§ I. — Preparazioni semplici delle frutta.

377. Succhi di frutta. — II succo spremuto dal ribes, dal lampone, dalle ciriege e simili, può conservarsi facendolo bollire per un buon quarto d’ora al bagnomaria, dopo averlo posto in bottiglie e chiusovelo ermeticamente. Questi succhi, aggiungendovi dello zucchero quando si vogliono adoperare, tengono luogo di sciroppi, e non apportano come questi una spesa piuttosto considerevole.

378. Polpa di frutta. — Se vuoi conservare collo stesso metodo la polpa delle frutta, come fragole, lamponi, albicocche, susine, ecc., bisogna che tu la raccolga dopo averla passata a forza per istaccio, e che la mescoli diligentemente con 2 once di zucchero in polvere per ogni libbra di polpa di frutta; indi la chiuderai in bottiglie che porrai a bagnomaria, come abbiam detto al numero precedente.

379. Gelatina di mele senza zucchero. — Le mele destinate a fare questa gelatina debbon essere perfettamente mature; per conseguenza le si preparano in marzo od in aprile. Le mele che avessero sofferto nell’inverno non sono atte a quest’uso. Anzi tutto si pestano e se ne spreme il succo allo strettojo; poi si versa sulla feccia un po’ d’acqua e si da un’ulima pressione. Il succo ne escirà torbido, ma ben presto si chiarificherà, e solo in questo stato lo si dovrà conservare. Si porrà questo succo in un recipiente adattato ad un fuoco gagliardo, e si lascerà svaporare fino a che sia ridotto alla metà, onde farne un sciroppo, ovvero ad un quarto, onde farne la gelatina: indi vi si getterà della scorza di limone a pezzetti per aromatizzarlo.

Questa gelatina ha la consistenza di quella fatta con zucchero, ma è meno limpida.

380. Melata. — Si fa d’ordinario sul finir di novembre. Vi si adoperano ogni sorta di mele, anche le meno belle e quelle punte dal tarlo. Dopo mondate, tagliate in quarti ed estrattine i semi, si pongono in una caldaja con pochissima acqua; si coprono e si espongono al fuoco per ammollirle; quando incominciano a disfarsi si versano in appositi vasi di terra, e si pongono a raffreddare in luogo fresco. La dimane si ripongono al fuoco e si ritirano come il giorno prima. Si ripongono le mele al fuoco per la terza volta, e si fanno cuocere a consistenza di marmellata. Indi si esaminerà se dopo essersi raffreddata la mela cede ancora la sua acqua, e se ciò si verifica si riporrà al fuoco la caldaja. Finalmente si versa il contenuto in vasi, che si metteranno due o tre volte al forno all’istante in cui ne venne ritirato il pane. Quest’operazione ha per iscopo di ricuocere la melata e darle una leggiera crosta, principio di sua conservazione.

Si ottiene così una marmellata eccellente e molto economica, poichè non contiene zucchero.

381. Gelatine di prugne cotte al forno. — Piglia belle prugne ben mature; togli loro il nocciolo, e falle cuocere al forno disposte su gratelle di fil di ferro, avendo però cura di ripetere tale operazione tre, quattro ed anche più volte; imperocchè per tal modo le prugne guadagneranno in materia zuccherosa, e la gelatina riescirà migliore: avverti però che il forno non sia troppo caldo; anzi 40 o 50 gradi di calore saranno sufficienti.

Fa poscia cuocere le prugne come per le marmellate, aggiungendo le mandorle d’un quarto circa dei noccioli all’istante di ritirare la caldaja dal fuoco, e aromatizza secondo il tuo gusto. Fatta così la tua gelatina, ponila in vasi: alcuni giorni dopo la troverai rammollita; allora riponi i vasi al forno, dopo che ne è stato tolto il pane, e così il calore, evaporando l’acqua, produrrà alla superficie una crosta leggiera, che varrà a conservare la tua gelatina. Nondimeno la ricoprirai come si pratica per le confetture.

382. Confetture di campagna. — Prendi del vino nuovo chiamato mosto, il più dolce che sia possibile, d’uva bianca o nera non importa; ponilo in una caldaja, e fallo bollire su fuoco bene alimentato, finchè sia ridotto a due terze parti, onde abbia una giusta consistenza e possa confettare il frutto per conservarlo.

Prendi le frutta che vuoi confettare, siano pere, mele o cotogne; falle cuocere in poc’acqua finchè si siano rammollite; indi mondale e ponile nel tuo sciroppo di vino mosto, lasciando bollire il tutto, e schiumando diligentemente fino a che la cottura sia finita; locchè conoscerai quando, ponendo un po’ di sciroppo sopra un piatto, non lo vedrai colare. Allora ritira le frutta dal fuoco e riponile in vasi.

