III.

E Andrea era ritornato al balcone a riposar l'occhio sopra il Cantiere sbuffante e fremente nella sua febbrile ora di lavoro. E così rimase un bel pezzo, pensando. Si voltò ad un tratto. Gli era parso sentir del rumore nell'interno dello studio.

– Ah sei tu, Agostini, – disse.

Il vecchio segretario era entrato senza far rumore e silenziosamente si era seduto al consueto suo tavolino. Il lavoro era molto davvero, dopo la terribile burrasca che aveva minacciata la vita laboriosa del Cantiere; la posta ad ogni nuovo arrivo del fattorino si accumulava sopra il tavolo; non c'era davvero tempo da perdere....

Andrea si staccò dal balcone e venne a fermarsi, ritto in piedi, davanti a lui.

– L'ho riveduta, Agostini!... e n'eran passati degli anni!...

– Ah sì, padrone.... è vero.

Andrea crollò il capo.

– E quante cose, mio vecchio Agostini, quante cose ha rinnovato qua dentro, – e si picchiò la testa, – quella donna.... barlume lontano della mia vita passata!...

Si fermò alquanto, chiuse gli occhi, quasi quel passato lo rivedesse vivo e palpitante davvero, davanti a lui, come una visione.... E proseguì:

– La rivedo lucidamente, e come! tutta questa mia vita.... Tu la conosci, tu ne sai qualcosa, non è vero?

– Oh sì!

– Vita ruvida di lavoro.... e potente di energie, di brame e di volontà! lo posso ben dire.

– Oh! io, e con me tutti quelli che la conoscono questa vostra vita non possono che ammirarvi!...

– Chissà, chissà.... tu la conosci in parte la mia vita, Agostini, ma non tutta! Lascia che ti dica anche quella.... quella che non sai. Voglio che tu conosca anche questa, ah sì, lo voglio! Tu sai che non ho parenti io, che sono solo – ho.... quel figlio, è vero, ma.... – La mia famiglia, la vera, i miei parenti siete voi che mi circondate.... voi che siete invecchiati con me.... qua nel lavoro.... tra il fumo di queste mie macchine.... voi compagni miei di lavoro – e operai, come me.... Oh! io vi ho veduto in questi giorni, voi vecchi compagni miei, quando gli altri – i nuovi – i giovani, quelli che non mi conoscono, quelli che io pago e che mi odiano, perchè qualcuno ha loro insegnato a non vedere in me che il padrone.... e certi giornali hanno loro insegnato che questo padrone, qualunque esso sia, va odiato.... e bestemmiato! – vi ho veduto in questi giorni quando cotesti altri hanno urlato, si sono sollevati, hanno fatto lo sciopero contro di me.... vi ho veduto, amici, uniti con me, compatti, a difendermi, a farmi riparo con i vostri vecchi petti abbrunati dal fumo delle mie macchine!... Ecco perchè dico che siete voi la mia unica e vera famiglia!

– Come siete buono, padrone.

– Oh no! sono giusto. Del resto dopo la morte della mia compagna e del mio piccolo Manlio – che dorme lassù, sulla collina, da diciassette anni al sole – dopo la morte di queste due mie creature.... basta; ascoltami, Agostini, ti voglio dir tutto; ti voglio far sapere l'unica cosa.... brutta, triste, indegna – che ancora tu non sai della mia vita.

– Ma perchè, padrone, volete ora....

– Taci, lasciami parlare. Mi fa bene parlare, sfogarmi un poco, sai? È come una di quelle grosse macchine a vapore là sotto, sai?... mi sento caricato a troppo grave pressione.... ho bisogno di dar fuori vapore! Cosa fa adunque il macchinista alla macchina, là sotto? apre la valvola e giù!... un buon getto di vapore!... Lasciami aprire un poco anche a me le valvole, via!... e ascoltami.

– Come vi piace, padrone.

– Tu saprai che mio padre, uomo ricco ma sciupone, morendo mi aveva lasciato qualcosa.... e che io mi affrettai – avevo diciotto anni appena! – a ingolfarmi in una vita pazza, falsa, non adatta alla mia indole e alla mia tempra ruvida....

– Ma buona.

– Violenta....

– Ma sana.

– Ah, questo sì, ne convengo! Dato dunque fondo in pochi anni a quanto mi aveva lasciato mio padre....

– E in questo, scusate, foste abbondantemente aiutato da un certo tutore a cui vostro padre ebbe il torto di affidarvi....

– Ah sì, anche questo è vero... Dato fondo, dunque, a quanto avevo avuto da mio padre, mi trovai molto a mal partito.... Figurati: sciupato da una vita inutile, ignorante, stanco dai facili vizi, solo.... Insomma di errore in errore, caddi molto in basso.... Ne feci una molto grossa.

– Che mai faceste, padrone?

– Oh! – sorrise amaramente Andrea, – una cosa che qualchedun altro.... tu sai di chi voglia parlare... ha voluto ripetere!.... ho rubato.

– Voi, padrone, è possibile?

– Oh sì, io, Agostini: ho rubato, ti ripeto. Non solo, ma con l'aggiunta di un piccolo falso.... Poca cosa, sai? non si arrivava a mille lire!

– E foste.... scoperto?

– Oh certo. E ne pagai la pena....

– Voi....

– Sì, Agostini, fui in carcere....

Il vecchio segretario guardò il suo padrone sbigottito.

– Voi, voi padrone! ma non scherzate voi dunque?

– Oh no, caro Agostini, – sorrise ancora amaramente Andrea, – così com'io ti dico: stetti in carcere, otto mesi ! Si ebbe riguardo alla mia giovanissima età, al mio squilibrio, a tante cose....

