VIII.

Era stata, quella, una veramente felice sorpresa per donna Laura.

Il dottor Laurenti, il vecchio amico, che l'avea veduta bambina, che tante volte l'avea curata, fanciulletta, ch'era unito nella sua mente a tante varie rimembranze di que' suoi primi giorni felici!...

Nel piccolo chiosco – verde cupo di ellera, di caprifogli e di rose intrecciate, ove la contessa solea ritirarsi a ricamare – donna Laura guardava in volto il vecchio amico, il dottore della sua infanzia.

Come si ora fatto bianco!...

Il vecchio dottore campagnuolo scuoteva ridendo la sua bella e serena testa di filosofo moderno, guardando una meravigliosa passiflora (era un grande botanico lui), eretta davanti a lui, agile e altera, nell'eterna bellezza ed eleganza che la Natura suol regalare alle sue creature privilegiate....

Egli faceva sapere alla contessa come da tre anni avesse trovato laggiù, su quelle colline azzurre ch'ella vedeva all'orizzonte, il cantuccio di quiete sognato.... Si ricordava, non è vero, la contessa, quando ne parlava un giorno a donna Elisa, la mamma della piccola e buona Lauretta (irrequieta, però!....) del suo sogno di pace e di quiete, sui monti azzurri?...

Donna Laura, commossa al ricordo della buona mamma, assentiva con il capo, lievemente.

– Lassù, vedeva? quel puntino bianco, perduto fra i due grandi azzurri.... quello del cielo, sconfinato, e l'altro un poco più cupo, delle colline lontane. Era quello il gruppo di case sovrastanti alla miniera ove egli aveva trovato una casetta librata nell'azzurro e tanto poco lavoro da sbrigare!... Erano così inesorabilmente sani quei buoni operai là in alto, così lontani, così fuori del mondo!... Oh, non moriva dal lavoro, davvero, lassù!... In compenso egli si era portato, là in alto, i suoi libracci e studiava.... Sarebbe venuta a visitare il suo eremo e la miniera, non era vero?... Era interessantissima, sotto tutti gli aspetti, quella grandissima miniera di rame, scoperta da poco su quelle colline tutte azzurro e sole.

– Perchè lui – il vecchio dottore – così dotto, così elevato, non si era sentito attratto da un campo più vasto, da un orizzonte più largo, a cui dedicare la sua scienza, in cui esplicare le sua attività di scienziato e di filosofo?

Il dottor Laurenti la guardò serio.

– Perchè, perchè, perchè, – cantarellò in una sua vecchia cadenza abituale con la quale soleva rispondere un giorno alle infinite domande bizzarre (e donna Laura sorrise, ricordando) della sua piccola malata.

Troppe cose avrebbe dovuto il vecchio dottor Laurenti ora spiegare alla buona contessa, cose tristi e incresciose, che, o non avrebbe ella comprese del tutto, o che, comprese, avrebbero addolorato la sua anima buona....

Donna Laura non insistette.

E il dottore riprese a parlare della Lauretta piccina e ribelle alle medicine.

Donna Laura rideva e ricordava: oh, se ricordava!...

Come era adorabile, povero vecchio dottor Laurenti, nella sua immensa giaccona e ne' suoi scarponi di montanaro!

Caro e buon dottore!...

Poi parlarono di Febo.

Donna Laura si fece un poco triste.

Ella parlò a lungo al dottore del ragazzo. Aveva mille dubbi nel cuore, mille incertezze, mille.... sì, perchè dunque negarlo? mille vaghi timori. Forse, ingiustificati.... Era tanto precoce quel ragazzo di quattordici anni!

– La sua precocità mi spaventa, dottore.... Suo padre ne è altero: egli parla a Febo come ad un uomo.... A me invece, dottore, ripeto, questo fa paura.

Il dottor Laurenti ascoltava pensoso.