383. Osservazioni sulla sapa o mosto cotto. — Il nome di sapa conviensi assai ad una specie di marmellata molto gustosa, che si prepara, in tutti i paesi ricchi di viti, col sugo, la polpa e la pelle delle uve non fermentate, le più mature, le più zuccherose e le più profumale. Vi si aggiungono sovente parecchie frutta, radici e aromi, ma non mai, almeno in alcune località, miele o zucchero. Queste due sostanze, che, come è noto, servono di condimento alle altre confetture, sono sostituite in alcuni luoghi dalla sostanza mucoso-zuccherina delle uve medesime, che nei paesi caldi e nelle annate asciutte, sono abbondantemente provvedute di questo principio.

Si vuole che la preparazione della sapa sia altrettanto antica che l’arte di fare il vino: essa trovasi descritta nelle prime farmacopee sotto differenti nomi. Era la confettura dei nostri primi padri, e forma ancora il gusto dei moderni. Nei luoghi sprovveduti di vigne, gli abitanti ne fanno con altre frutta, adoperando come mezzo, invece del mosto d’uva, il succo delle mele o delle pere di fresco spremuto, vale a dire il sidro dolce.

La consistenza della sapa può variare da quella d’una marmellata fino a quella d’un sciroppo. In quest’ultimo caso è facile scioglierla nell’acqua, per farne bevande dolci.

Senza enumerare qui tutti i vantaggi che possonsi ottenere dalla sapa, o mosto cotto, ci limiteremo a dire che gli elementi di cui essa è composta, sono elaborati, combinati, misti in modo da presentare i caratteri d’una squisita confettura, e da porre durante un certo tempo al sicuro dalla fermentazione la gelatina e la polpa delle frutta.

384. Scelta delle frutta per la sapa. — Se le differenti specie d’uva non convengono per farne vino, tutte però sono egualmente buone per la preparazione della sapa. Parecchie fra loro sono così abbondantemente provvedute del principio mucuso-zuccherino, che fa mestieri necessariamente di aggiungere loro delle frutta polpose, aspre, acerbe, mature o no, ed aromi in copia, per togliere la troppo sapidità; mentre altre invece esigono, secondo il clima e la stagione, l’aggiunta d’un poco di miele, di melassa o di zucchero non raffinato, onde moderare l’eccessivo acido.

L’alterazione che prova la sapa, a misura che invecchia, si è di candirsi o di liquefarsi. Nel primo caso si scioglie al tempo della vendemmia con nuovo mosto; nel secondo invece si espone alquanto al fuoco. Cosi si può ancora ripristinare la sapa, e metterla in grado di passare l’inverno.

Nelle contrade meridionali, dove d’ordinario si fa maggior quantità di sapa che altrove, le uve riconosciute più atte a questa operazione sono: il moscato bianco, quello rosso e la lugliatica.

Per cogliere l’uva destinata alla preparazione della sapa, bisogna aspettare la perfetta maturazione, e non coglierla, per quanto è possibile, se non in un tempo asciutto, e mentre il sole è ardente, avendo somma cura di sgranellarla e di mondarla, atteso che un acino guasto ed il più piccolo racimolo basterebbero ad alterare lo squisito sapore della sapa.

Allorchè, dopo la vendemmia, succedono ancora giornate asciutte e bei soli, nè v’ha di che temere per parte degli uccelli e degli insetti, sarebbe utile cosa l’approfittarne per lasciar appassire l’uva allo scoperto; nel caso contrario bisogna portarla in casa e distenderla sulla paglia. Con questo mezzo si perviene a diminuire la spesa della evaporazione, ed a tenere meno a lungo esposta all’azione del fuoco la sapa, la quale allora produce più abbondante frutto, meno colorato e d’un sapore più dolce.

La sapa non consiste già sempre nel succo d’uva reso più o meno consistente colla evaporazione: vi si fanno entrare spesso altre frutta, fra le quali le migliori sono le pere, le cotogne, le mele e da ultimo le prugne: bisogna però che queste frutta siano aspre e imperfettamente mature, per toglier loro il troppo dolcigno.

Le pere, le mele e le prugne non formano sempre la base della sapa; vi si fanno entrare fette di popone, radici zuccherose, come carote, barbabietole, ecc. Ma alla perfezione del mosto cotto non concorrono solamente la qualità delle frutta, la loro proporzione, e lo stato di maturazione in cui si trovano: il metodo che si usa per operare la loro combinazione e la loro cottura, non ha meno influenza sulla sua qualità e sul suo pregio. È dunque necessario che questa preparazione, per quanto semplice, sia fatta metodicamente.

385. Maniera di preparare la sapa. — Prendi quella quantità di uva che credi a proposito, sgranellala e ponila in una caldaja a fuoco moderato. Se non ne esce abbastanza succo, schiaccia alquanto gli acini intieri, ed accresci il fuoco, avendo cura di rimestare continuamente per favorire l’evaporazione dell’umidità. Quando la pellicola dell’uva è abbastanza cotta per potersene distaccare, ritira dal fuoco il liquore denso e ridotto per metà, ponilo a poco a poco in uno staccio di crine abbastanza fitto, e passavelo attraverso, premendo alquanto colla mano.

