Lettera I.

PRELIMINARI.

Forlì, 17 Novembre 1874.

Mio caro Alberto ,

Se io avessi - per corruttele di governo, e contumelie di calunniatori officiosi, e quotidiane ingiurie impunemente recate dagli agenti del potere alla coscienza e alla libertà del paese - piegato mai l'animo a dubitare de' progressi civili della patria nostra, le generose proteste della pubblica onestà contro gli oltraggi, ai quali io, e i miei compagni di carcere, e voi, perchè alzaste un grido virile in nostra difesa, fummo fatti bersaglio, mi avrebbero costretto ad arrossire della mia poca fede. Se non che, io non ho mai disperato, per tristizie superstiti di decorata barbarie, de' nobili destini serbati alla civiltà dell'Italia; e le imparziali testimonianze, contrapposte dai buoni, senza distinzione di parte, alle villanie de' nostri persecutori, mostrano come pur viva nell'anima della nazione quel maschio senso del vero e del retto, che si ribella alla menzogna e all'arbitrio, e porge speranza di non lontane riparazioni alle presenti miserie.

Ma, se ci fu cara la parola di quegli amici, che, partecipi de' nostri convincimenti e consapevoli de' nostri propositi, tennero a debito il dichiararsi solidarii della nostra causa, le rimostranze di quelli, che, dissenzienti da noi ed ignari de' nostri consigli, pur desunsero dai caratteri della nostra vita, privata e pubblica, la falsità dei sospetti suscitati ad ingannare il paese e a lacerare il cuore e la fama d'incolpevoli cittadini, ci furono di conforto anche più grande, come segno dello accostarsi dell'universale a quella comune solidarietà, che deve stringere insieme, a tutela del diritto e dell'onore di ogni italiano, quanti, in qualsiasi campo politico, amano il Giusto e l'Onesto, e non vogliono che il sociale consorzio sia giuoco ai fantasmi, agli odii e agli agguati di qualsiasi fazione, privilegiata a perturbarne leggi, interessi e costume. Fra le quali dimostrazioni di fiducia e di stima, che noi sentivamo di non avere demeritate, e di onesto sdegno per le infrante sicurtà della vita civile a danno di tutti, io raccolsi nella più grata parte dell'animo, colle voci di altri egregi italiani, la vostra, come interprete, non d'una o d'altra opinione in particolare, ma del senso morale di tutto ciò che sopravvive in Italia a rimproverare, colla virtù che la riscosse dalle vecchie oppressioni, le nuove vergogne, e ad apparecchiarle sorti meno indegne dell'antico suo nome.

Ed è tempo davvero che tutti quelli fra gl'italiani, i quali sentono carità di patria, stiano all'erta, e raddoppino di volontà e di vigilanza a smascherare e combattere le insidie, che minacciano i comuni diritti, quando i recenti casi sembrano dar segno, che la parte, che, negli ultimi anni, si è imposta col privilegio al paese, voglia far prova di quanto, fra l'ignoranza degli uni e la rassegnazione degli altri, possa tentarsi a ricondurre l'Italia nelle vie della servitù. Perchè - dal nome in fuori di questa larva di libertà, che schernisce la nostra impotenza a libertà vera - quale divario ormai distingue la nostra condizione da quella de' popoli soggetti a reggimento assoluto? Gli agenti del potere esecutivo possono oggi, come a' tempi più tristi delle cadute signorie, fabbricare false accuse, sciogliere associazioni e pubbliche adunanze, invadere, senza indizio nonchè flagranza di reato, la santità del domicilio, frugare nei secreti domestici delle famiglia, mettere le mani sulle persone de' cittadini senza mandato di giudice, tenerli a lor posta in carcere sopra denunzie di lor fattura, e trattarli - inconsapevole o repugnante la magistratura giudiziaria - come comuni malfattori, allentare per fini faziosi i procedimenti della regolare giustizia, e render nulla colle loro pressure la vantata indipendenza de' tribunali. E questa è storia vera, e documentata dal nostro e da somiglianti esempi quasi ogni giorno in ogni provincia d'Italia. E a me - cito quello che avvenne, il 3 novembre, nel cimitero della mia città nativa, a rappresentare in un solo fatto tutte le improntitudini del sistema - a me è toccato di udire, non appena uscito dall'ingiusto carcere, le querele di una intera cittadinanza per le forsennate rappre­saglie de' custodi della sicurezza pubblica, mutati in cacciatori di pacifici cittadini accoltisi nel sacro luogo ad onorare la memoria, e a deporre in silenzio una corona di fiori sulla tomba di uno de' più cari fra i patrioti forlivesi caduti in campo per la unità della patria. Erano convenuti nella Casa de' nostri morti sotto la fede data dal capo della provincia ai magistrati del Comune, che non avrebbe impedito la pia dimostranza, dove questa avesse serbato forme tranquille e private: e le serbò. Nondi­meno, gl'intervenuti al pietoso rito furono assaliti con improvvise minacce ed armi, e, seb­bene alla grave provocazione rispondessero con pacato contegno, parecchi di loro furono arre­stati a voglia di delegati e guardie di polizia, e alcuni - i più invisi per vera o supposta popolarità, - sostenuti in prigione per denunzie officiali, smentite dal testimonio di tutti i presenti. D'onde le oneste dimissioni dagli uffici loro del ff. di Sindaco e della Giunta municipale. Io non so di governi esenti da ogni freno costituzionale, sotto i quali la libertà dell'individuo, la fede pubblica, e la pietà degli umani affetti, siano state mai più indegnamente offese e profanate!

