§ IV. Giuochi di conversazione .

1058. Mosca cieca seduta. — Per fare il giuoco di mosca cieca seduta la brigata si dispone in circolo, sedendo su seggiole assai vicine le une alle altre. Colui che la sorte ha scelto, o che ha volontariamente accettato l’incarico di mosca cieca riceve la fascia della sua carica, cioè un fazzoletto bianco, che gli vien posto sugli occhi da una donna, se la mosca cieca è un uomo, e da un uomo, se una donna è incaricata di questa penosa parte.

Quando si è ben accertati che la mosca cieca non può vedere gli oggetti che la circondano, ognuno cambia rapida-mente di posto, affinchè la sua stessa memoria non possa ajutarla, se anche volesse valersene. Allora ella si avvicina al circolo senza tastare colle mani, cosa che le è proibita; si pone a sedere sulle ginocchia del primo che incontra, senza mai porre le sue mani nè su le vesti, nè sopra alcuna parte del corpo di quello, e soltanto col tatto che può avere premendo leggiermente la seggiola vivente che la porta, oppure coll’ascoltare gli scoppi di ridere rattenuti, è obbligata di dire il nome di quello o di quella sopra cui si trova a sedere, e nel caso che non ne sapesse il nome, di descriver l’una o l’altro in maniera da farli riconoscere.

Se la mosca cieca indovina bene, la persona indovinata prende il posto di lei, riceve la stessa fascia, e fa le stesse ricerche: al contrario, se essa s’inganna, la conversazione batte le mani per avvertirla del suo sbaglio, ed essa passa su le ginocchia d’altra persona, dove fa gli stessi tentativi; e così di seguito finchè abbia adempite le condizioni impostele, che sono di non lasciar la benda, o fascia di mosca cieca , che quando può consegnarla ad un’altra persona, dopo averla conosciuta coi mezzi soli permessi dal giuoco.

Talvolta la conversazione, per impedire alla mosca cieca di conoscere troppo presto la persona, si fa lecite alcune maliziette che prolungano il giuoco: per esempio, alcuni stendono sulle loro ginocchia la gonnella della vicina; le donne vestite di seta evitano lo strofinamento di questo indiscreto tessuto, cuoprendosi di altri panni; ognuno in somma cerca di nascondere il proprio sesso e le proprie forme.

1059. Mosca cieca all’ombre. — Si stende su d’un paravento molto alto un lenzuolo candido e finissimo, come si usa per la lanterna magica. In questo giuoco la mosca cieca non ha gli occhi bendati, ma pure abbisogna d’una grande penetrazione. Essa è collocata sopra uno sgabellello basso, perchè la sua ombra medesima non faccia confusione e ostacolo al moto delle altre ombre, che sono per disegnarsi sul lino stesso avanti a’ suoi occhi. A qualche distanza di dietro a lui si pone una sola candela accesa, ed ogni altro lume s’estingue.

Terminato quest’apparecchio, le persone della conversazione formano una specie di processione, e passano in fila. l’una dietro all’altra, fra la mosca cieca, a cui è rigorosamente vietato di volgere la lesta, e la tavola dove è la candela. Ciò produce l’effetto aspettato: i raggi del lume intercettati da ognuna delle persone che vanno passandogli davanti, producono naturalmente sul lenzuolo bianco un seguito d’ombre assai regolari, e quali le avrebbe potute eseguire un pittore chinese.

Di mano in mano che queste ombre passano davanti alla mosca cieca, questa deve nominare ad alta voce la persona alla quale essa suppone che questo ritratto d’ombra possa appartenere; e gli errori nei quali essa cade danno luogo fra la scherzevole brigata a scoppi di risa più o meno prolungati, secondo che l’errore sembra più o meno singolare.

V’immaginerete bene, o signori, che ognuno avrà procurato, prima di passar davanti al lume, di trasformare la sua figura, il suo portamento in guisa da non poter essere riconosciuto; chi si pone una veste in capo, chi si forma il gobbo, chi si mette un cappellaccio, ecc.

Si esige un pegno da ogni nuova mosca cieca di mano in mano che essa è indovinata.

1060. Il giuoco armonico. — II fondamento di questo giuoco si è di trovare una cosa nascosta col solo avvertimento che si dà per mezzo di suoni or gravi, or acuti, or veloci, or lenti di un pianoforte, d’un violino, o d’una chitarra.

