IX.

Davanti, in alto, erano le ultime balze dirupate del monte brullo, livide, senza un filo d'erba.

Donna Laura si arrestò un momento, ansante.

Dietro lei, sotto, era la valle, aperta, immensa, sconfinata: Rosa Santa appariva come una piccola macchia nera. Un fiocchettino di neve donna Laura distinse bene, nitidamente: la cappella di Cecilia.

La comitiva appariva qua e là, sulle balze dirupate, in cerca, per un momento, di quiete e di ombra.

Si sentiva la voce affannosa del consigliere Seghezzi, il duce della gita, per il quale quel brutto monte aveva tra le altre il torto di non aver neppure strade "umane". – Contessa, contessa, la corre troppo! – badava ancora a gridare il povero consigliere a donna Laura, che svelta come una fanciulla s'inerpicava su pe' scoscesi viottoli. Il conte la seguiva, guardando il monte brullo e arido, davanti a lui, e abbassando ogni tratto lo sguardo pensoso giù, sopra Rosa Santa, così vana e sperduta, nella grande valle trionfante nel sole.

Ecco ad uno svolto della viottola, che saliva arida e selvaggia, scavandosi il passo nel macigno bruno, dove non più un arbusto nè un musco cacciava radice, apparve la svelta torretta della palazzina che sovrastava alla miniera.

Il dottor Laurenti ch'era alle vedette apparì subito: e si vide innanzi donna Laura come la Lauretta d'un giorno, ansante, dopo una delle sue scappate, rosea, una luce negli occhi, luminosa nel sole, odorante per un gran mazzo di mente selvatiche che i suoi cavalieri le avean colto per via.

– Domando pietà, domando pietà io! – gemette il povero Seghezzi, buttandosi a sedere sopra un grosso masso di minerale, all'ingresso della caverna verdastra ove si sprofondava la miniera.

– Via, consigliere, sia ragionevole! Ella mi scandalizza le dame con le sue debolezze da damigella! – gli gridò il dottor Laurenti per farlo tacere, mentre badava a donna Laura e a due altre signore del paese che aveano con la contessa tentato l'impresa del monte.

– Voi volete che ammiriamo voi, o uomo poderoso, che scalate due volte al giorno questo dirupo! – si contentò di ribattere il povero consigliere, asciugandosi il sudore.

Intanto il dottor Laurenti era occupato a presentare l'ingegnere Corradi ai gitanti.

Era un giovane bruno, alto, dalla nera barba ricciuta, dallo sguardo profondo e dalla fronte pensosa.

Egli aprì le porte del suo studio alle signore.

Laura si fece alla finestra.

La breve cameretta, nella torretta che sovrastava la palazzina ov'erano gli uffici, sull'alto del monte, all'imbocco della miniera, pareva librata nell'azzurro.

Sotto di essa il monte sprofondava di balza in balza, di gola in gola: in fondo la valle folgorava sotto il cielo azzurro, pieno di sole.

Donna Laura ristette un momento, rapita e pensosa, poi si voltò.

In un momento le carte, i piani, gli assaggi minerali, le fiale ed i regoli che ingombravan le due lunghe tavole di legno bianco ch'eran nel mezzo dello studio, eran stati sopraffatti da l'invasione variopinta dei cappelli di paglia, dagli ombrellini e dalle sciarpe delle signore.

Donna Laura chiamò a sè Febo, poi si avvicinò al dottor Laurenti.

Era allegra: una vampa rosea le colorava il volto. Ella narrava al suo vecchio amico gli episodi dell'ascensione. Che splendore di sole quel mattino! Peccato che il signor consigliere Seghezzi fosse stato così insopportabile!...

Soltanto, siccome le signore si erano riposate, il conte che sino a quel momento era stato a discorrere coll'ingegnere invitò la comitiva alla doverosa visita alla miniera.

La faccenda era piuttosto complicata. Ma qui fu chiamato mastro Andrea, il capo degli operai, ed a lui furono affidate solennemente le signore.

Il consigliere Seghezzi non voleva saperne di cacciarsi in quell'antro di verderame.

Ma quando si vide solo, che le signore erano già sparite nell'antro, mutò idea e vi sprofondò anche lui.

