VI.

Fui risvegliato nel cuor della notte da un urlo altissimo.

Partiva dalla cabina vicina alla mia. Mi parve riconoscere la voce di mademoiselle Aline: mi parve, poichè la voce era stata offuscata e assorbita da ben altro formidabile fragore.

L'uragano si scatenava intorno al Delphin.

Mi alzai a sedere sulla mia cuccetta e porsi l'orecchio.

Uscivo da un sogno affannoso, da un incubo: il frastuono della tempesta aveva nel sonno preso parte al mio sogno pauroso. Sentivo la mente stanca e confusa: gli occhi mi dolevano, un cerchio di ferro mi stringeva le tempie.

Ad un balzo improvviso della mia cuccetta io apersi gli occhi e ritornai completamente alla realtà della vita.

Tutto fremeva, urlava, rombava intorno a me.

Sentivo l'ossatura gigantesca del piroscafo gemere sordamente, con degli schianti improvvisi e formidabili che rintronavano come colpi di folgore.

Lo schiaffo potente del mare batteva continuamente e incalzante contro i fianchi del naviglio e io vedea, – o sognava di vedere; – l'onda nera e rabbiosa del mare turbinare minacciosa contro il grosso vetro del finestrino rotondo della cabina.

Con grande fatica riuscii a vestirmi e a infilare il corridoio che conduceva nel salone.

Il salone era pieno: la solita scena di desolazione e terrore tante volte descritta, tante volte rinnovatasi, resa più terribile in quel momento dall'ora tetra e notturna.

Il capitano comparve un momento esortando alla calma e a fidare in lui.

L'uragano era fortissimo; gli era stato segnalato a Barcellona; sapeva quindi che lo avrebbe incontrato, era perciò preparato; aveva tutto disposto; stessero quieti, stessero tranquilli, fidassero in lui.

Lì, nel salone, attendemmo il mattino.

Il mattino ci rivelò gli uni agli altri pallidi, sbattuti, affranti.

Così passammo tutto il giorno.

La furia dell'uragano aumentava sempre.

Il capitano non si muoveva più dal suo posto di governo.

Sul far della sera l'uragano parve calmarsi alquanto, per ripigliare più formidabile nella notte.

Un giovane ufficiale di bordo, sottovoce, non mi nascose la sua inquietudine.

– Il barometro è disceso a 706, – mi disse– egli.

Così passarono due giorni ch'io rievoco ora penosamente con la dolorosa fissità d'un sogno agitato e confuso di malato e di febbricitante.

Nella mia mente è un confuso ricordo di urla, di gemiti, di frastuoni assordanti, di colpi e di schianti improvvisi, un senso di sfinitezza mortale, un abbandono di tutte le forze e delle facoltà vitali....

Mi ricordo che a un certo punto furono aperte le porte che conducevano sopra coperta, che un getto d'acqua e di spruzzi si rovesciò giù per le scalette, che il salone fu a mezzo inondato.

Sempre come durante un incubo mi trovai presso una di queste uscite con miss Ethel che si stringeva alla piccola Doroty, mentre mister Charnwood cercava di ripararle tutte e due dagli scrosci d'acqua che piovevano da tutte le parti.

Fummo sul ponte.

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