III.

Una valanga: un'orrenda valanga di fuoco, di fiamme, di fumo asfissiante, di polvere turbinosa, di frastuono e di morte, pazzamente lanciata alla distruzione. Il sole dardeggiava quella spaventosa massa trascorrente come una visione di follìa: cavalli sfrenati alla corsa, pioventi sangue dai miserabili fianchi lacerati, uomini trasfigurati dal furore o dalla paura, bronzi rotolanti con fragore d'inferno, che si piegavano, si squassavano, si sfasciavano a scheggie sotto i nembi di fuoco incessante che fulminava come dal cielo. E sul terreno, fatto spaventoso imbratto di sangue e di fango nerastro, si addensava vieppiù un orribile strato di carne lacerata e frantumata: i cadaveri dilaniati degli uomini e dei cavalli fondevano il loro sangue, le loro miserabili viscere fumanti, le membra palpitanti nell'ultima loro orrida agonia. E la valanga continuava sempre più pazza, sempre più disordinata. Passavano forsennate le schiere soldatesche contratte, ansimanti, sformate, sopra i cui volti arsi il terrore della morte e lo spasimo della distruzione si fondeva con una smorfia spaventevole. Passarono ancora cavalli e cannoni e soldati e poi ancora, ancora, e sempre, soldati, cavalli e cannoni. Un mortifero velario di fumo acre e nero e di polvere copriva ormai tutta quella rovina di esseri, e pur la corsa alla morte continuava, ostinata, invincibile.

Ad un tratto il cielo si velò, i raggi del sole scomparvero: grandi e cupe nubi copersero il campo spaventoso. E la bufera del cielo si unì a quella della terra. Una pioggia dirotta si rovesciò sulla massa di forsennati e di morti: il fuoco del cielo, più rapido, più fragoroso e più sinistro parve voler rivaleggiare con quello miserabile e micidiale degli uomini.

E tutto scomparve in un terribile caos di acqua scrosciante, di fuoco e di tenebre.

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