§ III. — Segreti e ricette risguardanti i metalli .

949. Metallo composto per ricevere le impronte. — Togli due parti di bismuto, una di piombo ed una di stagno; fa liquefare insieme ogni cosa in un crogiuolo. Questo miscuglio metallico, ridotto in sottili laminette, si fonde al calore dell’acqua bollente, ed è comodissimo per gittare in forme e far modelli, ricevere impronte, stampare col metodo che chiamano stereotipia, ecc.

950. Maniera di distinguere il ferro dall’acciajo. — Facciasi cadere con un pezzetto di legno una goccia d’acido nitrico sopra una lama di ferro pulito, e, dopo avervela lasciata due minuti, vi si versi dell’acqua comune: se quest’acqua, portando via l’acido, non lascia scorgere altro che una macchia bianca o del colore del ferro pulito, è segno che la lama è di ferro; al contrario, se la macchia resta nera, la lama è d’acciajo.

Si riconosce l’acciajo anche dal suono che produce cadendo in terra, o venendo percosso con un altro corpo duro.

951. Modo di convertire il ferro in acclajo. V’hanno parecchie maniere di convertire il ferro in acciajo. La più comune è la seguente. Si piglia il ferro battuto: si mette in un crogiuolo di ferro insieme con cenere, polvere di carbone, orina, materie animali, calce, fuliggine, ecc. e si copre esattamente il crogiuolo lutandolo con argilla; si espone il tutto ad un fuoco che valga ad arroventarlo senza farlo fondere, e in capo ad alcune ore il ferro si trova coperto d’uno strato d’acciajo. Quanto più lo terrai esposto al fuoco, tanto più sodo diverrà questo strato; e quanto migliore e malleabile sarà il ferro che adoperi, tanto più bene riescirà l’acciajo. Allorchè si giudica che il ferro sia rimasto abbastanza esposto all’azione del fuoco, cioè per 8 o 10 ore, si tuffa nell’acqua fredda per dargli la tempera. È questo il metodo che vien messo in pratica dai magnani, coltellinaj, ecc.

952. Altro modo di far l’acciajo. — Si fa pure l’acciajo, esponendo al contatto d’una fiamma le verghe di ferro intonacate d’un loto vegetale.

Se ne può fare ancora immergendo le verghe di ferro battuto in una massa di ferro in fusione, e ritirandolo prima che questo incominci a raffreddarsi.

953. Tempera dell’acciajo. — L’acciajo tanto più acquista di durezza mediante la tempera, quanto più è stato arroventato prima d’esser tuffato nell’acqua; ma altresì, se fu riscaldato un poco al disotto del punto in cui lo si tempera, si addolcisce per mezzo di questa medesima operazione della tempera, ed il metallo s’accomoda meglio ai lavori di lima e di bulino.

Le molle voglion essere temperate e ricotte per mezzo di due operazioni ben distinte: bisogna riscaldarle al grado conveniente, poi temperarle nell’acqua, nell’olio, ecc.; quindi si procede ad addolcirle e ricuocerle, riscaldandole a poco a poco, infino a che la loro superficie (che avrai ben pulita) presenti una serie di colori che annunziano diversi gradi di durezza perduti. Talvolta l’operazione del ricuocere si fa coll’accendere sulla molla l’olio stesso in cui essa fu temperata.

Le suddette due operazioni si possono ridurre ad una sola nel seguente modo: si riscalda l’acciajo al debito grado, tuffandolo in un bagno metallico, composto d’un miscuglio di piombo e di stagno. Questo miscuglio vien riscaldato al grado bisognevole alla tempera per mezzo d’un fornello su cui lo si pone in un vaso di ferro fuso; avvertendo di mettere nel bagno stesso un pirometro per indicarne la temperatura. In tal guisa l’acciajo si tempera e si ricuoce a un tratto, senza che s’incurvi o si screpoli.

954. Maniera di dare il color turchino al ferro ed all’acciajo. — II ferro e l’acciajo, tirati a pulimento, sono suscettivi di pigliare un color turchino più o meno carico, allorchè si sono fatti sufficientemente scaldare, e sonosi poi coperti di sostanze vegetali o animali; ma siccome non sempre si ottiene il medesimo effetto, si fecero diverse esperienze, il cui risultato appagò il comune desiderio. Ecco il processo che pare da preferirsi agli altri.

Metti sopra una lastra di ferro alcuni pani di vallonea, e coprili di cenere calda. Ben tosto si comunica loro il fuoco e, come vedi che incominciano ad ardere, ponivi sopra i pezzi di ferro o d’acciajo a cui vuoi dare il color turchino. Abbi cura che il calore sia uniforme e sempre conservato al medesimo grado; poichè s’ei fosse troppo gagliardo, l’operazione non riescirebbe.