– E.... poi?

– Oh, quando uscii ero un altro. Ah sì! un altro. Là dentro avevo.... meditato. Quando uscii presi posto subito, tre giorni dopo, sopra un certo piroscafo che mi portò via, sul mare, lontano.... in America. Non avevo un soldo, più nulla: ma una grande voglia di rifarmi, in qualche modo. Ah! quei miei quindici anni d'America!... Quante cose m'hanno insegnato. Alcuni anni fa, come tu sai, fui a New-York.... e passando per una certa strada – con le mie tasche piene di dollari, ora! – mi fermai e considerai il macadam, sotto i miei piedi. "V'ho lavorato anch'io, a questo selciato!" ho potuto esclamare. E non ne sono stato avvilito nè tampoco malcontento, sai? Anzi! Ho provato una gioia misteriosa, strana, profonda! Poichè, io, da povero acconcia-strade, ho potuto e onestamente – e con la stessa franchezza con la quale ti ho rivelato la mia colpa, posso ora dirlo forte e tu puoi credermi – ho potuto divenire, con i miei capitali, il padrone di questo Cantiere che dà pane a tante centinaia di operai, che dà la vita a questa regione, che tanto bene – posso dirlo forte – fa all'industria del mio paese.

– Potete dirlo forte veramente, padrone, – esclamò il vecchio Agostini.

– Eppure, vedi, il male, la colpa, non si distrugge più, mai, mai!... Ancora l'altro giorno, ancora ieri, ho sentito chi mi ha ricordato che quel mio delitto non è cancellato, non è stato dimenticato dagli uomini.... ch'esiste sempre eterno e incancellabile.... E da chi? da un mio vecchio compagno di quei giorni, da un operaio come me, che tutto sa della mia vita, che ha veduto con i suoi occhi quello che io, dopo, ho fatto e.... faccio tuttora; che dovrebbe comprendere che pur ho cercato di distruggere, o almeno lavare, con la mia operosità, col mio lavoro, quell'attimo colpevole, folle e lontano d'un ragazzo inconsapevole ancora! Ebbene, no, quel mio vecchio compagno di lavoro ha voluto ricordarmi, ancora ieri, ch'egli è il testimonio, la prova vivente, direi, di quel mio momento lontano di errore!

– Non ve ne curate, padrone.

– Ah, come fare?... anch'io me lo son detto.

– Tutti vi amiamo.

– Lo so! e, te lo ripeto, anch'io vi amo.

– Lo sappiamo tutti, padrone.

Andrea riprese a passeggiare lungo lo studio.

– E Maurizio!.... – riprese.

– Ah! padrone, una grande spina per voi, quel giovane.

– Ah sì, severamente.... Ma sai com'è andata? Una passione passeggera, ben passeggera, quella donna, tu puoi capire. Una brava ragazza, anche. Ma una mia operaia.... Io era violento, quello che volevo.... tu sai, chè mi hai conosciuto, allora. Ed ero il padrone, io!... Quando seppi che sarebbe diventata madre, feci in modo di appoggiarla a quel buon Savello, un mio impiegato, un buon uomo.... oh, se buono! Il bambino, quando nacque, io non lo vidi neppure. E per sette anni, sette anni, capisci? mai ne seppi nulla. Aveva il mio, il mio piccolo Manlio, un angioletto, n'ero pazzo, tu lo sai. Ma Iddio pensò a togliermelo.... Tu sai come ne rimanessi! Un giorno – ero qua nello studio solo – venne il buon Savello a pregarmi di ascoltarlo. Aveva con sè il piccolo Maurizio. Aveva sette anni, due anni più di Manlio, il quale da dieci mesi riposava lassù, sulla collina.... Savello mi chiedeva un sussidio. Aveva avuto grandi spese, in famiglia: il piccolo Maurizio era stato malato gravemente. Era stato per morire! Lo guardai! Era appena convalescente. Il ragazzo era pallido, smunto, sofferente ancora. – Ma questo ragazzo soffre! – gridai sentendo in me qualcosa d'indefinibile e di profondo ridestarsi. E per la prima volta guardai intensamente e riconobbi mio figlio!

Andrea si fermò un istante.

– Il povero Savello, – riprese, – aveva le lagrime agli occhi. "Oh, padrone!" esclamò, "il medico ha ordinato una cura ricostituente.... Ma come fare! come fare, mio Dio!" Sentii un morso al cuore. L'altro, il morticino dormiva, tra la seta, nel suo feretro di noce, nella sua piccola tomba di marmo candido al sole sulla collina piena di verde.... e lui, il fratello! "State allegro, – dissi al Savello, – al ragazzo penserò io.... e anche a voi." Da quel momento Maurizio fu.... mio figlio. Tu sai ciò che io ho fatto per lui. Al Savello ho migliorato la condizione.... gli ho fatta una posizione calma e tranquilla: è quasi agiato lui, ora! E mi è grato, poveretto, mi ama, mi chiama suo benefattore. E non sa nulla, non ha mai sospettato di nulla!... Lui non ha immaginato lo scopo secreto della mia protezione. Lui non ha mai sospettato che io voleva fare l'agiatezza intorno a mio figlio.... E Maurizio, allevato col mio denaro, istruito da me.... Maurizio, tu lo vedi ciò che è divenuto.

– Oh, padrone, padrone!... – sospirò il vecchio Agostini.

E Andrea gettandosi sulla sua poltrona, davanti al suo tavolo di lavoro, ove tante ore laboriose aveva trascorso, tante battaglie vinte e tante conquiste compiute, ripetè il suo lamento scorato:

– Sono stanco, Agostini, sono stanco!

Share on Twitter Share on Facebook