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Silvio, con il suo gregge, si era fermato in mezzo alla prateria ad aspettarlo.

Pietro lo scorse – forte macchia nera sugli ultimi bagliori dell'orizzonte – fermo in mezzo alle sue pecore, che lo attendeva, appoggiato al bastone.

Era un forte ragazzone bruno, poderoso e mite, dal dorso erculeo e dal volto di fanciullo. I suoi occhi chiari avevano la profonda placidezza dei prati tranquilli pieni di erba verde, che il vento fa ondeggiar lievemente come steli di seta; le sue braccia brune, quasi nere dai polsi in giù, eran bianche in alto e muscolose come i tronchi d'albero ch'esse recavan alla Capanna dal bosco, nelle serate d'inverno, quando il vento spazza la prateria e le pecore dormono ben rincantucciate nella paglia dell'ovile e sul focolare scoppiettano i ceppi ardenti e fumosi.

Da tutta la figura il giovane pastore spirava la placidezza e la forza. Era lui, certamente, il vero figlio del prato e, come questo, tranquillo e fiducioso nelle ineluttabili vicende della Natura, che mai avrebbe fatto mancare erba e linfe al prato, nè latte e lana al pastore.

Pietro si pose al suo fianco: le due greggi si unirono e, in silenzio, i due pastori ripresero il cammino.

Ad un tratto passò sulla prateria, tutta oramai nell'ombra, il lontano scampanìo dell'Angelus. Veniva da una delle lontane chiesette, perdute nella bruma del tramonto, sui monti dell'orizzonte.

Silvio si fermò e si tolse il cappello. Chinò la testa e si fece il segno della fede. Poi si inginocchiò. La preghiera della sera passava sopra la sua testa, portata dalla brezza leggera con l'odore dei boschi, con quel suono lontano e velato delle campane perdute nell'ombra.... E le sue labbra si muovevano nella pia orazione.

Tutto il gregge s'era anche arrestato, e molte pecore, immote, tenevano il muso a terra, quasi orassero come il loro pastore.

Pietro guardava in silenzio il giovane.

Poichè egli non sapeva pregare.

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