Allorchè scorgi che il metallo si riscalda più da una parte che dall’altra, devi voltarlo per metterlo dove il fuoco è più vivo, ed appena supponi che esso abbia contratto il colore che desideri, ritiralo, e dopo averlo fatto lentamente freddare, forbiscilo con un pannolino asciutto.

In tal modo si può dare il color turchino alle lame di spada, alle fibbie, ai bottoni, agli anelli, ecc.

955. Modi di preservare il ferro e l’acciajo dalla ruggine. — Varii sono i mezzi onde impedire che il ferro e l’acciajo non irrugginiscano.

Il primo consiste nell’ungere d’olio, reso disseccativo per mezzo di limatura o litargirio di piombo, i pezzi di metal-lo, riscaldandoli durante l’operazione. L’olio di caccao è il migliore.

Un’altra maniera consiste nell’arroventare il ferro, spegnerlo nell’olio di lino, e lasciarlo sgocciolare.

Un bagno di sego può riescire ancora più efficace.

Le opere d’acciajo, preparate in tal guisa, vengono garantite dalla ruggine; ma perdono un cotal poco della loro lucentezza. Per impedire un tale inconveniente, bisogna arroventarle con fuoco d’ossa o di penne, onde vengano a ricevere una quasi vernice nera solidissima. Si possono ancora spalmare d’una vernice fatta a posta, la quale risulta da parti eguali di mastice, canfora, elemi e sandracca, sciolto il tutto nello spirito di vino. (Vedi anche la vernice metallica, sotto al num. 875).

Si ottiene il medesimo scopo facendo scaldare fortemente l’acciajo, senza però accostarlo troppo repentinamente al fuoco, e fregandolo con cera vergine. Indi bisogna avvicinarlo nuovamente al fuoco, affinchè la cera penetri il metallo; ciò fatto, non rimane a far altro che asciugarlo con un pezzo di panno.

Due libbre di sugna e 5 once di canfora liquefatte, con aggiuntovi quanto basta di litargirio in polvere, per dare al miscuglio un color nero, formano una pasta colla quale ungendo il ferro caldo si riesce di preservarlo dalla ruggine.

956. Altro mezzo di garantire il ferro e l’acciajo dalla ruggine. — Piglia 10 parti d’olio di lino e 2 di litargirio ridotto in sottil polvere. Fa bollire l’uno e l’altro insieme in un calderotto di ferro o di rame per una mezz’ora, o circa; poi ritira indietro il miscuglio, lascialo freddare, e decanta per separarne la posatura che talvolta si forma nel fondo del recipiente.

Metti nuovamente sul fuoco quest’olio così preparato, aggiungendovi 2 parti di succino polverizzato; e sciolto ch’esso sia, aggiungi ancora 6 parti d’olio di trementina.

Questo miscuglio è dapprima nero e denso, ma diviene ben tosto chiaro e trasparente. Allora versalo in bottiglie per servirtene all’uopo nel modo che stiamo per indicare.

Ripulisci ben bene i tuoi pezzi di ferro o di acciajo. lavali in una lisciva preparata con once 4 1/2 di potassa in un boccale d’acqua; indi gettali nell’acqua pura, e finalmente asciugali con pannolino ben netto. Ciò fatto, piglia una piccola spugna nettissima e fine, e, lavatala nell’essenza di trementina per farne uscire tutta l’acqua, intingila nella suddetta vernice; spremila un pochetto per ispogliarla del soverchio fluido di cui si sarà imbevuta, e con essa leggiermente soffrega il ferro. Datogli questa coperta ben unita ed uguale di vernice, lascialo asciugare in luogo ove non siavi polvere.

La medesima vernice si applica egualmente sul rame; lo preserva dal verderame, e gli mantiene il colore ed il lustro.

957. Maniera di fissare il ferro nella pietra. — Quando vuolsi fissare nella pietra qualche opera in ferro, come grappe, anelli, uncini, arpioni e simili, si faccia nella pietra un buco proporzionato alla parte di ferro che deve entrarvi, facendo in modo che, introdottovi il ferro, rimanga un po’ di spazio all’intorno di esso; e in tale spazio si coli dello zolfo liquefatto in un cucchiaio o in uno scodellino di metallo, fino a riempirne totalmente il buco; indi si getti sopra un pugno d’arena per ispegnerlo; e dopo due o tre minuti il ferro sarà fissato sì fortemente alla pietra, che per levarnelo farebbe d’uopo spezzarla.

