483. Apparato economico per la distillazione. — Il lambicco è della forma ordinaria, soltanto differisce dagli altri per ciò, che dal refrigeratore si eleva un tubo nel quale è collocata una valvola, e al di sopra di essa vi è una tromba pneumatica. Alla sommità del corpo del lambicco havvi un foro convenevole che si chiude con un turacciolo a vite, e che serve per introdurre il liquido. Tutto l’apparato del lambicco dev’essere chiuso ermeticamente; mediante la tromba se ne deve estrarre l’aria per quanto è possibile, e poscia devesi chiudere colla valvola posta sotto di essa. La cosa principale che si avrà in mira nel fabbricare questa sorta di lambicco, si è quella di dare al liquido che si vuoi distillare una grande superficie.
Il tubo, per dove esce lo spirito, deve finire in vetro, acciò da questo punto si osservi quando sia terminata la distillazione.
Il corpo del lambicco deve poggiare in recipiente pieno di acqua, in modo che la distillazione si faccia a bagno-maria, vale a dire a moderata temperatura.
Prima di cominciare l’operazione se n’estrae l’aria, come si è detto, perciocchè la pressione di questa è quella che esige un calore più elevato, come accade per gli altri lambicchi.
I vantaggi di quest’apparato sono molti; imperocchè il lambicco non è soggetto a distruzione; non vi è perdita alcuna di spirito, essendo chiuso ermeticamente; non acquista sentore empireumatico, stante che si fa a lento calore; ed havvi economia del combustibile. Se si distillino materie, queste non abbruciano, e non vi è bisogno di bagnarle attesa la bassa temperatura.
484. Istruzioni per la distillazione con lambicchi ordinarii. — La quantità del liquido che si vuole sottoporre alla distillazione, dipende dalla grandezza della caldaja. Devesi però osservare che quanto più grande sarà la superficie libera del liquido, tanto più rapidamente ne seguirà la distillazione, la quale, come ognun sa, si opera per evaporazione, e questa non ha luogo che sulla superficie. Quanto più poi la distillazione sarà lunga più colorato ne uscirà lo spirito, e contrarrà cattivo sapore.
Durante la distillazione, il liquido bolle fortemente nella caldaja ed occupa una spazio maggiore; talchè, se è troppo piena, le bolle s’innalzano sopra alla caldaja, e perciò conviene lasciare 7 od 8 pollici di vuoto. Quando si è messo la giusta quantità di liquido nella caldaja. si deve chiuder questa ermeticamente lutandone altresì ogni foro. Se trattasi di vino nuovo, esso richiede maggior spazio fra la sua superficie ed il collo del lambicco, sì perchè contiene assai più quantità d’aria che il vino vecchio, e sì perchè le bolle ne sono in conseguenza più copiose.
In alcuni paesi non si suol coprire la caldaja col suo cappello, se non allorchè il vino comincia a bollire. Quest’uso è censurabile; poichè è bensì vero che fino a quel punto la parte che si svapora è quasi tutta flemma e si sviluppa ancora una grandissima quantità d’aria; ma quest’aria e questa flemma strascinano pur seco molto spirito.
Tosto che la caldaja è chiusa, importa più che mai di porre nel fornello legna di facile combustione, a fine d’eccitare prontamente un gran fuoco: trascurando quest’avvertenza, o moderando il fuoco soverchiamente non si otterrebbe quasi altro che flemma, e la parte spiritosa si combinerebbe a ciò che rimane nella caldaja.
Dato che siasi il fuoco sotto alla caldaja, ed anche prima, si adatta e si luta il rostro del cappello al serpentino, e si riempie d’acqua il recipiente in cui posa il serpentino suddetto, il quale deve terminare nel vaso destinato a ricevere lo spirito che sta per isgocciolare. È necessario tener ben vivo il fuoco finchè il vapore, che esce dal vino e che sale al fondo del cappello, cominci ad entrare nel serpentino, e stia per colare; il che si riconosce applicando la mano al punto ove il serpentino si congegna col becco del cappello: il calore che ivi si sente, annunzia che è già passata sufficiente quantità di vapori.
Alle legna secche e minute si supplisce allora con legna grosse, quante ne possono bastare per tutta l’operazione, procurando che entri nel fornello una corrente d’aria che mantenga il fuoco sempre acceso. Consumate che sieno le legna e ridotte in brace, si chiude il fornello per conservar tutto il calorico sotto alla caldaja.