Si immaginano delle singolari condizioni, che fa d’uopo quasi indovinare. Spesso si tratta di dover snodare un nastro, di presentare un fiore a una persona, o di baciarle la mano, infine di eseguire una cosa sovente assai complicata e preventivamente concertata; laonde fa d’uopo di molta sagacità e vivacità di spirito. Il dolce o il forte, l’andante o l’allegro, servono di guida a colui che cerca d’indovinare l’intenzione della brigata. Il virtuoso incaricato della cura di condurlo, o scorrendo sui tasti del pianoforte, o facendo vibrare le sonore corde del violino, deve ben seguire tutti i suoi passi, e saper passare dal pianissimo al fortissimo, e dall’adagio al moto più vivace, per indicargli s’ei s’allontana o si avvicina allo scopo.

1060. I pilastri. — Il giuoco de’ pilastri consiste nel collocarsi in circolo a due a due, in guisa che ogni cavaliere abbia una dama davanti a sè; ed ecco ciò che si è convenuto di chiamar pilastro, i quali pilastri devono essere a una sufficiente distanza gli uni dagli altri, perchè vi possa passare framezzo una persona.

Si richiede che la compagnia sia in numero pari: giacchè una volta formati i pilastri si scelgono due persone, che debbono correr l’una dietro l’altra. Quella che corre innanzi ha il diritto di traversare per ogni verso i pilastri: quella che corre dietro alla prima non può che camminare attorno al circolo.

Quando la persona che corre innanzi, e che deve evitare d’esser presa per non essere obbligata a far la parte di quella che la segue, vuole riposarsi, ella si ferma davanti ad uno dei pilastri, qual più le piace, nell’interno del circolo. Allora si trova un pilastro composto di tre giuocatori, il che non potendo stare, conviene che quegli, il quale si trova il terzo componente del pilastro all’esterno del circolo, subito fugga per iscansare d’essere preso. Chè se è preso, è obbligato di mettersi a seguitare quello che corre, il quale se lo lascia camminare di dietro, oppure, se più gli piace, entra immediatamente nel circolo, e si colloca dinanzi ad un pilastro. Ciò produce sull’istante un nuovo corridore obbligato a fuggirsene come il primo.

Questa descrizione mostra che il numero tre è sbandito da questo giuoco. Quegli che si vorrebbe costringere a formare questo numero proscritto, ponendosi alcuno dinanzi al suo pilastro, è forzato ad abbandonare il suo posto: ma in compenso egli può sul momento forzare un altro a cedergli il suo, collocandosi egli pure dinanzi a un altro pilastro: ed è ciò che forma la varietà e il piacere di questo giuoco, in cui il movimento eccita l’allegria, se i giuocatori hanno alquanto di agilità e di destrezza.

1062. Far volare il cotone. — Si prende un fiocchetto di cotone, e si getta in aria in mezzo al circolo, soffiando ed invitando a soffiare a misura che il cotone si avvicina a qualcheduno di noi. Quegli, o quella che soffia male, e che se lo lascia cader addosso, mette un pegno.

Niente di più piacevole, che vedere dieci o dodici persone colla faccia voltata in su, soffiando ognuna con tutto il fiato questo fiocco, per ispingerlo verso i suoi vicini, perchè quegli sul quale cade deve dare un pegno.

1063. Giuoco delle fettucce. — Stando la conversazione seduta in circolo, ogni persona prende una fettuccia o nastro, e ne tiene un capo; gli altri capi sono tutti riuniti nella mano di quello che fa fare il giuoco, e che per conseguenza si trova nel centro del circolo. Quando se gli sente dire: tirate, bisogna allentare, e quando dice: allentate bisogna tirare. È incredibile quanti pegni faccia dare questo giuoco.

1064. Il fischietto. — La conversazione forma un cerchio perfetto, tutti seduti, ed uno ritto nel mezzo. Si prende una chiave femmina, ed allorquando non si è osservati si fa fischiare, ma con somma celerità; dopo fischiato si passa la chiave in mano di qualcun altro che sia vicino, e quello pure, se non ha tempo di fischiare, la passerà ad un altro, finchè giunga a quella persona che non è osservata da chi è ritto nel mezzo del circolo, acciò possa farla fischiare di nuovo, indi passarla ad un altro. Se uno non è pronto a passar la chiave, e che vien sorpreso con la medesima in mano, mette pegno e prende il posto del mezzo. Bisogna che tutta la società sia sempre in moto, fingendo di passarsi la chiave, per ingannare quello che la cerca.