958. Modo pronto di fondere il ferro. — Arroventa una verga di ferro, e indi presentagli un pezzo di zolfo: il ferro si fonderà subitamente, e colerà a goccia a goccia in un vaso pieno d’acqua, che avrai avuto cura di collocare al disotto. Queste gocce di ferro nel cadere si appallottolano, e formano i pallini di cui si fa uso per la caccia.

959. Maniera di marezzare la latta. — Il signor Baget ha trovato assai vantaggioso di adoperare all’uopo i seguenti miscugli:

1.° Si fa sciogliere 4 once di muriato di soda in 8 once d’acqua, e vi si aggiunge 2 once d’acido nitrico.

2.° Si mescolano insieme 3 once d’acido muriatico, 2 once d’acido nitrico, ed 8 once d’acqua.

3.° Si mescolano 8 once d’acqua, 2 once d’acido muriatico, ed un’oncia d’acido solforico.

Il processo da seguirsi consiste nel versare uno di questi miscugli caldi sopra una foglia di latta collocata sopra una catinella di grès; bisogna però versarlo in più volte fino a che la latta sia totalmente ridotta ad aver l’aspetto della madreperla; indi si deve tuffarla in un’acqua leggermente acidulata, e lavarla.

Il marezzato che si ottiene mediante l’azione di questi differenti miscugli sulla latta, imita assai bene la madreperla e i suoi riflessi; ma i disegni, benchè variati, non dipendono che dal caso, o piuttosto dalla maniera con cui lo stagno si cristallizza sulla superficie del ferro nell’uscire dal bagno di stagno liquefatto in cui fu immerso per ridurlo a latta. Facendo provare alla latta in diversi punti un grado di calore atto a cambiar la forma di cristallizzazione dello stagno, il sig. Baget ha tentato di farle prendere de’ disegni particolari, corrispondenti a’ luoghi scaldati; e in tal modo egli ottenne delle stelle, delle foglie, ecc.; gli riescì pure di produrre un bel disegno di granito, versando a piacere uno de’ suddetti miscugli, ma freddo, sopra una foglia di latta quasi rovente. La riuscita di questi diversi marezzati dipende in gran parte dalla lega dello stagno che si applica sul ferro per fare la latta. Quando allo stagno è aggiunto un poco di bismuto o d’antimonio,il marezzato ne risulta più bello; ma le latte di Francia, perciocchè contengono dello zinco, non presentano il medesimo vantaggio.

960. Altri processi per marezzare la latta. — Dopo avere esperimentato gli acidi vegetali, il Sig. Herpin adoperò gli acidi minerali in diverse proporzioni; ed assicura che l’acido nitrico-muriatico (acqua regia) gli diede i risultati più soddisfacenti.

Ecco i miscugli ch’egli indica per i più opportuni da versare sulla latta leggiermente calda:

1.° Quattro parti d’acido nitrico, una di muriato di soda, due d’acqua distillata.

2.° Quattro parti d’acido nitrico, ed una di muriato d’ammoniaca.

3.° Due parti d’acido nitrico, una d’acido muriatico, e due d’acqua distillata.

4° Due parti d’acido nitrico, due d’acido muriatico, quattro d’acqua distillata.

5.° Una parte d’acido nitrico, due d’acido muriatico, tre d’acqua distillata.

6.° Due parti d’acido nitrico, due d’acido muriatico, tre d’acqua distillata.

7.° Due parti d’acqua seconda, ed una di muriato d’ammoniaca.

Piglia una delle accennate composizioni, e versala in un bicchiere; intingivi una piccola spugna, e dà con essa una velatura alla latta, avvertendo che la superficie sia egualmente umettata da per tutto. Se la foglia di latta sarà leggiermente calda, e l’acido concentrato o poco allungato, il marezzato si forma in meno d’un minuto; in caso contrario si richieggono 5 ed anche 10 minuti. S’immerge poi la foglia in acqua fredda, e si lava, strofinandola leggiermente con un po’ di cotone o colla barba d’una penna; dopo di che si lascia asciugare.

L’autore raccomanda di non lasciar l’acido sulla latta, come quello che produce certe macchie nere sui luoghi dove cade. Spesse volte una porzione si ossida avanti che l’altra sia perfettamente marezzata; il che a detta sua, proviene dal non esser stato l’acido egualmente distribuito e nel medesimo tempo.

Il marezzato si ossida pure ogni volta che lo si faccia asciugare troppo vicino al fuoco dopo d’averlo lavato, ed anche naturalmente per l’azione dell’aria.

