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Ripresero in silenzio il cammino. Gli ultimi bagliori dell'orizzonte erano svaniti, la notte era calata sulla prateria. Essa ora si perdeva, nera ed uguale, all'orizzonte. In alto il cielo era vivido di stelle. Le pecore tacite proseguivano perdute nell'ombra, nascoste fra le alte erbe che lucevan qua e là per subiti bagliori vivi: le lucciole. Le piccole fiaccole animate passavano or alte, or basse, pulsando luce, portate come da un soffio invisibile: qualcuna s'intricava tra i riccioli vellosi del dorso d'una pecora e rimaneva sovr'essa illuminandone a palpiti le candide lane.

Il prato seguitava ad effondere vieppiù acuto il suo alito fragrante: i mentastri, i serpolli, le salvie selvatiche, le nepinelle aromatiche, dormenti nell'ombra, donavan alla brezza della sera i loro aliti olezzanti.

E una sottile musica cominciò da' mille cantucci del prato, da' mille segreti rifugi fra gli steli dormenti delle erbe, fra le zolle perdute nelle ombre della notte. Mille piccole voci misteriose cominciarono a risvegliarsi qua e là, dapprima timide e incerte, poi vieppiù forti e ardite. Erano i grilli. I grilli del prato che ne cantavan la grande canzone.

La grande canzone del prato che cantavano i grilli: la grande innocenza dei campi, la vita pura delle erbe, gli amori semplici e intensi dei fiori e degli insetti, e la grande gioia di vita che tutta la terra fa fremere e agita.

I grilli cantavano nella notte e Pietro ascoltava la loro canzone.

Uno di essi egli ascoltò in particolar modo: uno che cantava più distinto e vicino. Forse un vecchio poeta o filosofo di grillo, che teneva sua cattedra in qualche cespuglio fiorito e che voleva cantar le lodi del sole di cui tutto il bel giorno s'era pasciuto.

Però qualche cosa aggiunse, il vecchio grillo, quella sera, nel suo canto, per Pietro: qualche cosa di nuovo e strano che colui si fermò ad ascoltare intento.... Poi, pensoso, riprese il suo cammino a fianco di Silvio.

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