Ne’ primi momenti della distillazione, esce dal becco inferiore del serpentino una gran quantità d’aria, poi della flemma un poco impregnata di spirito, e finalmente lo spirito o acquavite. Se il filo che si presenta è molto considerevole, bisogna diminuire il fuoco; se è troppo debole, rinforzarlo o con aggiungervi altra legna o con disporre in miglior modo quelle che già sono nel fornello. Se il fluido apparisce grosso e torbido, è segno che il vino bollente passa dalla caldaja nel serpentino; ond’è mestieri porvi subito riparo; altrimenti la forza d’espansione dei vapori e dell’aria sbalzerebbe il cappello della caldaja, e vi sarebbe gran pericolo d’appiccare il fuoco all’officina. Conviene perciò affrettarsi a bagnar con molt’acqua il cappello o, il che è meglio, gettare addirittura acqua sul fuoco.
Dopo la flemma, la prima acquavite che si presenta è dotata del maggior grado di perfezione che aver possa; e questo grado si esamina di tempo in tempo col provino o coll’aerometro.
Se vogliasi avere separatamente dell’acquavite forte, si leva il recipiente, sostituendone un altro. Per non perdere lo spirito ardente che trovasi unito alla flemma è necessaria una seconda distillazione.
A fine d’assicurarsi che non rimanga più spirito nell’acqua che continua a stillare, si riceve un tantino di essa in un vasello, e si getta sul cappello infocato della caldaja; allora, presentando una candela accesa al luogo dove questo fluido si scioglie in vapori, se manifestasi una fiammella azzurrognola è segno che vi resta dello spirito; se no, mostra che tutto è semplice flemma. Si può anche assaggiare il fluido che stilla, e l’impressione ch’esso fa sulla lingua offre una regola egualmente sicura.
Allorchè non viene più spirito, si apre la valvola fecciaja, si lascia colare il fondigliolo, e si lava con diligenza la caldaja.
Cominciata che sia la distillazione, non debb’essere interrotta; e spesse volte si continua anche durante la notte; ma in tal caso bisogna guardarsi bene d’avvicinare alcun lume al serpentino; anzi, per maggior cautela, si dovrà far uso di lampade ben chiuse ed appese in alto alle pareti dell’officina.
485. Distillazione dello spirito di vino. — Giova assaissimo tanto a’ proprietarii di convertire l’acquavite in spirito di vino, quanto a’ compratori di dare a questo la preferenza: 1.° perchè si richiede minor quantità di recipienti; 2.° sotto minor volume è contenuto maggior valore; 3.° le spese di trasporto sono meno forti; 4.° il liquore è più fine, meno acre, e più libero di qual si sia corpo straniero.
La rettificazione dell’acquavite richiede un numero di distillazioni proporzionato alla quantità di flemma in essa contenuta. I fabbricatori che cercano la perfezione, gettano nella cucurbita l’acquavite, com’essi dicono, a prova d’Olanda, e distillano a bagnomaria.
486. Distillazione a bagnomaria. — Allorchè vuoi distillare a bagnomaria, devi introdurre nella cucurbita un altro vaso di stagno, o rame stagnato, di due piedi di profondità, oppure adattarlo al disopra del medesimo cappello: questi tre pezzi insieme congegnati formano il lambicco da stillare a bagnomaria.
Si riempie d’acqua la caldaja, e vi si colloca il bagno-maria pieno d’acquavite fino al punto conveniente; poscia si copre il tutto col suo cappello unito al serpentino, e, dal momento che l’acqua comincerà a bollire, il suo calore (allora di 80 gradi) farà volatilizzare lo spirito contenuto nell’acquavite, il quale si alzerà solo o quasi solo. In tal guisa ottiensi lo spirito purissimo. Se il fluido contenuto nel bagnomaria fosse portato al medesimo grado di calore, che quello che trovasi nella caldaja, lo spirito e la flemma si alzerebbero insieme; ma il fluido circondante soffre sempre un maggior grado di calore che il corpo circondato, di qualunque natura ei si sia; laonde lo spirito si alza solo o quasi solo, poichè la flemma non potrebbe volatilizzarsi al grado dell’acqua bollente che la circonda. Lo spirito ottenuto con simile processo è meno carico d’olio essenziale di vino, che non è quello ottenuto col metodo seguente.