Se non vuolsi inverniciar subito la latta marezzata, convien coprirla con uno strato un po’ grosso di gomma arabica sciolta nell’acqua.

Si producono delle stelle, ed anche vaghissimi disegni, facendo scorrere la latta sulla fiamma d’una lucerna.

Benchè paja facile fare il marezzato metallico, pure bisogna usare una certa destrezza, la quale s’acquista soltanto colla pratica, e che consiste nel lavarlo nel debito momento; un minuto secondo di più o di meno lo difforma ed altera interamente. Se fa presa troppo presto, non ha nessun lustro; se troppo tardi, diventa fosco e nericcio. Si deve dunque lavare il marezzato tosto che si veggono apparire certe macchie grige e nere. Si adopera per questa operazione acqua di fiume, o, che è meglio, acqua distillata, leggiermente acidulata con aceto o con uno degli acidi che entrano ne’ suddetti miscugli, nella proporzione d’un cucchiajo d’acido per un boccale o poco meno d’acqua.

Se si guarda la latta per un certo verso, prima di marezzarla, si scorgono distintamente i contorni delle parti che si marezzeranno: gli acidi non fanno altro che sviluppare le cristallizzazioni formatesi sul ferro nel momento che fu cavato fuori del bagno di stagno fuso; tantochè si possono scegliere a piacimento le lamine che daranno cristallizzazioni più o meno estese.

Il marezzato metallico ha la proprietà di reggere ai colpi del mazzuolo di legno, ma non a quelli del martello; laonde non si possono fare con esso opere d’incavo.

Tutte le modulazioni di colore che si veggono sul marezzato metallico, dipendono dalle vernici colorate e trasparenti, le quali fanno risaltare la bellezza del marezzato.

961. Calamita artificiale. — Si comunica all’acciajo la virtù magnetica sospendendone verticalmente una lamina lunga 6 pollici, e larga un pollice o circa. Quanto più rimane in tale posizione, tanto maggiore è la facoltà attraente ch’esso acquista.

Avvi però un mezzo ancora più pronto per ottenere il medesimo effetto. Poni un pezzo d’acciajo sopra un’incudine ben pulita; stropiccialo per lo lungo e sempre nella medesima direzione con una grossa verga di ferro verticale, la cui estremità inferiore sia arrotondata e liscia; e ripeti più volte l’operazione sopra tutti i lati dell’acciajo che vuoi calamitare. Ciò riesce molto meglio allorchè il pezzo di ferro o d’acciajo, che hai sottoposto all’esperimento, sia posto nella direzione del meridiano magnetico, ma un po’ inclinato verso il nord, e soprattutto se giaccia fra due grosse verghe di ferro lunghe abbastanza da contenere e contrabbilanciare lo sforzo degli effluvi magnetici che s’imprimono a’ detti metalli.

962. Coppellazione dell’argento e dell’oro. — La coppella si fa con ossa ben calcinate, lavate e ridotte in pasta. Vi si mette dentro l’argento impuro, che si mischia col piombo o col bismuto, e si scalda a fuoco di riverbero: i metalli più ossidabili penetrano ne’ pori della coppella, o si volatilizzano, e l’argento, meno ossidabile, resta puro.

Si opera allo stesso modo quando si vuole purificar l’oro.

963. Modo di riconoscere se l’oro contiene della lega di platino. — Quando si ha sospetto che una massa d’oro contenga del platino, bisogna discioglierne un poco nell’acqua regia; quindi si versa in questa soluzione dell’acqua in cui siasi fatto sciogliere del sale ammoniaco. Il liquore resterà chiaro, e non formerà nessun sedimento, se l’oro non contiene punto platino; ma dove ne contenga, qualunque ne sia la quantità, l’acqua s’intorbidirà e lo lascerà precipitare.

964. Maniera di colorar l’oro. — Chi voglia, per esempio, colorare una vecchia catena d’oro, e renderla come nuova, deve pigliar dell’orina, farvi sciogliere del sale ammoniaco, e mettere la catena a bollire in questa soluzione.

Per render più cupo l’oro pallido, piglia del verderame, versavi sopra dell’aceto, rimescola ben bene, bagnane il tuo oro, e, dopo averlo fatto scaldare al fuoco, tuffalo nell’orina.

Anche si colorisce l’oro, pigliando una ciocca di capelli della grossezza d’un dito, che si abbrucia sui carboni ardenti, tenendovi sopra l’oro colle pinzette, in modo che esso ne riceva il fumo.

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