1065. Il mazzetto di fiori. — Ciascuna persona della conversazione prende, per far questo giuoco, il nome d’un fiore, ed un’altra persona, che è la giardiniera, compone di tali fiori un mazzo, e poi dice : Un mazzetto vo’ far io, per donare a l’amor mio: mi manca un fiore. Le vien risposto: Che fiore vi manca? Riprende, per esempio: La viola. Quegli, o quella, che ha preso il nome della viola, deve rispondere subito: La vio la non vi manca, ma sibbene il giglio, o altro fiore che gli verrà nella mente; e se per dimenticanza o trascuratezza non risponde subito, o nomina un fiore che non sia nel mazzo, dà un pegno.

La giardiniera stessa è sottoposta anch’essa alla perdita del pegno; perchè se un fiore darà la colpa a lei, e che essa non risponda subito, o nomini un fiore che non sia nel mazzo, perde come gli altri.

1066. La frase indefinita. — Questo giuoco consiste nell’aggiunger sempre parole ad una frase, per prolungarla ognor più. Ecco un’idea del come ognuno deve ripetere una frase proposta.

Vi vendo la chiave del giardino del re.

Vi vendo la corda, che sia attaccata alla chiave del giardino del re.

Vi vendo il sorcio, che ha rosicata la corda, che sta attaccata alla chiave del giardino del re.

Vi vendo il gatto, che ha mangiato il sorcio, che ha rosicata la corda, che sta attaccata alla chiave del giardino del re.

Vi vendo il cane, che ha ammazzato il gatto, che ha mangiato il sorcio, che ha rosicata la corda, che sta attaccata alla chiave del giardino del re.

Questa filastrocca si può prolungare finchè la memoria ne somministri i mezzi, aggiungendovi tutto quello che può convenirvi, come, per esempio: Il bastone che ha percosso il cane. Il fuoco che ha bruciato il bastone. L’acqua che ha spento il fuoco. Il secchio che ha portata l’acqua da spegnere il fuoco, ecc.

1067. La berlina. — Il giuoco della berlina unisce il merito dei giuochi di memoria a quello de’ giuochi d’ingegno.

La persona che raccoglie i voti ha bisogno di molta memoria, per ricordarsi tutte le accuse; e quelli che danno i voti li danno male se non hanno l’abitudine, o il talento opportuno per fare questo giuoco. Eccone la maniera:

Le persone che compongono la brigata si collocano in semicircolo da un lato della sala, come stanno collocati i giudici sul loro tribunale; dall’altro lato sta l’amico colpevole, seduto su d’una seggiola o su di uno sgabelletto.

L’amico colpevole si leva a sorte, se non si trovi alcuno abbastanza compiacente per volerlo accettare di propria volontà.

Il giuocatore, che fa la parte d’accusatore, interroga tutta la società dicendo : Illustrissimi giudici, sapete voi perchè l’amico (se ne dice il nome) sia alla berlina? Allora si fa un profondo silenzio, e ognuno de’ giudici dice piano all’accusatore, perchè egli pensi che l’amico colpevole sia alla berlina.

Dopo aver raccolti i voti, l’accusatore s’avanza, verso l’a mico colpevole, e gli espone le accuse che gli si sono addotte, le une in seguito alle altre. L’amico colpevole sceglie quella che più gli piace, ed allora chi ha raccolto le accuse deve nominare la persona che ha data quella che è stata scelta dal reo, e questa dovrà occupare il suo posto, dopo di aver messo un pegno.

La consuetudine di far questo giuoco può sola darne gli ornamenti. Esso esige una grande circospezione, per non offendere l’amor proprio della persona che è alla berlina. A raggiungere questo scopo bisogna considerare l’età, il sesso, le qualità esterne, e quelle di spirito dell’amico colpevole. Se si dice un complimento, conviene guardarsi di non lo far cadere sopra qualità che la persona a cui si dirige non abbia: oppure che non sia troppo esagerato, poichè in tal caso sarebbe un’ironia. Se si dice una piacevolezza, conviene osservare che essa non prenda di mira un ridicolo troppo visibile, o alcun difetto fisico, perchè in tal caso sarebbe una dispiacevolezza. Generalmente il vero spirito consiste nell’evitare in questo giuoco tutti gli eccessi, e nell’osservare rigorosamente le convenienze. Quando, per esempio, la parte di accusato fosse sostenuta da un giovane cui si vuol rimproverare la sua vanità, ditegli ch’egli è alla berlina per aver rubato le penne al pavone, o per aver appannato il vetro del suo specchio. Se, al contrario, si brama di lodare la sua modestia e i suoi talenti, ditegli, che vi è, ond’essere forzato d’ascoltare il suo elogio.