487. Altro metodo di distillazione. — II metodo più usitato nelle fabbriche consiste nel distillare l’acquavite a prova d’Olanda ne’ lambicchi che servirono alle prime distillazioni: la sola differenza in questa manipolazione consiste nel moderare esattamente il fuoco affinchè lo spirito salga adagio adagio e stilli in sottilissimo filo. In questo caso, il distillatore è costretto di mantenere la maggior freschezza possibile nell’acqua dei tini. Senza queste due precauzioni di somma importanza, lo spirito s’alzerebbe con troppa rapidità, farebbe rompere alcune volte il luto del cappello della caldaja, e cagionerebbe un incendio, quasi impossibile a spegnersi. Laonde si vede che l’operazione debb’esser lunghissima, e che richiede molto tempo e molta vigilanza. Egli è pur facile il comprendere quanto sia inferiore questo secondo metodo all’antecedente: col primo, cioè a bagnomaria, s’alza meno olio essenziale di vino, che è un olio acre, mordente, e che comunica le sue cattive qualità allo spirito; d’altra parte, la materia del fuoco penetra vie più il rame della caldaja, sulla quale agisce direttamente, di quel che succeda allorchè la cucurbita è immersa nell’acqua della caldaja.
488. Mezzi d’assicurarsi della purezza degli spiriti. — 1.° Poni della polvere da fucile in un cucchiajo d’argento, versavi sopra una certa quantità di spirito di vino, e appiccavi fuoco: se la polvere non s’accende, è segno che la flemma è sovrabbondante. Questa prova però è condizionale: se vi metti poca polvere e molto spirito di vino, la minima flemma non impedisce che la polvere s’infiammi; al contrario, se vi metti molta polvere e poco spirito di vino, non somministrando questa poca quantità tanta flemma che basti ad umettar tutta la polvere, ne avviene ch’essa s’accende. 2.° S’inzuppa un pezzetto di tela nello spirito di vino, e vi si dà il fuoco; se la tela s’abbrucia, mostra che lo spirito è privo di flemma quanto basta. Questo mezzo è preferibile all’altro. 3.° Ma il sistema migliore consiste nel versar lo spirito di vino sull’alcali fisso; se lo spirito non fa che inzuppar l’alcali, è segno che è puro; ma se lo scioglie, non v’ha dubbio che non contenga dell’acqua.
489. Purificazione dello spirito di vino. — Riempi sino a metà circa la caldaja d’un lambicco di rame con acquavite comune o di frutta, e versavi sopra della polvere di carbone, nella proporzione di mezz’oncia per ogni due libbre di spirito; mischia bene insieme, e quando il miscuglio siasi ben formato, fregane un po’ fra le mani, ed esamina se il cattivo odore è scomparso; in tal caso non progredirai nell’operazione. Ma se rimane ancora un cattivo odore, bisogna far uso di nuova polvere di carbone, e poi distillare.
Per procurarsi la polvere di carbone, si riduce in brace il legno di fibra debole, come quello di canape, oppure di tralci, indi si spegne ponendolo in vaso chiuso.
490. Distillazione dell’acquavite di grani. — Si ottiene l’acquavite anche da qualunque liquore in cui si facciano fermentare grani od altre sostanze farinacee. Per ottener l’acquavite di grano, si comincia prima di tutto ad eccitare il frumento, la segale o l’avena alla germinazione lasciando macerare simili grani in acqua tiepida per mezz’ora. Dopo averneli cavati, si distendono sopra stuoje per farli prosciugare. Il calore umido, onde sono penetrati, dilata tutta la loro sostanza, e i germogli spuntano da tutte le parli: allora si procede all’ultima operazione. S’infondono in tale quantità d’acqua, che vi nuotino intieramente: ben tosto ha luogo la più compiuta fermentazione; l’acqua acquista un certo sapore, e si carica del principio muco-zuccheroso contenuto ne’ grani; e l’ebullizione ed il calore annunziano il massimo periodo della fermentazione. Pervenuto che sia il liquore a questo grado, bisogna versarlo nel lambicco, e procedere allo stesso modo che si fa per la distillazione del vino, onde estrarne lo spirito ardente che vi è contenuto.
