II.

– Concludendo, dunque, – disse don Pietro puntando ambo le mani sugli spigoli dello scrittoio, – tutto è perduto: fuor che l'onore....

– E Rosa Santa, – aggiunse il signor segretario Mondolfi.

E il vecchio segretario alzando l'onesta faccia che avea veduto piccino l'ultimo discendente dei Rosa Santa, alzò la palma della mano con un suo gesto abituale, allor che dovea chinar la grigia testa alla inesorabilità del fato e delle carte bollate, sue malagevoli compagne d'ogni giorno da parecchi anni, purtroppo.

E nell'elegante piccolo studio del conte regnò per un momento il silenzio. Il signore seduto davanti allo scrittoio di mogano pareva pensoso. La sua piccola mano (l'avean tutti così, i Rosa Santa), correva sovra pensiero, a tormentare una magnifica rosa allor colta ed esalante gli ultimi suoi aliti di olezzo in una preziosa caraffa di nitido cristallo di Boemia.

Il segretario andava sfogliando l'enorme fascio di carte che avea spiegato sul tavolino portatile, accostato alla scrivania e divenuto pel momento sua cattedra. Notava qua e là, prendeva appunti, segnava sur un foglietto a parte e sommava con il vetusto e consapevole suo lapis.

Il conte si alzò, andò al balcone e l'aperse al sole. La luce entrò: si fe' padrona, d'un balzo, d'ogni angolo dello studio. Andò a far scintillare la neve e l'azzurro di un magnifico e raro Luca della Robbia, che sfolgorò proprio sopra la testa del segretario. Questi, che avea finito il suo cómpito, si alzò e presentò il foglietto al signor conte.

– Un milione e quattrocontocinquanta mila lire.

Il giovane conte guardava la villa nitida e florida, sotto la poderosa lavatura di poche ore innanzi.

Saliva, intenso, l'alito del parco fresco e dissetato....

– Bene, – mormorò semplicemente, e guardò, fisso, in un punto davanti a sè, nella verde massa cupa e sussurrante, nella brezza del mattino.

– Tutto pagato.... fino all'ultimo centesimo, – aggiunse ancora il segretario.

Il conte pareva tutto preso dalla visione cui era intento.

– Osservate, Mondolfi, – disse, chiamandolo al balcone, – non vi sembra che il Rosaio....

Il buon segretario guardò di sfuggita il conte. Alt! egli non tralignava. Don Pietro era un vero Rosa Santa!

– Perdono, eccellenza, non distinguo bene.... – mormorò egli aguzzando la povera vista consunta da tre anni di studi e di rappezzature sulle imbrogliatissime carte bollate della disastrosa successione paterna.

Il conte si mosse, andò ad uno stipo e ne trasse un piccolo binocolo nero, cerchiellato d'oro.

– Prendete, Mondolfi, e guardatelo bene.

Il segretario fissò la lente e guardò.

Il Rosaio – l'emblema vivente e fiorito dei Santa Rosa – appariva ora nitidamente sotto le lenti, allo sguardo stanco del buon Mondolfi.

Il conte, ritto accanto a lui, aspettava tacendo.

– Sì, – mormorò il segretario, – mi sembra molto prosperoso, veramente.

– Oh, – disse il conte sorridendo e battendo una mano sulla spalla del segretario, – il Rosaio non muore, mio vecchio Mondolfi, e i conti di Rosa Santa possono ancora lasciare scintillare tranquillamente il loro vecchio tralcio lassù, al sole della torretta, anche dopo il vostro milione e mezzo di debiti.... pagati. Non vi sembra, caro Mondolfi?...

Il vecchio segretario si asciugò la lacrima ribelle che – per quanto avesse fatto per cercar di trattenerla – gli era scappata giù per la gota.

– Oh sì, signor conte, sicuro.... certamente, – mormorò confuso e in collera con sè stesso per la lacrima insolente.

Il conte strinse la mano al suo vecchio devoto servitore.

– L'avete dunque bevuta tutta, non è vero, Mondolfi? – diss'egli, ridendo e accennando il cielo ora terso e limpidissimo.

– Tutta, eccellenza, tutta, – mormorò il segretario sorridendo sotto le ciglia, suo malgrado, umide. E aggiunse: – Ma Astor ha la gamba buona ancora, povero vecchione!... forse migliore, eccellenza, del vostro vecchio segretario che comincia, purtroppo, a sentir sonno.

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