Nulla però vi ha di sì malagevole, come il proporre in esempio delle frasi, che mille circostanze possono far variare.

Questo giuoco, che eseguito da persone di uno spirito delicato può riuscire piacevolissimo, può diventare altresì disgustosissimo, se è giuocato senza riguardi all’amor proprio; e quindi può terminare coll’eccitare delle animosità.

1068. L’arringa. — Una persona, a cui non siano per mancare le parole, prende a far un’arringa, destinando che altre due o tre persone, secondochè la conversazione sarà più o meno numerosa, ripetano ad alta voce tutte le parole che termineranno in are; altre due o tre ripetano quelle che termineranno in ere; altrettante quelle in ire, e cosi quelle in ore, e in ure. Quando alcuna di queste persone non stia abbastanza attenta, e si dimentichi di ripetere la rispettiva sua parola, le altre che l’avranno pronunziata hanno il diritto d’accusarla e di farle dare un pegno.

Perchè il giuoco riesca più piacevole, sarà bene che le persone che devono ripetere insieme la stessa parola siano separate, e sedute lontane le une dall’altre; altrimenti anche chi stasse poco attento alle parole dell’oratore, potrebbe ripetere le parole che gli toccano, quando se le sentisse pronunziate nelle orecchie dal suo vicino.

1069. Il segretario. — Per eseguire questo giuoco, la conversazione si colloca attorno a una tavola, la quale dovrà essere fornita di tutto l’occorrente per iscrivere.

La persona che fa fare il giuoco, e che per conseguenza avrà la carica di segretario, taglia tanti mezzi fogli di carta, quanti giuocatori vi sono, e ne distribuisce uno per ciascheduno. Ognuno, di questi scrive poi il proprio nome e cognome in capo al suo mezzo foglio; il che fatto, il segretario li ritira tutti, li piega e li mischia insieme. Dopo di ciò ciascuno ne prende uno a caso, sul quale scrive liberamente quello che egli pensa della persona il cui nome trovasi scritto in testa a questo foglio. Finito che abbia lo piega di nuovo, lo ritorna al segretario, e questi lo mischia cogli altri già fatti.

Finita che tutti abbiano questa operazione, il segretario legge forte a tutta la conversazione il contenuto de’ fogli, procurando però che nessuno possa scoprire neppure il carattere.

Finita la lettura, si bruciano tutti i mezzi fogli di carta.

Questo giuoco dovrà essere praticato fra persone che siano assai strette insieme da rapporti confidenziali, e richiede sempre una grande civiltà nello stendere la propria opinione, ed un gusto il più delicato per non introdurre mai nessuna proposizione che possa offendere.

1070. Le rime. — La difficoltà di questo giuoco Io rende nello stesso tempo interessante e piacevole. Esso esige tanta attenzione, quanta vivacità, per cogliere sollecitamente il rapporto degli oggetti, e le convenienze relative alle persone, a fine di dare giuste risposte a interrogazioni imbarazzanti. Ecco le regole di questo giuoco.

Dopo che i giuocatori saranno seduti, e disposti nell’ordine di una dama e un cavaliere, il primo (è indifferente che sia un uomo o una donna) dà principio al giuoco, facendo un’interrogazione alla persona che sta alla sua destra; e questa persona le deve risponder subito, osservando che la prima parola della sua risposta deve esattamente rimare coll’ultima parola della dimanda che le è stata fatta, altrimenti dovrebbe dare un pegno, nella stessa maniera che se ripetesse una rima già usata. Parimente è indispensabile di alternare le rime, vale a dire, che dopo un’interrogazione, la cui parte che deve rimare sia maschile, bisogna farne una colla terminazione femminile. E se a ciò si manca si dà un pegno. Del resto si può interrogare in quella maniera che più piace, e il giuocatore che avrà risposto convenevolmente e in un senso giusto, sia seriamente o in una maniera piacevole e burlesca, interroga egli pure la persona che sta alla sua destra nella maniera che più gli piace. E in questa guisa faranno anche tutti gli altri.

Esempio.