E non è questo il peggio. Il peggio consiste nel bugiardo spirito, che la politica dominante tenta d'insinuare, dall'alto al basso, in tutte le relazioni della convivenza civile, pervertendo i giudizi del pubblico sopra uomini e cose, spargendo sospetti e discordie fra i cittadini, evocando dalle latébre di un passato servile l'immoralità, propria di gente misera ed invilita, di credere ad ogni menzogna che inventi un male, e discredere ad ogni virtù Quale sicurtà rimane, non di libera, ma d'onesta socievolezza, quale fiducia o rispetto all'autorità della legge, quando il pensiero, pubblicamente e lealmente manifestato, e tradotto con aperta e costante fedeltà negli atti della vita, non ha tuttavia schermo contro le insidie di una polizia partigiana e di una stampa venale, cospiranti insieme a falsare ogni senso di verità e di giustizia, e a convertire l'arringo loro in un ufficio di pubblica diffamazione? Vedemmo, nel caso nostro, messe in un fascio e denigrate tutte ad un modo dottrine e tendenze disparatissime, idee civili e sofismi contrarii ad ogni fondamento di umana società, confusi insieme patrioti e comunisti, Mazzini e Bakounine, le fratellanze operaie, che, dietro i precetti del primo, intendono ad educazione, costume e progresso di buon vivere cittadino, e i proseliti delle straniere utopie, gli onesti dell'un campo e dell'altro con malfattori, che non apparten­gono ad alcun partito. E noi, che assiduamente oppugnammo le idee degl'internazionali, e che avevamo di recente sedato, come cittadini devoti alla quiete e al decoro de' nostri Municipii, i tumulti annonarii, e deprecato moti inconsulti e violenze sociali, noi fummo fatti complici, dai nostri detrattori, d'oscure e forse inventate macchinazioni, al tutto discordi dai nostri principii e da ogni istituto ed intento della nostra vita politica. E i nostri detrattori vanno da tempo infamando, in casa e fuori, per delitti particolari scelleratissimi, ma non più frequenti nè più scellerati in Romagna che in altre province d'Italia, onorati sodalizii, onorati uomini, un'intera regione, la stessa patria italiana, e infamerebbero, io credo, la madre loro, quante volte l'infamia materna potesse servire a sfogo de' loro rancori, o a profitto de' loro interessi. Ora, queste falsità e queste arti avevano - bene s'intende e si sa da tutti - un imme­diato obbietto nelle elezioni politiche, essendosi insipientemente sperato di tirare, con sì fatti spauracchi, i voti de' timidi e de' poveri di giudizio proprio, nelle pastoie della oligarchia dominante. Ma all'intento prossimo ed accidentale sopravanza, s'io non m'inganno - e molti segni da Voi pure acutamente notati sembrano avvertirne il paese - un fine più cupo e più costante. Vuolsi, come toccai da principio, fare cimento della disposizione degli animi a patire la servitù, o qualche cosa che la somigli. Ed è naturale. La libertà è testimone importuna, e a lungo andare funesta ai parziali interessi delle consorterie, che cercano nello Stato il proprio, non l'universale vantaggio. Lo educarsi della classe operaia e delle cittadinanze in generale, nei loro sodalizii, all'intelligenza de' proprii e dei comuni affari, alle forme delle ordinate discussioni, alla manifestazione pacifica de' loro bisogni, l'intendersi de' diversi ceti, l'avvicinarsi dei partiti, ad opera di civiltà e d'armonia paesana, intorno alla pietra fondamentale della vita nativa e spontanea del popolo italiano - il Municipio; lo estendersi delle relazioni e delle leghe popolari fra città e città, provincia e provincia; tutto ciò è pegno di forza mo­rale, malleveria di nazionale progresso e di potenza a promuovere gl'interessi del maggior numero, la grandezza e la