491. Distillazione economica. — La temperatura necessaria per convenire un fluido qualunque in vapore, dipende dalla pressione atmosferica sopra la sua superficie: si può quindi abbassarla dove questa pressione si diminuisca. Laonde l’acqua, non sopportando più il peso dell’aria, si convertirà in vapore ad una temperatura di sotto dell’ebullizione: e per conseguenza può esser distillata col vapore del calore ordinario.
Per produrre quest’effetto, conviene servirsi d’un vaso e d’un recipiente che comunichi con esso; renderlo perfettamente impenetrabile all’aria, e farvi passare il vapore lungo il serpentino d’un lambicco ordinario che vi s’introduce.
Si produce facilmente il vuoto, applicando il calore a questo vaso finchè il vapore si sprigioni dall’orifizio di esso e passi nel recipiente: allora si serrano le chiavi e si tira indietro il fuoco.
L’acqua che è stata distillata, viene raccolta nel recipiente, il quale a tale effetto s’ha da mantener freddo.
I prodotti di questa seconda distillazione sono eguali a quelli della prima, e si potrebbe anche aumentarli, fasciando il secondo lambicco con flanella o altra materia qualunque poco conduttrice del calorico.
Ebbenchè l’acqua di mare non entri in ebollizione ad una temperatura così bassa come l’acqua dolce, tuttavia si è trovato che la differenza è poco notabile, paragonata a quella del vapore formato sotto la pressione ordinaria o nel vuoto. Sarebbe dunque assai vantaggioso l’applicar questo processo alla distillazione dell’acqua di mare.
492. Distillazione de’ fiori senza lambicco. — Stendi sopra un boccale di terra inverniciato un pezzo di tela un po’ fina, e fermala con una funicella intorno all’orlo esterno del vaso. Avverti che questo pezzo di tela deve cadere nel vaso in forma di sacco infino alla metà dell’altezza di esso. Riempi detto sacco co’ vegetali da cui desideri estrarre l’acqua, come sarebbero fiori d’ogni specie, melarance, ecc. Indi fa scaldare il fondo d’un piatto: mettilo sui detti vegetali, e riempilo di ceneri calde od anche di carboni ardenti: allora i vegetali lasceranno gemere tutta la loro acqua, la quale cadrà nel vaso come in un lambicco.
Il tempo più favorevole per quest’operazione è quando le piante sono in succhio; a meno che si voglia distillare le radiche, le quali si devono invece cogliere quando le piante han cessato d’essere in succhio.
493. Scelta dell’acquavite. — Il sapore, innanzi tutto, è quello che deve farti risolvere nella scelta dell’acquavite; essa non deve avere nè odore nè sapore d’empireuma o di bruciato. L’acquavite bianca è da preferirsi alla gialla o di color d’ambra, come quella che deve il suo colore allo zucchero abbrustolito. Del resto conviene ricorrere all’esperimento. A tale effetto bisogna provvedersi d’una boccetta lunga quanto un dito; vi si mette l’acquavite da sperimentarsi, infino ad un terzo od alla metà della sua altezza; ed agitando la boccetta, si osservano le bolle d’aria che si formano: quanto più le saranno perlate, grosse e durevoli, tanto più l’acquavite sarà buona ed avrà forza e spirito.
Ancor più sicuro è l’aerometro o pesa-liquori; ma siccome questo strumento non è fra le mani di tutti, abbiamo additato l’esperimento della boccetta, qual mezzo da poter bastare, benchè semplicemente empirico. Ve n’ha ancora un’altro. S’intinge un pezzo di carta nell’acquavite, e così com’è, la si presenta alla fiamma d’una candela o d’una lucerna: l’acquavite prende fuoco; se è pura, non fa che lambire, per così dire, la carta; se è mescolata con acqua, l’annerisce e la brucia.
494.
Modo di far parer vecchia l’acquavite.
— Chi voglia dare all’acquavite nuova tutte le qualità d’un’ac-
quavite vecchissima, basta che ci versi dentro, per ogni bottiglia, 5 o 6 gocce d’alcali volatile, e che agiti poi ben bene il tutto. L’acquavite perde per tal mezzo l’acido che le rimaneva, e acquista il gusto e tutte le proprietà dell’acquavite più vecchia che si possa avere.