Il primo, ch’io suppongo essere un cavaliere, dice alla sua vicina: Vicina mia, siete mai stata a Citera? La vicina, che deve rimare con Citera, risponderà: La primavera scorsa io vi andai. Quindi ella pure si dirige al cavaliere, il quale si trova alla sua destra, e gli dice: Lo debbo credere? siete accusato di fuggir l’amore! Il cavaliere risponde: Il m io cuore smentisce quest’accusa. Poscia egli dice alla seconda dama: Vicina mia (oppure signora), dove avete messo quella rosa? Risponde la dama : L’ho nascosa alla rapacità de’giovani indiscreti. Essa poi chiede al terzo cavaliere: Sapete voi, come i ladri si dividano fra loro il bottino? Il cavaliere dice: Un malandrino fa tante porzioni eguali, poi si cava a sorte un nome e una porzione. Questi dimanda alla terza dama: Andate mai a diporto per la foresta? La dama risponde: Qualche festa mia madre mi vi conduce. Questa terza dama interroga il quarto cavaliere: Il vostro passo è veloce o tardo? Il cavaliere dice: Io ardo: il passo lento è quello dei filosofi e degli amanti; il correre è dei pazzi e de’ mercanti. Finalmente questo quarto cavaliere dimanda alla quarta dama: Perchè mai avete fatta una voce così rauca?

A questa parola, che non so se abbia alcuna rima, che possa quasi spontanea correre in mente a chi deve immediatamente rispondere, la dama, esitando, e non trovando con che cavarsi d’imbarazzo, verrà invitata a dare un pegno: dopo aver depositato il quale, ella si dirige al cavaliere che la segue, e continua con lui il giuoco, la cui acutezza consiste, come si vede, nel terminare le dimande con rime difficili a rinvenirsi.

1071. I complimenti. — Si dispone la brigata in cir-colo, come in tutti gli altri giuochi, in guisa però che le dame siano fra due cavalieri, come ogni cavaliere fra due dame.

Poscia, se un uomo è il primo a cominciare, egli deve dire: Desidererei d’essere il tale, o tale altro animale, come, per esempio, un’aquila. Volgendosi quindi alla dama, che sta alla sinistra, le dimanda: Sapete perchè? La dama deve dargli una risposta relativa alla natura dell’animale nominato, altrimenti essa darà un pegno; ma non deve fare complimento alcuno, perchè questo è poi obbligo di quella che è dall’altra parte del cavaliere interrogatore. Così, supponendo che la persona abbia risposto semplicemente: Perchè avreste come l’aquila la vista acuta, l’interrogatore si dirigerà alla dama collocata alla sua destra, e le chiederà: Che vantaggio ne risentirei poi mai? Questa, dovendo fare un complimento, potrebbe rispondere: Potreste leggere sopra tutte le fisonomie la stima che ispirate, e che sta impressa nei cuori di tutti quelli che vi conoscono.

Da questa prima risposta si può conchiudere, che se un complimento non è meritato, almeno diventa un avviso di rendersene degno, e che questo giuoco ha perciò, come molti altri, uno scopo utile.

Se la seconda dama non avrà risposto, come deve, con un complimento, darà un pegno. Toccando poi a lei di desiderare, essa parimente esprimerà una sua brama, e per imbarazzare il cavaliere che le deve risponder con un complimento, essa può a bello studio scegliere un qualche animale ributtante, quale sarebbe il ragno, che non presenta alcun punto da ricavarne una applicazione piacevole e lusinghiera. Essa dunque potrà dire: Vorrei essere come il ragno; e chiederà al cavaliere che si trova alla sinistra: Indovinate il perchè. Si supponga che il cavaliere abbia risposto: Perchè come esso voi vivreste del vostro lavoro. Dopo ella chiederà al cavaliere che è alla sua destra: Qual vantaggio ne risentirei io?Quello, risponderà il galante cavaliere, di eccitare, mediante la leggierezza del tessuto della vostra tela, tanta gelosia ai Fiamminghi fabbricatori di pizzi, o agli Inglesi, quanta Aracne ne eccitò altra volta alla Dea Pallade.

Vinta una tale difficoltà, questo giuoco non può non riportare i suffragi della conversazione.

1072. Le domande e le risposte. — Questo giuoco ha il vantaggio di procurare a tutti il piacere di fare, uno per volta, delle dimande e delle risposte, che diversificano all’infinito.