Una idea vaga, ancora, non ben definita, vagolava da qualche tempo nella mente della madre, una idea che la contessa non sapeva se accogliere o scacciare. Per una rapida trasmissione di pensiero l'idea di donna Laura passò nella mente del dottore. Egli alzò il capo, indeciso.... ma nulla disse. In quel mentre comparve il servo che donna Laura aveva mandato a cercare Febo.

– Il contino è nel bosco col signor conte.

– Va bene, – disse la contessa, – appena di ritorno, venga....

Il servo s'inchinò e partì.

La contessa ristette qualche tempo in silenzio, china sopra il ricamo. Era una grande tovaglia, destinata all'altare della cappella, per Cecilia la purissima e la santa. Un grande fiordaliso di neve scintillava nella seta candidissima.

– Oh, è ben differente il mio sogno, dottore, – riprese la contessa, riprendendo la muta idea che si eran corrisposte poc'anzi, senza parlare, le loro anime: quella fiduciosa e sognatrice della giovane dama, quella serena ma che sapeva del dottor Laurenti.

Il dottore alzò il bel volto tranquillo verso quello della contessa che una sottil fiamma spirituale ora illuminava.

– Ascoltate dunque, dottore, il mio sistema.... di fede e di filosofia, – aggiunse un poco sorridendo.

E disse:

– Vi ricordate le nostre dispute di filosofia di un giorno?... Avevo sedici anni!... E voi ricorderete la grande filosofessa! Ma ora.... ah, ora!...

E la contessa mormorò:

– Ma ora, sono seria!... ho pensato e riflettuto anch'io, ora, sapete?...

E a bassa voce, continuò:

– E ho sofferto, anche!...

Ma sollevò la bella testa con un sorriso, il suo sorriso.

– Dunque posso ora permettermi di sognare qualche volta anch'io, non è vero, dottore?...

Il dottor Laurenti strinse la manina palpitante che la contessa gli porse e vi posò sopra un bacio di padre.

Donna Laura chiuse un momento gli occhi. E, rapido, il funesto passato trasvolò davanti alla sua anima dolorosa.... La morte era passata su Rosa Santa, e con la fredda Dea, forse anche il delitto.... Donna Laura ebbe un lungo tremito silenzioso. Ma sollevò novamente la bella testa. Il freddo alito del passato svanì, come una gelida folata sotterranea viene e si perde nel dolce tepore della giornata di sole primaverile.

– Ascoltate dunque il mio bel sogno.... di filosofia! – concluse donna Laura, tornata gaia.

– Passano talvolta, non è vero, dottore? nel silenzio della nostra anima lievi ombre impalpabili, indecise visioni che non ci è dato afferrare....

– È vero, – mormorò il dottor Laurenti.

– Lembi di sogni, – riprese donna Laura china sul fiordaliso, –aliti di profumi misteriosi e forse.... chissà? scomparsi, lontani, svaniti; atomi di luce, fremiti sopiti, rapidi turbamenti di tristezze lontane, perdute nello spazio e nel tempo, e non in noi....

E la contessa calcò sulle ultime parole.

– Sapete, dottore, cosa io penso ch'esse sieno, dunque?...

Il dottore attese, pensoso sempre.

– Io penso ch'esse sien i palpiti della vita che i nostri avi per noi hanno raccolto e a noi hanno lasciato in eredità....

– Forse, – mormorò il dottore.

– Penso ancora, dottore, ch'essi sieno i palpiti e i fantasmi che noi andiamo raccogliendo, affinandoli, e che lasceremo ai nostri figli che li affineranno ancora, li completeranno, aggiungeranno ad essi altri lembi di vita che noi ignoriamo per continuarne, eredità immensa ma non infinita, la trasmissione ai nipoti lontani....

La contessa si fermò.

– Oh, dottore! – riprese accendendosi un poco nel volto, – la vita che noi viviamo non muore in noi, i nostri fremiti, le gioie, le tristezze, gli attimi fuggenti, non finiscono in noi....

