V.

Il buon Mondolfi poi ch'ebbe finito di raccogliere diligentissimamente le sue carte nell'ampio portafogli fece un profondo inchino e si ritirò.

Don Pietro e la contessa rimasero in silenzio, pensosi.

Poi il conte ebbe un sonoro respiro.

– Ah! tutto finito, una buona volta! Respiriamo: questa terribile liquidazione minacciava d'affogarci tutti, col suo diluvio di cartacce bollate e di procuratori!...

Donna Laura sospirò e sorrise, un poco triste, al consorte.

– È finita, è finita una volta! – ripeteva don Pietro, giuocherellando con un piccolo idolo di diaspro, un gioiello.

– Sì.... è finita, ringraziamone Dio, – mormorò la contessa.

Il conte si alzò.

– Ed ora, – disse egli, fermo dinanzi a donna Laura seduta, – vita nuova!... Ritorniamo i signori campagnuoli del secolo XIV....

Donna Laura sorrise ancora.

– Del resto, – continuò don Pietro, – Rosa Santa è nostra.... e poi ci restano due cose ancora.... preziosissime entrambe.... inestimabili.... nessuno, queste, potrà mai togliercele!

Donna Laura alzò gli occhi in volto al marito.

– Febo, il nostro Febo.... è l'una.

– E l'altra?... – chiese dolcemente donna Laura.

Don Pietro si chinò sulla bionda testa della moglie e le mormorò fra i capelli:

– Il nostro amore.

Donna Laura ebbe un palpito dolcissimo, e le belle braccia si levarono e ne fecero corona alla testa dell'amato.

– Oh Pietro!... – mormorò.

E chiuse gli occhi, pallida, un poco ansante, come in sogno. E la cara visione del dolcissimo loro romanzo di amore li riprese entrambi, per un momento, come una rapida estasi. Erano cugini.

Egli era alto, bruno, distinto: ne' tratti fini del volto splendeva la fierezza di Lamberto, il condottiero, e nello sguardo limpido la infinita dolcezza della fede di Adriano il Santo.

Ella aveva raccolto in sè, tutta, nella bella persona esile ed eretta, nella bionda testa pensosa, nei fondi occhi pieni di mollezza e di ardore, la sconfinata poesia e la dolcissima tenerezza di Cecilia, la sposa che moriva per amore.

Semplice e squisito romanzo, quello che aveva unito don Pietro a donna Laura! Avevan giuocato insieme fanciulli, nelle stesse ville all'ombra degli istessi alberi che conoscevan tutta la storia dei loro avi: il mistico Rosaio famigliare ne aveva protetti i giuochi e più tardi il dolcissimo amore....

Una strana affinità di carattere era nelle loro anime – la squisita e preziosa affinità che solo la comunanza dell'istesso gentil sangue può dare. E il loro amore fu completo, finissimo, ineffabile.

Nella capitale, ne' grandi saloni, negli elegantissimi ritrovi della loro società, il loro amore era passato sereno, luminoso, come una meravigliosa eccezione: ammirati, secretamente invidiati, anche.

Nella dissoluta casa del padre – che un misterioso dramma aveva visitato e atterrito – lasciato in balìa dei servi, trascurato dal padre dato a tutte le sfrenatezze, senza madre, il piccolo Pietro era cresciuto un poco chiuso, un poco triste, appassionato all'arte, grande raccoglitore di cose belle: di quadri, di vecchi libri, di stampe rare, di gingilli preziosi.... Il suo gran palazzo alla capitale, mentre il padre sperperava il grande patrimonio con le sue amanti d'un giorno o di un'ora a Parigi, a Londra, in Oriente, era divenuto, per opera del giovane don Pietro, un raro museo di oggetti d'arte e di antichità.

E quando donna Laura vi era entrata, cinta la bianca fronte dal radioso diadema di smeraldi e diamanti, che una grande mistica rosa in rubini ardeva di fiamme corruscanti, ella aveva recato nel tetro, sfarzoso palazzo la spiritual luce della sua anima dolcissima e del suo sorriso.

Ella – intelligente e coltissima, bella e in tutto squisitissima – era l'unica degna di entrare padrona in quel meraviglioso palazzo ove gli antenati avevan accumulato la gloria e il giovane don Pietro i più preziosi tesori di arte.

Alla morte del padre – a Costantinopoli – lontano dalla sua casa, in un albergo sconosciuto, in mezzo a persone straniere e indifferenti, con una donna che raccolti i gioielli se n'era fuggita mentre il vecchio agonizzava, quanti avevan saputo la misteriosa e terribile morte della moglie – lassù, nel grande salone del castello di Rosa Santa – avevan detto:

– Egli doveva morire così.

Allora eran sorte, come in un pozzo agitato vien su il nerume del fango che si cela nel fondo, le disastrose conseguenze della vita dissoluta del vecchio conte.

La successione per il figliuolo era stato un vero disastro.

Ma egli aveva voluto far onore alla Rosa di cui i suoi avi gli avevan lasciato in retaggio la purezza. Aveva venduto, radunato: e aveva pagato tutti i debiti del padre....

– Tutto era perduto, – aveva detto al vecchio segretario Mondolfi.

E il vecchio segretario, che la sera stessa partiva per Roma, portava bensì con sè la fine della fortuna dei Rosa Santa.... ma l'onore della casa nobilissima nei secoli, era salvo.

E donna Laura sollevò il volto puro, che una grande serenità aveva ora soffusa di pace: e i bellissimi occhi, fissi in quelli ansiosi dall'amato, sorrisero d'una luce ineffabile che lui conosceva. E in quegli occhi era la fede, il coraggio e la forza.

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