Bisogna che vi siano tante dimande quante risposte, e che ogni dimanda ed ogni risposta sia scritta in una cartina separata. Le dimande si danno ad un uomo, e le risposte a una donna.

Le cartine debbono essere rimescolate ed estratte l’una dopo l’altra, sì per le dimande che per le risposte, e senza sceglierle. Le persone che tengono queste cartine, possono anzi mischiarle ogni volta che debbono estrarne una, per far vedere che le dimande e le risposte si fanno senza preparazione, e sono, sì le une che le altre, prese soltanto a caso.

Ecco un esempio di domande e risposte:

Domanda. Vi piace di giuocare?

Risposta. Dalla mattina alla sera.

D. Siete amante?

R. Molto.

D. Siete obbligante?

R. Assai.

D. Amate la musica?

R. Con trasporto.

D. Siete fedele?

R. Secondo l’occasione.

D. Vi piace d’esser pregata?

R. Infinitamente sull’erba.

D. Avete de’ capricci?

R. Rare volte.

D. Amate di trovarvi da sola a solo?

R. Sì, in mezzo ad un boschetto.

D. Vi piace la galanteria?

R. Certamente.

D. Godete che si ammirino le vostre bellezze?

R. Ogni sera coricandomi.

D. Vi piace divertirvi?

R. Accostatevi, e ve lo dirò.

D. Siete riconoscente?

R. Non v’ha dubbio.

D. Amate il mistero?

R. È la cosa ch’io amo più.

D. Amate l’ombra?

R. Sì, nel giardino.

D. Siete esigente?

R. Una volta al giorno.

D. Fate all’amore?

R. Questo è ciò che non dirò mai.

1073. Il cencio molle. — A chi vuol fare questo giuoco è necessario rendersi oltremodo ridicolo, per promuovere le risa della brigata; poscia con un lume nella mano sinistra ed un fazzoletto bianco bagnato in una cocca nell’altra e penzolone si presenta ad una persona della conversazione, e le dice: Il cencio molle è venuto a riverirvi: se voi piangerete, se voi riderete, il cencio molle nel muso avrete. La persona che riceve questo saluto deve rispondere senza ridere: Io non riderò, io non piangerò, nè il cencio molle nel muso avrò.

Se la ridicolezza del vestiario del capo-giuoco. e le smorfie ch’ei fa, costringono alle risa la persona riverita, questa riceve il cencio molle nel viso e mette un pegno: lo stesso si fa cogli altri.

1074. I due significati. — Allorchè si vuol fare questo giuoco, uno dei componenti la società si ritira in una stanza attigua, e gli altri rimasti nella sala scelgono una parola che abbia due significati sostantivi, come per esempio Nottola uccello, e Nottola di legno. — Merlo uccello, e Merlo di torre. — Stagno di acqua, e Stagno metallo. — Cane animale, e Cane del fucile. — Becco degli uccelli, e Becco maschio della capra. — Braccio dell’uomo, e Braccio misura, ecc.

Quando si è scelta la parola, si chiama colui che si è ritirato nella attigua stanza; e questi allora domanda a tutti, uno dopo l’altro, dov’è la cosa pensata: e ricevuta la risposta, domanda cosa ne farebbero. Allora la persona interrogata deve rispondere quello che più le aggrada: ma deve farlo con molta accortezza, perchè non si scuopra il mistero. Avvertite che le risposte si possono dare relativamente a qualunque dei due significati che più ci va a genio. Quando l’interrogatore ha terminato il giro, s’ei non ha indovinato la parola misteriosa, mette un pegno, e si ricomincia il giuoco, mandando un’altra persona fuori della sala, e scegliendo un’altra parola.

1075. Gli sposi. — Per fare questo giuoco bisogna separare gli uomini dalle donne; fatto questo, il capo-giuoco prende un pezzo di foglio, e vi scrive il nome di tutti gli uomini. Quindi andando da tutte le donne, una dopo l’altra, domanda loro all’orecchio chi desiderano scegliere per compagno fra coloro che formano la società. Appena la donna gli ha detto il nome del fortunato cavaliere, il capo-giuoco ne prende nota per non dimenticarselo, e continua le suo interrogazioni. Nel caso che una dama scegliesse un cavaliere già scelto da altra, il capo-giuoco la deve avvisare, acciò essa ne scelga un altro.