– No, certo – disse forte il dottore, convinto.

– Noi raccogliamo, non è vero? e serbiamo per gli altri, per quelli che verranno dopo di noi, come altri già per noi ha raccolto e serbato.

– Oh no, dottore, – riprese forte la contessa, – non è un vano soffio l'affannoso pulsare delle nostre anime.

Si fermò per scrutare il pensoso volto del vecchio filosofo che tante miserie avea veduto e tante ne avea sopportate, dal suo cuore e dagli uomini: la contessa lo sapeva.

– No, non è un vano, inutile soffio, io lo sento. Esso è ben più....

– Intendo – mormorò il vecchio.

– Esso è una piccola, minima, vibrazione di un'altra grande, sconfinata, infinita, che noi non conosciamo nè sappiamo dove avrà fine.... Ascoltate ora dunque, dottore, il mio sogno.

Si fermò: un raggio di sole guizzando di tra i vilucchi del chiosco venne ad accendere il fiordaliso che fioriva tra le mani squisite di donna Laura, e un riflesso di quella luce irradiò il bel volto puro della contessa.

– La nostra vita, sulla terra, deve finire.... Ma, vi ho detto, dottore, tutti questi palpiti, tutte queste armonie, tutte queste immense vibrazioni vissute, ora per ora, secolo per secolo, da milioni e milioni di anime, credete voi dunque che debban andare vanamente perdute?...

– Noi non lo sappiamo, ancora, – mormorò il dottore.

– Non sarà dunque un giorno un Essere – uno solo capite? – un Essere unico ed eccelso che tutte le raccoglierà, sintesi immensa, in una Anima sola – una sola, dottore – queste vibrazioni di vita, questi palpiti secolari?...

– Noi non lo sappiamo, ancora, noi non lo sappiamo, – ripetè il dottore, dolcemente, con la stessa voce con che già parlava un giorno alla bimba, alla Lauretta curiosa e incalzante di pericolose dimande.

– No, noi non lo sappiamo. Noi seguitiamo, inconsci, il grande lavoro che altri prima di noi ha seguito.... che qualcuno che noi non sappiamo ha cominciato e che qualcuno che noi non sappiamo dovrà terminare. Sarà cotesta la fine della Vita, la fine dei nostri dolori nei secoli, la fine del martirio che l'umanità trascina penosamente per millennii....

– Questo Essere che in Una sola raccoglierà, un giorno, tutte le nostre Vite è forse Dio.... il Dio che adoriamo e che non conosciamo?– finì come un lieve soffio la contessa.

– Il sogno è divino, – mormorò il dottore.

– Io ho un barlume talvolta, vedete, dottore, di questo grande sogno dell'invisibile – di ciò che è stato e di ciò che sarà – in certi misteriosi momenti: in certe ore del tramonto, in certe rapide visioni che il mio sguardo sorprende nella verde acqua cheta e profonda di una delle vecchie vasche della nostra Villa: in certi fantasmi improvvisi che attraversano la mente e che mi domando quando e dove, altra volta, mi han fatto fremere....

– Sono le ombre del pensiero, – mormorò il dottore.

– Sono, dottore, per me, le improvvise intuizioni del nostro piccolo essere passeggero, mortale, ma lavorante sottomesso ed assiduo a formare l'angelica farfalla che il nostro Poeta ha divinato....

– È un sogno sublime.... come tutti i bei sogni, – disse il dottore sottovoce, come parlando a sè stesso.

– Ma non tutte le anime hanno nel loro vibrare queste rivelazioni – continuò ancora Laura, mentre la lieve fiamma della razza passava ne' suoi occhi sereni.

– Sono le anime privilegiate, le anime che Dio ha messo da parte, le anime che sanno....

– Le anime aristocratiche... – finì lievemente ironico il dottore.

