VI.

Febo posò la penna.

Davanti a lui, fuori del balcone aperto sulla villa, lo sguardo spaziava libero, sopra tutta la cupa massa degli alberi, giù giù sino alle colline azzurre dell'orizzonte....

Si scorgeva – enorme mazzo fiorito sotto il sole limpido – il Rosaio, spiccante sopra lo sfondo niveo della cappella di Cecilia.

Febo teneva fermi su quel roseo mazzo – tutto nella luce – i suoi sguardi profondi.

Egli aveva ora terminato il cómpito latino che ogni mattina il maestro, che regolarmente per lui veniva, gli lasciava assegnato. Riabbassò gli occhi sulla pagina: rilesse, corresse qua e là, gravemente, con quella sua strana e profonda aria di piccolo uomo, troppo e troppo presto sviluppato. Poi piegò il foglio e si alzò.

La luce chiarissima, passando sopra la villa da cui recava il sottile olezzo ravvivato dal tepore del sole, empieva la piccola stanza di studio. Qua e là dei ninnoli preziosi, regali del padre e della madre: una statuina d'argento dell'avo sant'Adriano di Rosa Santa, un vecchio e raro orologio del secolo XVIII, gremito di figurette bizzarre poste in moto ogni ora dal meccanismo del congegno, e molti libri, preziosissimamente rilegati in marocchino nero e rosso.

Febo si diresse ad uno stipo sopra cui posava un grande volume rilegato in pelle, dai margini d'oro. Lo sollevò, lo recò sul suo tavolo.

Era la storia dei Rosa Santa, splendidamente stampata e illustrata: opera magnifica e costosa, dal padre commissionata ad un giovane studioso e dotto, dai Rosa Santa largamente protetto e negli studi aiutato.

E Febo, ora, rimase fermo davanti al libro, pensoso, lo sguardo sperduto, fuori del balcone, fermo sur un punto vago, sulla nera massa degli alberi.

Era lì, tutta lì, la sua grande famiglia – la potente, la santa, la nobile, la ricchissima sua famiglia!...

E quella grande, potente, santa e nobile e così ricca famiglia sua, ora dunque cadeva, rovinava, forse finiva.... Oh, egli lo sapeva bene.... e non da quel mattino solamente!... Troppe cose, da qualche tempo, egli aveva sentito: troppe cose aveva compreso: troppe cose davanti a lui erano apparse e lui presente erano state dette.... forse nella speranza ch'egli non le avrebbe comprese!...

Ma il piccolo Febo – l'ultimo dei Rosa Santa – tutto osservava, tutto vedeva, tutto sentiva e meditava, poi, in silenzio. La sua casa – Rosa Santa – cadeva, rovinava, forse finiva!...

Una piccola ruga precoce si ergeva sottile ma rigida nel mezzo della fronte del fanciullo. Stette così un istante, ritto, immobile, fermo lo sguardo nel punto vago, sopra la bruna massa degli alberi della villa.

Poi si sedette e aprì il libro. Ecco lo stemma inquadrato nell'oro: la mistica Rosa vivida e sfolgorante, che dava la vita ai moribondi e la santità alla sua casa, semplice, superba, pietosa e regina, cinta d'oro, di azzurro e di stelle di diamante. Il suo tralcio luminoso abbracciava la croce, in segno di ardente fede. Sotto era il motto: "Io ardo ed olezzo."

L'ardore era la fede pura ed intensa lasciata dal Santo in retaggio alla famiglia, l'olezzo era il profumo di nobiltà e di virtù che sui Rosa Santa si era diffuso ineffabile.

"Io ardo ed olezzo."

La Rosa, nelle pure mani di sant'Adriano, fiammeggiava; e da essa si partiva il raggio divino e benefico che tante lagrime arrestava, tanti spasimi consolava, tanta dolcezza e carità diffondeva. Febo svolse le pagine. E passavano – ardenti e fiammeggianti come la mistica rosa – le imprese dei Rosa Santa: pietose e fiere, appassionate e crudeli, mirabili di nobiltà e di fede, atroci di crudele fierezza. Era tutta lì, la nobile e grande famiglia, ne' palpiti del passato: altera e bella nelle pagine che la storia avea fermato.... E passava lì, sotto gli occhi del fanciullo che rivedeva e comprendeva la storia della sua casa.... la storia che nessuno avrebbe mai distrutto, nessuno annichilito, perchè essa fiammeggiava, ardente e superba, nei secoli!...

Febo arrestò la pagina.

Poche parole sopra Eleonora di Rosa Santa: la morta, l'assassinata, la misteriosa vittima di un cupo delitto che la giustizia degli uomini non aveva saputo rivelare.

Il biografo – perplesso – non aveva saputo come trasvolare sulla bellissima e infelicissima donna.... e se l'era cavata con alcune poche parole, di colore oscuro. Ed era saltato ad un augurio per don Lamberto – il nonno – e don Livio – il padre – viventi ambedue, quando il biografo tracciava le ultime linee del suo ponderoso lavoro.

Febo rimase pensoso.

Ritornavano – lontane e triste – nel suo orecchio e nel suo cuore le maligne parole del compagno là a Roma. Come una beffarda e maligna eco, ritornavano ora, quelle parole, e ronzavano tristi, nel silenzio della sua cameretta di studio, dominante dal balcone aperto, la cupa vôlta, ove era morta la Nonna, donna Eleonora di Rosa Santa.

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