II.

Disteso sull'erba, che gli copriva il volto, Pietro guardava davanti a sè le pecore che pascolavano. Il sole, che gli accarezzava il dorso, gli penetrava nel sangue con il suo tepore vivo; mentre l'erba, che gli premeva contro il petto, gli mandava su per la pelle tutta la freschezza delle sue linfe umide.

Ed egli si obliava così, guardando vivere l'erba, sotto il suo volto. Era tutto un piccolo mondo, là sotto. Una breve selva di steli eretti, di verdi colonne, lisce, rilucenti, a nodi, bitorzolute si ergeva davanti al suo volto.

Ogni tanto, una farfalla bianca – enorme – passava davanti a lui, fra quel colonnato verde, e metteva un fremito di terrore in tutto quel piccolo mondo.

E quel piccolo mondo che fremeva, si agitava, viveva così intensamente, teneva occupata per ore intere la mente di Pietro.

Giacchè egli si trovava come colui che ha ricevuto un colpo formidabile sulla nuca, che lo ha annichilito: dopo l'atroce dolore del primo istante, segue lo sbalordimento profondo che ha del sogno, che fa sembrare molto lontana la vita d'un giorno, la coscienza de' sentimenti di prima.

Dopo la dolorosa confusione seguìta al dramma che aveva spezzata per sempre la sua vita d'un giorno, egli si era come risvegliato da un sogno cupo e triste. Non era ancora bene uscito, del tutto, dal triste sogno penoso: aveva la vaga sensazione di essere come ritornato indietro nella sua vita, di essere ritornato nell'infanzia, ad una lontana e passata semplicità d'idee e di azioni, che nel grandissimo abbattimento ch'era in tutto il suo essere aveva pure il suo lato di riposato, di tranquillo, di sereno quasi.

Così il malato che ha veduta vicina la morte ritorna, nella convalescenza malinconica, alla sua vita passata e quasi ritorna fanciullo nella grande debolezza del corpo affranto e della mente smarrita.

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