– Dottore, – disse donna Laura alzandogli in volto i begli occhi, – voi lo sapete: io credo all'aristocrazia delle anime.... e del sangue.

Il dottor Laurenti non rispose: attendeva.

– Credo alle anime privilegiate, sòrte per un lento prodigio di raffinamento e di selezione sulle altre ancor brute che non comprendono e che non vedono ancora. Sono esse il tramite su cui vola, alla perfezione, l'essenza della vita, la creatura futura e perfetta e divina che nel mio sogno vi ho detto....

Donna Laura si arrestò un momento.

– E credo ancora al dovere di queste anime, che Dio ha scelto e diviso dalle altre, brute, deboli, ignare ancora, di serbare puro il dono ricevuto: di serbarsi, capite? in disparte, in alto; di non confondersi, di non mescolarsi, di non ritornare alla debolezza, all'ignoranza da cui nei secoli si sono elevate.... Perchè, ve l'ho detto dottore, è sopra queste anime privilegiate che seguirà il cammino, nella sua trionfale ascesa, la Perfezione....

Mentre donna Laura parlava – e il suo sogno fluiva come una musica lieve e malinconica dalle sue labbra – il vecchio filosofo pensava:

– Ecco il grande errore, ecco l'illusione vana, ecco il falso sogno, ecco il germe della decadenza e della Morte!...

E continuava il suo pensiero:

– Ecco il sottil microbo della distruzione delle grandi schiatte, delle caste, dei – da sè stessi – chiamantisi privilegiati, sien essi piccoli gruppi, tribù, singole famiglie o grandi aristocrazie di popoli interi. Così Grecia la bella, così Roma la fortissima, sono morte: così morremo ora noi, povere anime latine cieche e chiuse in noi, grette e piccine nei nostri fantasmi del passato!

Ah no! non è questa la vita, contessa! (Avrebbe voluto gridarlo forte, questo, a donna Laura: ma perchè turbare il suo bel sogno? ella che tanto avea ora bisogno di sognare!...) Ah, no, non è questa la Vita!... Bisogna rinnovarsi, rinnovarsi sempre o morire. Il Passato è la morte: è nel nuovo l'Avvenire e con esso la Vita. Voi Dante, voi Petrarca, voi mille altri che sognaste risuscitare dalla tomba il seppellito mondo romano, foste ciechi poeti.... Voi seminaste, nella patria vostra, germi di morte, non di vita. Non è nella polvere dei morti la vita nuova: è nel seme vivido che sta germogliando lontano da noi, forse, in terre nuove, in terre vergini sopratutto!...

Ah, contessa! (seguitava la muta risposta del dottore) voi sognate il trionfo della vostra vecchia casta! Sognatrice ed illusa! Poeta anche voi! Bisogna rinnovarsi, rinnovarsi sempre o morire. Sangue nuovo, contessa, sangue barbaro, selvaggio, ignobile come dite voi, ma nuovo: non anime eccelse, piene di stanchezza, affrante da troppi secoli di vita. Non è la ruggine dei vostri vecchi stemmi, povere anime agonizzanti, che feconderà i solchi laboriosi della nuova vita, ma l'acciaio brunito delle nuove schiatte che noi non conosciamo ancora.... ma che attendiamo!

E mentre la contessa, accesa tutta in volto della sua illusione, finiva, il dottor Laurenti mormorò:

– Ombre! ombre!... sono le vane morte ombre del passato, che il vivido raggio della vita nuova deve fugare, come il sole dissipa le negre nubi del temporale....

– Ecco Febo, – disse forte la contessa.

Il ragazzo veniva avanti, serio, composto, guardando un poco stupito il vecchio dottore che non conosceva.

– Ecco i frutti del grande ingenuo sogno! – pensò il dottore, che con una rapida occhiata indagatrice sul fanciullo aveva in un lampo veduto, scoperto, scrutato in esso lo stigma fatale e inesorabile.

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