495. Acquavite d’Andaye. — Piglia un’oncia d’anice stellato soppesto; 2 once d’iride fiorentina in polvere, e le scorze tagliuzzate di due arance; poni il tutto in 6 boccali d’acquavite, che stillerai a bagnomaria; indi fa un sciroppo con tre libbre e mezzo di zucchero in due boccali e mezzo d’acqua; mescola ogni cosa, e passa per la manica d’Ippocrate: ciò fatto serberai il liquore in bottiglie.
496. Acquavite di prugne. — Togli le prugne, o susine che dir ti piaccia, nel momento che stanno per maturare, e gettale in botti nettissime, che turerai ermeticamente e metterai in cantina. Poscia, sminuzzate ed acciaccate che le abbi, le farai fermentare in un tino, avvertendo di non riempirlo intieramente, perchè la fermentazione fa sollevare la materia. Le susine da principio mandano un odor vinoso, il quale si fa più spiritoso di giorno in giorno, fino al decimo o decimoquarto, a norma della temperatura del luogo. Quest’odore contrae poi un non so che di acido, solito effetto della fermentazione il che indica il momento di mettere il residuo in un lambicco, a fine di procedere alla distillazione. Versa allora un poco d’acqua calda nella cucurbita, e mettivi poi la parte più chiara del liquore fermentato: un po’ più tardi aggiungivi il rimanente. Dimena il tutto insino al punto che il liquido cominci ad entrare in ebollizione; metti alla tua cucurbita il cappello, luta come al solito, e mantieni fuoco lento e sempre uguale. In tal modo otterrai un primo prodotto, che vuol esser rettificato co’ metodi conosciuti; e parimente serba in bottiglie il prodotto della seconda distillazione, che non la cede per niente alle migliori preparazioni di questa sorta.
Così la feccia che resta nel fondo della cucurbita, come anche l’acqua, non vanno perdute; perocchè la feccia, dopo che si è freddata, serve ad ingrassare i majali. e comunica al loro lardo un gusto gradevole; e l’acqua, feltrata per pannolino serve a fare ottimo aceto.
497. Spirito di cedro. — Piglia 12 cedri de’ più belli; levane le scorze con un coltello, cioè a dire tutta la parte gialla della buccia infino al bianco; getta queste scorze di mano in mano che le spiccherai dal frutto, in 2 boccali d’alcool perfetto; lasciale in macerazione per otto giorni in luogo temperatamente caldo ed in vaso di vetro, o di terra cotta inverniciato perfettamente chiuso: in capo a questo termine versa l’infusione in una cucurbita: adattavi il refrigerante, e stilla a bagnomaria fino a siccità; indi travasa lo spirito di cedri, che avrai ottenuto, in un’altra cucurbita; mettila in bagnomaria, adattavi il cappello ed il recipiente, lota esattamente le commessure, e stilla a fuoco lentissimo fino a tanto che abbi tratto 5/6 del tuo primo prodotto; e cosi avrai uno spirito di cedri, che terrai per alcuni giorni al sole nel matraccio medesimo, lievemente turato con carta per fargli perdere quel poco empireuma che potesse aver contratto. Da ultimo lo riporrai in bocce di cristallo chiuse perfettamente con tappi pure di cristallo smerigliati.
Allo stesso modo potrai distillare lo spirito di scorze d’arance, di limoni, ecc., avvertendo di regolare la dose delle scorze a seconda della loro fragranza. Alla medesima guisa si procede ancora per fare lo spirito di cannella, di garofani, di noce moscada, d’anici ecc., avendo cura d’acciaccar queste sostanze, prima di metterle in infusione.
498. Spirito di ginepro. — Togli sufficiente quantità di coccole di ginepro ben mature; acciaccale e mischiale con un poco di miele o di lievito di birra, e con quanto basta d’acqua, perchè ne restino coperte d’un buon dito. Lascia il tutto in macerazione, finchè abbia un odore forte o vinoso; versa allora nella cucurbita con una terza parte circa d’acqua, e distilla a fuoco aperto fino a che ciò che cade nel recipiente non abbia più forza. Qualora questo liquore abbia troppa flemma, lo distillerai ancora in un piccolo lambicco a bagnomaria. In tal modo avrai uno spirito infiammabilissimo, d’una forza penetrante senza pari. Questo liquore non è grato al gusto, ma giova molto ne’ casi d’indigestione. Invecchiando perde alquanto della sua forza, e diventa meno spiacevole.