dignità di una patria eguale per tutti. E gl'iniziatori della Consociazione delle società popolari di Romagna - la quale era parte della Fratellanza generale e pubblica delle Società operaie d'Italia, riconsacrata in Roma, dietro la scorta delle dottrine morali e sociali di G. Mazzini, dal XII Congresso degli operai, nell'autunno del 1871 - posero appunto, dal principio alla fine, ogni loro studio ad avviare a' predetti intenti civili, con pacifico apostolato ed aperti ufficii e consigli ed opera educatrice, i migliori elementi della democrazia nostrana, traendoli alle feconde e sane operosità della vita sociale, a sensi di moralità, ad affetti di patria, nella luce della pubblicità, suprema maestra e custode del viver libero. Il che dava riputazione e voce, nelle cose del Comune e nelle civiche amministrazioni, ai più culti e liberali fra gli uomini nuovi del ceto medio e del ceto artigiano, in parecchie delle nostre città, a danno de' maggiorenti e a freno di vieti abusi. Inde irae: e queste ire salirono di grado in grado, e fecero strumento de' loro maligni umori delegati di polizia, gazzettieri ed agenti, bassi ed alti, del potere esecutivo, sotto-prefetti, prefetti e ministri, e imperversarono, scoppiando, contro di noi, e durano ancora. E l'armi usate a combatterci furono la maldicenza, la calunnia e gl'improperii bucinati in privato, o avventati in pubblico, da diffamatori che sapevano di mentire, e da una stampa partigiana e degna di loro, i terrori di radicali sovvertimenti stupidamente imputati a segreti disegni di parte nostra, ed altre arti consimili, adoperate nel seno delle cittadinanze a dividerle e travagliarle di mutue diffidenze, e a far parere esosa la libertà e salutare la riazione al volgo de' pusillanimi e degl'inetti. Coi quali modi, i nuovi reggitori mostrano di volere imitare i vecchi padroni caserecci e stranieri, ma senza probabilità di riuscire a somiglianti effetti; dacchè le piccole divisioni e le brevi paure, che da questi meschini espedienti de' cattivi governi sono di tanto in tanto qua e là destate, non possono, in un gran popolo unito e forte, ciò che potevano in gente partita e debole; e il sacro retaggio della libertà dell'Italia non è materia morta e vile, nella quale ogni ciurmatore, che ambisca, facendo mostra, di zelo a prò del potere, d'inorpellare la nullità dell'animo colle decorazioni e coi ciondoli della servitù, possa a lungo fidarsi di fare ignobile esperimento dell'arte sua. Nondimeno, importa che quanti sono, fra gl'italiani, di cuore libero e generoso e amante della patria, veglino operosi a difendere e rafforzare la libertà e il diritto della nazione.

Vi dirò, in altre mie, come nacque e a che intendeva, nelle presenti condizioni del paese, la Consociazione romagnola, perchè dal governo e da' suoi consiglieri fosse, da ultimo, più che altri simili istituti in altre parti d'Italia, perseguitata, e come, non potendola convincere di atti che la mettessero fuori della legge, abbiano cercato velare l'arbitrio dello scioglimento, apponendole fattezze non sue. Del volgare artificio nulla rimane, se non il marchio, impresso nella fronte di chi lo macchinò, della conculcata giustizia e dell'indegno oltraggio inflitto alla riputazione e alla libertà d'incolpevoli cittadini. Ma la verità della storia e il rispetto di me medesimo e de' compagni della mia ventura richiedono, che de' genuini intendimenti di parte nostra e miei sia registrata, dinanzi a disonesti commenti, onesta memoria; e a Voi non sia discaro, ch'io ne indirizzi questo ricordo al vostro nome. Abbiatemi, con antica amicizia e sincera stima,

Vostro affezionatissimo

A. Saffi.

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