VII.

– Febo, sei tu? – disse il padre alzando la testa da sul leggìo ove stava assorto sopra un vecchio in-folio, uno dei tesori della Biblioteca di Rosa Santa, dal conte stesso ordinata e arricchita.

– Sono io, babbo, – mormorò Febo, il quale era entrato lieve, senza far rumore, nella mite luce raccolta che vagolava nella grande sala della Biblioteca.

Il conte riabbassò la fronte sopra il vecchio libro, e Febo rimase in piedi in fondo alla sala, davanti a uno degli alti ritratti oscuri, che torno torno popolavano tutta la parete. Chi era quel volto pallido, sotto l'ispida barba nera, dagli occhi truci che lo guardava sì altero e sì fisso? Febo pensò.

Eribaldo, forse, il condottiero del Duca Sforza o il capitano a' servizi di Spagna?

Febo volse gli occhi su altro ritratto, che aveva a lato. Ah, questo lo conosceva!

Era il giovane sposo di Cecilia, quello pel quale la piissima aveva fatto omaggio a Dio della sua giovane vita. Era alto, snello, tutto chiuso nella lucente armatura: alta la visiera piumata, d'onde usciva il volto pallido, incorniciato dall'aguzza barbetta nera. Somigliava al babbo – pensò Febo e rapidamente lo confrontò con il padre pensoso e assorto nella sua lettura.

Febo fece il giro di tutta la parete e andò a fermarsi in un angolo quasi buio, ch'ei conosceva.

Quivi era un ritratto, uno strano ritratto che tante ore l'avea tenuto immoto, incantato. Era un volto pallido, bizzarro, senza barba: il volto di un adolescente o di un asceta. Copriva il resto del corpo una nera tunica, senza forma, che non lasciava comprendere nulla.

Questo ritratto attirava stranamente Febo. Egli conosceva la storia di quel volto pallido, di quella bocca dolorosa, di quegli occhi pieni di mistero. Era Stefano di Rosa Santa: scomparso a ventidue anni. Come? dove? perchè?... Nessuno mai nulla avea saputo.

Di Stefano di Rosa Santa non altro era rimasto che il mistero della sua oscura scomparsa e quel fantastico ritratto lì, strano ed enigmatico. E Febo guardava ora quel volto pallido ed estasiato, quasi per trovare in esso l'enigma che sopra quella testa era disceso pauroso.

Ah! il mistero regnava nella vecchia stirpe dei Rosa Santa!...

E Febo pensò rabbrividendo alla Nonna.

– Febo, che fai tu dunque? – chiese il conte sollevando ancora la testa dal suo libro.

Il ragazzo si avvicinò.

– Guardavo i ritratti, – mormorò.

Il conte restò pensoso.

– Li conosci tutti ? – disse poi.

– Oh, sì, quasi tutti, – rispose Febo.

– Bene, – mormorò il padre e lo guardò, altero e soddisfatto come sempre di quel fanciullo ch'era un uomo, anzi, meglio, un Rosa Santa.

– Babbo, – disse a un tratto Febo, come decidendosi, – uno solo non conosco.... non so di chi sia....

– Quale dunque?... – rispose il conte.

– Oh, vieni a vedere.

Il conte si alzò e seguì il fanciullo.

Febo condusse il padre in un angolo poco in vista, quasi celato dietro un altissimo scaffale di libri polverosi. E accennò una tela.

– Questo.

Era una figura di donna anziana: non vecchia nella testa ancor bruna e nell'acconciatura sfarzosa: vecchissima nei tratti del volto, negli occhi, nella bocca quasi contratta....

– Questo, – ripetè Febo.

Il conte si era fatto pallido: e guardò un momento in silenzio il figliuolo.

– Tua nonna, – rispose egli, dopo un momento.

Febo rabbrividì.

– La nonna.... – mormorò.

E portò di nuovo gli occhi sul ritratto.

Pallida, scarna, gli occhi vitrei.... così era dunque diventata sua nonna, prima della morte improvvisa e paurosa che l'avea colta!

– Così era quando fu uccisa.... – pensò, rabbrividendo, ancora.

E rivide l'altro ritratto, quello di sopra, nel salone, bella, giovane, ridente.... Ah! come lontana da quella di ora, che lo guardava fissa e triste, quasi a rivelargli un secreto!...

Ah sì! il secreto! il mistero! il delitto, forse!...

Quante volte la giovane mente del precoce fanciullo era stata assalita dalla visione tormentosa di questo secreto e di questo mistero!

Quanto volte avea ripensato al silenzio di quel vasto salone, di sopra, mai aperto alla luce e ai viventi dal giorno terribile della tragedia!...

Quante volte passando davanti a quella porta sbarrata si era fermato turbato e palpitante, non per paura, ma quasi ad ascoltare qualcosa di arcano e di misterioso che là dentro dovea agitarsi e che parea chiamarlo!...

E Febo guardò il padre.

Anch'egli era pallido e taceva.

Forse anche lui pensava ora al dramma funesto disceso su Rosa Santa: dramma funesto e pauroso su cui nessuno – mai – avea potuto sollevare il mistero.

Nessuno! mai!

Febo alzò gli occhi in volto al ritratto.

Perchè, dunque?...

Febo attese, un momento, tutto l'essere suo preso nella domanda angosciosa che la mente sua, la sua anima, formulava tenacemente alla Morta.

E in quel momento – per la prima volta – un'idea, un pensiero, una decisione si fe' strada, invincibile, nella sua anima....

Penetrare nel salone: vedere, conoscere, e forse chissà? sapere....

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