore e di luce.

Il mare! il sole! l’azzurro del cielo!...

Dopo tanto tempo che n’eravamo stati privi!...

Restammo alcuni minuti estatici, aspirando a pieni polmoni la nostra aria, ebbri, sentendo il sangue circolare veemente nelle vene e una pazza gioia invadere i nostri cuori.

Doveano essere le prime ore del mattino.

Dove eravamo noi dunque sbucati?

Che mare era quello così limpido e azzurro, che si stendeva sereno dinanzi a noi?

Dai fianchi di quale terra noi uscivamo?

Qual felice paese illuminava quel sole e irradiava quel cielo tanto sereno?

Queste domande si affollavano confuse e rapide come un baleno alla nostra mente.

Poi il mio pensiero corse a Kamelia, alla mia sposa, che immota mi posava sempre sul petto.

Volli svegliarla per mostrarle finalmente il nostro sole, il doppio azzurro del cielo e del mare che ci sfolgorava dinanzi....

La distesi sulla sabbia finissima, che il sole cominciava a baciare, e le scopersi il volto.

Com’era pallida!

Mi sentii agghiacciare il cuore.

— Kamelia! – le gridai sul volto, – Kamelia, sposa mia, diletta mia! svegliati, guarda....

Ma Kamelia non rispondeva.

Ella pareva insensibile alla mia voce....

Le toccai la fronte.

Era gelida.

Detti un grido.

— Edoardo! – gridai, – Edoardo! Vieni subito.

Egli accorse.

— Guardala, – singhiozzai, – mi fa paura.

Egli si chinò sulla bianca creatura abbandonata sulla sabbia lucente.

Vidi la sua fronte corrugarsi.

— Tu sei medico, – gridai ancora, – salvala, salvala tu!

Egli si alzò, andò a prendere, facendo conca con le mani, dell’acqua marina e la spruzzò sul volto della mia adorata.

Io seguiva tutti i suoi movimenti col cuore palpitante.

Chini sul niveo volto di Kamelia noi attendevamo....

Ella parve scuotersi, agitarsi lievemente.

Poi aprì gli occhi, li fissò per un attimo nell’azzurro che sopra noi sfolgorava, nel sole.... e li rinchiuse con vivo moto di dolore.

Tentò di agitare le labbra, invano; le sue dita si contrassero lievemente....

Posai la mano sul suo cuore.

Esso non batteva più.

Gettai un grido. Come un’ombra formidabile passò davanti alla mia mente e m’offuscò la vista. Temeva di comprendere. La terribile predizione del vecchio Kalika risuonò come una lugubre minaccia alla mia coscienza. Il dubbio atroce mi tolse per qualche istante la facoltà del raziocinio.

Strinsi forsennato la mia testa fra le mani, mentre un gelo doloroso mi stringeva il cuore.

*

Quando riapersi gli occhi alla luce e al dolore una grande barca dalle alte e candidissime vele spiegate, come ali smisurate di un fantastico uccello, era ferma davanti a noi.

Alcuni uomini, pescatori senza dubbio, erano intorno alla povera bianca creatura senza vita, sempre distesa sulla sabbia, che il sole ora tutto baciava....

Come mi parve si accingessero a sollevarla per recarla nella barca, feci un balzo e mi lanciai verso lei.

— Lasciate – gridai, – io, io solo devo....

Presi la diletta creatura – come esile! come picciola! come diafana, ormai! – fra le braccia e la posai sul fondo della barca, sopra un verde letto di alighe che una mano pietosa aveva preparato per lei.

E me le posi in ginocchio accanto.

Le bianche vele furono spiegate, la barca cominciò a dondolarsi nell’azzurro....

Il sole venne di nuovo a baciare il volto di neve della piccola morta.

E più io teneva lo sguardo affiso in lei, più ella sembrava farsi piccina, esile, vana nella trionfante luce del sole....

Allora Edoardo, che guardava impietrito, mormorò al mio orecchio:

— La vedi dunque, povero amico?... Ella si dissolve nella luce!... Il vecchio Kalika l’avea detto! Il sole l’ha uccisa, povero fiore degli abissi che la nostra Vita dovea disciogliere e far isvanire!

FINE

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