Il conte veniva dietro, un poco pensoso. Egli guardava la figuretta svelta della contessa proiettarsi davanti alla luce fumosa della fiaccola di resina, che recava un operaio.

Mentre Andrea, poderosa figura di minatore, sui quarant'anni, precedeva le signore, dava loro la mano nei punti difficili, talvolta le sorreggeva come una piuma, sopra il sottile rigagnolo bluastro che correva in mezzo al lungo budello contorto della galleria.

Le signore guardavano ammirate.

Un'acqua verdastra colava dalle muraglie livide, dai riflessi metallici che scintillavano alla luce della torcia.

Qua e là, nel buio, s'intravvedevano ombre umane misteriose che sostavano un istante a guardare quella piccola brigata chiassosa e spaurita, ove le gonne chiare e i cappellini delle signore mettevano una strana stonatura di vita cittadina.

– Io non respiro più, – mormorò il consigliere con voce lamentevole.

Tutti gli dettero sulla voce, schiamazzando.

– Siamo nei regni del Verne! – gridò uno della comitiva.

– E voi ne siete il re, – mormorò il conte; rivolto all'ingegnere Corradi, alto e sicuro lungo la scivolante e buia strada della sua miniera.

In quel punto si udì un grido straziante.

Era il povero consigliere Seghezzi che aveva perduto l'equilibrio sopra una nera, misteriosa e spaventevole buca nera che gli sprofondava sotto....

Ma il pugno di ferro di mastro Andrea lo aveva sollevato come un ragazzo.

Le signore scoppiarono a ridere vedendo l'occhiata mortificata che il signor consigliere avea data all'imponente colosso.

Erano giunti al centro della miniera, al punto ove il minerale lucente veniva estratto dalla roccia viva, brunita come acciaio, nel taglio netto dei picconi.

Una trentina di operai, dal dorso nudo, lavoravano colà dalla mattina alla sera.

Ora tacevano, rispettosamente, asciugandosi il sudore. La luce fumosa della lampada da minatore si proiettava bizzarramente su di loro, creando intorno ombre fantastiche e smisurate.

Mentre le signore ammiravano il minerale verdastro, dalla strana lucentezza, dai riflessi d'oro, il dottor Laurenti si trovò nell'ombra, vicino a donna Laura.

Le si chinò all'orecchio e le mormorò alcune parole, del lungo dialogo che aveano avuto insieme, pochi giorni innanzi.

E la visione della splendida villa ridente, piena di luce e di splendore, apparì anche a lei come un lampo, in quell'antro tetro e umido, in cui l'aria che si respirava serbava diffuso un sottile tossico che avvelenava lentamente gli uomini costretti a lavorarvi....

Prima di scendere al piano mastro Andrea presentò la sua famiglia.

Era una vera famigliuola nata e cresciuta nell'alto, nell'aria pura del monte: la sposa, dalle braccia capaci di sollevare un blocco di minerale di mezzo quintale, e tre bambocci poderosi che si divertivano a fare sfoggio della loro forza con dei ninnoli di rame grezzo del peso di parecchi chilogrammi ciascuno.

– La eredità del loro babbo è tutta qui, – diceva mastro Andrea mostrando ai visitatori i muscoli superbi del suo braccio di ferro.

– E tutta la loro istruzione sarà nel sapere bene adoperare i bravi polsi che loro ho dato, – aggiungeva convinto.

– Mastro Andrea è un filosofo, – fece notare l'ingegnere.

– Mastro Andrea è un uomo sano e forte, – disse il dottor Laurenti guardando donna Laura.

Ma la contessa teneva fissi gli occhi sopra Febo, che appoggiato alla breve ringhiera di legno che sovrastava il dirupo, guardava in silenzio e pensoso giù nella valle.

Vicino a lui, uno de' marmocchi di mastro Andrea, lo osservava a bocca aperta, un dito in bocca.

Che differenza fra que' due fanciulli quasi della stessa età!...

Prima di partire il più giovane degli operai venne a recare a donna Laura un mazzo di grosse eriche, l'unico fiore di quei dirupi selvaggi: era l'omaggio di tutti gli operai alla contessa, che per la prima volta era venuta a visitar la Miniera.

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