Allorchè il capo-giuoco ha terminato le sue domande, egli ordina ad ogni uomo, uno per volta, di andare ad offrire la mano alla donna che crede possa averlo scelto. Il cavaliere si alza, si presenta alla dama, e dice: Son io il fortunato mortale che ha l’onore di offrirvi la mano ed inseme il cuore. Se egli si è diretto veramente alla dama che lo ha scelto, questa gli porge la sua destra, e gli risponde: Accetto l’una e l’altro, ed in contraccambio prendete la mia mano.

Allora il cavaliere riceve la destra della dama, fanno insieme un giro di walzer, e quindi egli la conduce al suo posto e le si mette a sedere accanto. Se al contrario sbaglia, la dama risponde : Non posso ricevere nè l’una nè l’altro, o signore, perchè altro oggetto ha scelto il mio cuore. Il cavaliere e la dama si fanno allora un profondo inchino, ed egli va ad offrire la mano ad un’altra dama, finchè non ha trovato la sua.

Il numero degli uomini deve oltrepassare almeno di uno quello delle donne; e perciò alla fine del giuoco si trova un cavaliere senza sposa; il che desta le risa della conversazione. Il rifiutato dovrà inoltre mettere un pegno per pena della sua disgrazia.

Fatto che abbiano il giro gli uomini, si può ricominciare il giuoco facendolo fare alle signore nella stessa guisa; ma in questo caso sono le donne che debbono essere in maggior numero che gli uomini.

1076. Il mercante di animali. — In questo giuoco uno della conversazione fa da mercante, ed un altro si incarica della parte di compratore. Dopo ciò tutti i componenti la società prendono il nome di un animale qualunque, del quale devono imitare la voce o il canto. Allora il compratore ed il venditore incominciano un dialogo relativo ai loro affari; ed ogni volta che essi nominano un animale, la persona che ne fa la parte deve fare il verso dell’animale nominato. Se sentiranno nominare il mercante, tutti gli animali insieme faranno il proprio grido; e se si nominerà il compratore, tutti si alzeranno in piedi e subito si rimetteranno a sedere.

Questo giuoco, fatto bene, diverte assai: ma bisogna che il mercante ed il compratore siano molto loquaci, ed abbiano cura di rammentare sollecitamente diversi animali in un tempo, e rammentare i loro nomi di mercante o di compratore per imbrogliare la brigata, e far pagare il pegno a quelli che non risponderanno in tempo, o male, o che staranno zitti.

1077. La berlina muta. — Ordinariamente è questo il primo giuoco che si eseguisce nelle conversazioni: consiste nel dare una chiave ad una persona, e dirle piano in un orecchio, che la porti ad un’altra, distinguendo questa con un epiteto favorevole, o sfavorevole: per esempio: alla più garbata, al più superbo, al più galante, alla più infingarda, ecc., non omettendo qualche soprannome ridicolo, purchè non sia offensivo, affinchè diverta la conversazione.

Colui che riceve la commissione, è obbligato di portare la chiave a quegli cui crede si possa applicare l’epiteto suggeritogli, e consegnandogliela gli dirà egualmente all’orecchio che la porti ad un’altra distinguendo questo o questa, secondo il solito, con un epiteto od un soprannome. Così continua il giuoco finchè si crede opportuno, o per dir meglio finchè tutta le conversazione non ha ricevuto ed eseguito la commissione. Poscia si scioglie nella seguente maniera. Quegli che ha ricevuta la chiave la prima volta dice: Mi è stata data questa chiave perchè la portassi alla più pazza (supponiamo che sia questo il soprannome suggeritogli).

Adesso bisogna avvertire, che ciascuno, nominando la persona a cui ha portato la chiave, deve fare una considerazione onde procurare di emendare per quanto è possibile il torto che si può avere nell’applicare arbitrariamente uno sfavorevole epiteto; e questa considerazione fa conoscere chi ha maggior sagacità e prontezza di spirito nel disimpegnarsi di questa incombenza. Per esempio nel caso suddetto, la persona che consegnasse la chiave alla più pazza potrebbe dire: «Considerando che quasi tutte le persone dotate di sommi talenti e di vasto ingegno hanno pure trasceso in opere che le han fatte stimare dal volgo siccome pazze, perciò ho creduto potermi uniformare a questo pregiudizio distinguendo con tale epiteto una persona di tanto merito come è la signora N.»

Dal riferito esempio ognuno conosce che è necessario scusarsi meglio che sia possibile con felicità d’espressione per mezzo di tali considerazioni.

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