Riponi la marmellata così ottenuta in un apposito vaso sur un fuoco moderato, e procedi nuovamente all’evaporazione, rimestando senza interruzione, soprattutto quando s’avvicina il termine della cottura, imperocchè allora arde facilmente.

La sapa è al suo vero punto di cottura quando il colore, di vinoso che era, è divenuto d’un bruno alquanto carico; e quando lasciandone cadere sur un piatto di majolica una piccola quantità, non si spiana di troppo, e non si forma all’intorno una specie d’aureola umida. Da 100 libbre d’uva si ottengono 24 o 30 libbre di sapa.

386. Altri metodi di fare la sapa. — Prendi pere, di qualunque qualità esse siano, ma tutte prima che abbiano raggiunto la loro perfetta maturazione. Mondale, togliendo loro i gambi, le bucce ed i torsi; tagliale a fette, ed aggiungile, in proporzionata quantità, al sciroppo ottenuto dalla prima preparazione del metodo sopraccennato (num. 385). Esponi il tutto ad un fuoco moderato, e con una spatola di legno rimesta nel modo più uniforme che sia possibile. La cottura si riconosce ai medesimi segni indicati precedentemente.

Si possono cuocere le frutta anche separatamente sotto le ceneri o al forno, e aggiungerle al sciroppo dopo essere state ridotte a marmellata. In questo modo l’incorporazione si farà assai più agevolmente.

Si può fare un’altra specie di sapa: preparasi questa con uve bianche moscate, ed altre uve di pergola di squisito sapore. Si procede alla stessa guisa che per la sapa ordinaria, aggiungendovi mosto delle medesime uve, e facendo cuocere il tutto con precauzione al bagnomaria. Questa sapa è la migliore di tutte, ed è meno colorata e meno bruna di quella che si ottiene con uve nere.

Taluni preparano pure una sapa acerbetta, molto gradevole al gusto, con agresto, sgranellandolo e ponendolo a cuocere in ottimo mosto: se ne ottiene una specie di conserva comune, e con poco dispendio.

La sapa più perfetta, e perciò più gustosa, si prepara con uva scelta, diligentemente sgranellata, mondata, pigiata colle mani, e posta allo strettojo in un sacco di tela. Se ne espone una porzione al fuoco, e a misura che il liquore entra in ebullizione, vi si versa di quando in quando l’altra parte. L’evaporazione si deve spingere sino a che il liquido sia ridotto di tre quarti, il che ottenuto, vi si aggiungono le pere e le mele. Questa sapa, così spoglia della materia estrattiva della pelle e dei semi, ha il vantaggio di conservarsi più a lungo che le altre, le quali, benchè pervenute allo stesso grado di cottura, sono più soggette a deterioramento.

L’abitudine di preparare la sapa rende famigliare la conoscenza del grado di cottura a cui bisogna portarla per conservarla da un anno all’altro, ed anche due anni, secondo la natura dell’uva adoperata. Il mosto cotto, una volta pervenuto a questo grado, debb’essere versato in appositi vasi di majolica o di creta bene asciutti; e quando sono ben raffreddati, si ricoprono, dopo aver applicato alla loro superficie un pezzo di carta imbevuta d’alcool. Collocansi infine in luogo asciutto e fresco, al coperto dal sole e dalla luce.

387. Preparazione del sciroppo d’uva. — Scegli l’uva bianca più zuccherosa, ben matura, e un poco appassita sul ceppo o sulla paglia, e spremine il succo. Potrai distruggere il principio fermentabile di questo succo o mosto con uno stoppino solforoso; indi lo esporrai al fuoco in una caldaja, e lo farai evaporare agitandolo con uno schiumatojo. Quando il succo è ridotto d’un quarto, ritiralo dal fuoco, dopo averlo schiumato, e aggiungivi, sempre agitando il liquore, bianco di Spagna o creta ridotta in polvere, fino a che non v’abbia più effervescenza. Queste sostanze si combinano cogli acidi dell’uva. Allora colloca la caldaja sul fuoco, dopo aver lasciato depositare un istante il contenuto, ed aggiungivi chiare d’uova sbattute. Passa il liquore per istaccio, e fa bollire di nuovo.

Per conoscere se il sciroppo è cotto, se ne lascia cadere con un cucchiajo sopra un piatto; se la goccia cade senza spruzzare e senza dilatarsi, ovvero se, separandola in due, le parti non si ravvicinano che molto lentamente, allora si può giudicare ch’esso ha la richiesta consistenza.

Si versa in vaso di terra non verniciato, e allorchè è raffreddato intieramente si distribuisce in bottiglie, che si turano poi diligentemente e si portano in cantina. Si dovrà avvertire che una volta posto mano ad una bottiglia non la si dovrà lasciare lungo tempo così scema.

Non è possibile determinare in modo preciso la quantità di creta o bianco di Spagna necessaria all’operazione. Ve ne vuol più o meno secondo il clima, ma in ogni caso l’eccedente non potrebbe nuocere, poichè resta confuso sul feltro cogli altri sali insolubili e colle schiume.

Share on Twitter Share on Facebook